Bosisio, Croce Verde: ''mettiamo da parte la paura''. Come i volontari affrontano i servizi nell'emergenza Covid

Il presidente Filippo Buraschi
Trecentocinquanta servizi di emergenza nel mese di marzo contro i 210 di febbraio e i 200 del marzo 2019, il 175% in più rispetto ai dati dell'anno precedente.
Un'ambulanza in più nelle ore diurne per coprire al meglio il territorio, il lecchese ma anche la martoriata provincia di Bergamo. E poi le dimissioni dei pazienti guariti e il sostegno alle famiglie in quarantena grazie al contributo del gruppo di Protezione civile.
Croce Verde Bosisio, e non poteva essere altrimenti, ha vissuto e sta vivendo in prima linea l'emergenza Coronavirus. Ne abbiamo parlato con il presidente Filippo Buraschi, che ha risposto ad alcuni nostri interrogativi sull'approccio del volontario a questa pandemia.
"Sono state settimane davvero impegnative dal punto di vista dell'impegno fisico e soprattutto mentale. Abbiamo affrontato situazioni nuove, toccanti e spesso drammatiche. Abbiamo provato a rassicurare pazienti terrorizzati in crisi respiratoria mentre noi eravamo i primi ad avere paura. Abbiamo dovuto separare malati dai loro cari sapendo che forse non si sarebbero più rivisti. Abbiamo trasportato in ospedale amici, conoscenti e anche nostri volontari. Insomma, volontari e dipendenti hanno buttato il cuore oltre l'ostacolo e si sono superati moltiplicando il loro impegno in condizioni di stress che mai avevamo vissuto. Per questo voglio ringraziare tutti per la grande disponibilità: i soccorritori di emergenza, ma anche i volontari dei servizi sanitari semplici, che hanno continuato a macinare chilometri e oggi sono impegnati nelle sempre più frequenti dimissioni di pazienti guariti dal virus, e i ragazzi del nostro gruppo di Protezione civile che stanno svolgendo una grande opera sociale a supporto dei comuni convenzionati" ha riferito Buraschi.
Il nucleo di protezione civile di Croce Verde, già all'inizio dell'emergenza, ha attivato unità di crisi locale (UCL) nei comuni di Barzago, Cesana Brianza e Suello per garantire gli aiuti alla cittadinanza.

Ambulanze in attesa di accedere al pronto soccorso

In questi ultimi due comuni, in particolare, i volontari collaborano con le attività commerciali locali per la distribuzione della spesa, dei pasti e dei beni di prima necessità alle persone in quarantena o in difficoltà. Sono circa una decina i volontari che quotidianamente si impegnano in questi tre comuni per garantire l'aiuto richiesto dalla popolazione. "E poi permettetemi di dire un grazie particolare a tutti coloro - privati, aziende e associazioni del territorio - che ci hanno dato una mano attraverso l'erogazione di contributi e la donazione di materiale. Sono stati tantissimi, il loro sostegno è stato indispensabile".

Partiamo dal concreto. Quali misure e precauzioni adottate su un servizio per tutelare voi stessi e gli altri in caso di sospetto Covid-19? Ci sono particolari protocolli da seguire?

Certamente. Abbiamo in dotazione dispositivi di protezione individuale che ci coprono dalla testa ai piedi: tute con cappuccio, occhiali, visiere, mascherine con filtro, doppio o triplo guanto, calzari. Per il paziente mascherina chirurgica. Questo "travestimento" è indispensabile per evitare il contagio ma inevitabilmente impedisce di creare quell'empatia con il paziente che conta tanto nei nostri servizi e che solo la mimica del volto o un sorriso può dare. Proviamo a parlare con gli occhi trattenendo qualche volta le lacrime. Che qualche volta scendono quando a fine servizio procediamo alla sanificazione dell'ambulanza.

 I volontari di protezione civile impegnati nel servizio di consegna a domicilio nei comuni convenzionati

È cambiato il vostro approccio negli interventi?

I protocolli tradizionali di approccio al paziente si sono adattati alla situazione. Sale in casa del paziente un solo soccorritore per ridurre al minimo i rischi di contatto, ove possibile l'autista dell'ambulanza non entra in contatto col malato, spesso è la stessa centrale operativa a suggerire che la macchina abbia a bordo solo due soccorritori anziché tre, nelle fasi più calde dell'emergenza i pronto soccorso degli ospedali erano oltre al limite con lunghe ore di attesa prima di poter sbarellare durante le quali dovevamo gestire il paziente a bordo dell'ambulanza. Dal punto di vista tecnico i servizi di pazienti col Coronavirus sono simili e non particolarmente complessi: febbre, tosse e difficoltà respiratoria più o meno importante. Dal punto di vista psicologico sono invece davvero toccanti e il momento del distacco tra il paziente e i familiari è terribile. Inutile nasconderlo, dopo avere combattuto e sconfitto, perché vinceremo sicuramente, questo maledetto virus saremo diversi come soccorritori ma anche come uomini e donne nella vita di tutti i giorni.

Le protezioni indossate dai soccorritori sopra la divisa

C'è qualche gesto, richiesta o qualche frase che ti è stata detta sul servizio in questo periodo che ti ha colpito in modo particolare?

C'è una domanda, tragica, che ci fanno i pazienti. "Morirò?". Ed è una domanda alla quale non puoi rispondere perché non lo sai neanche tu, provi a sdrammatizzare ma a volte capisci tu stesso di non essere stato convincente. Poi guardi negli occhi i figli, le mogli o i mariti del paziente dove leggi tristezza e a volte paura ma mai rassegnazione e ti senti ancora più spiazzato. Ma alla fine arriva sempre il "grazie per quello che state facendo" che ti ridà la forza e la carica per affrontare un altro servizio e che ti gonfia il cuore.

Cosa significa fare il soccorritore durante questa fase di emergenza?

È dura, durissima. Ma ci rendiamo conto di poter dare una mano concreta a chi sta combattendo in prima persona contro questo mostro invisibile, di essere una pedina ancora più decisiva del solito nella catena del soccorso e di vivere un'esperienza che forse ci renderà migliori quando tutto sarà finito. Questa è la spinta che ci consente andare avanti, di mettere da parte la paura, di indossare la tuta da marziano, di entrare nelle case dei malati e di rientrare nelle nostre case restando a distanza di sicurezza dai nostri cari. Sono sacrifici enormi ma allo stesso tempo rendersi disponibili in questo momento è ancora più gratificante.


Alla luce di quello che vedi sul territorio e al pronto soccorso, cosa ti senti di dire a chi in questo momento si trova a casa e segue le misure di contenimento?

In base ai numeri ufficiali e alla nostra esperienza sul campo, la fase più calda dovrebbe essere alle spalle. Dico dovrebbe, perché come dicono gli esperti, questo è un nemico subdolo e sconosciuto che potrebbe tornare a colpire duro non appena abbassiamo la guardia. Per questo è indispensabile avere pazienza e seguire con scrupolo le misure di distanziamento sociale. Lo abbiamo scritto sulle nostre pagine social: "Vorremmo toglierci al più presto questa maledetta tuta, ma ancora non possiamo. Vorremmo regalare un sorriso di conforto a chi andiamo a soccorrere, ma con le mascherine non c'è sorriso. Vorremmo tornare a tenere per mano i nostri pazienti anziani spaventati ma dobbiamo mantenere le distanze. Vorremmo non piangere più quando portiamo in ospedale un sospetto infetto separandolo chissà per quanto tempo dai suoi cari. Vorremmo tornare umani e non più extraterrestri. Aiutateci (e aiutatevi), restate a casa".

Michela Mauri
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