Rogeno piange Andrea Valsecchi, l'ultimo reduce. Combattè la guerra di El Alamain

Rogeno ha perso l'ultimo reduce di guerra. L'altro giorno è infatti mancato a 99 anni Andrea Valsecchi, nato l'8 ottobre 1921 da una famiglia composta da sei figli di cui lui era primogenito. Terminata la quarta elementare, andò a lavorare nei campi, mentre a tredici anni iniziò il lavoro in una stamperia e proseguì fino ai 17 anni quando venne arruolato per il servizio militare, all'epoca obbligatorio: lui stesso lo ha ricordato, in un commuovente scritto che ha lasciato per i postumi a imperitura memoria, come "un vero e proprio corso di preparazione alle armi che sarebbe servito in caso di guerra".

Andrea Valsecchi

Il 10 giugno 1940 risultò idoneo alla vita di leva: in quella data, Mussolini fece la dichiarazione di guerra, annunciando la discesa in campo dell'Italia. Quel giorno era ancora un giovane spensierato. "Io e miei amici eravamo in giro a divertirci ridendo e scherzando, ignari di ciò che sarebbe accaduto di lì a poco". A 19 anni partì, per la prima volta in treno, alla volta Siena. Ebbe il tempo di conoscere la disciplina militare prima di essere trasferito a Volterra dove frequentò, per due mesi, un corso per diventare radiotelegrafista. Rientrato per un breve periodo a Siena, venne trasferito a Pordenone dove venne avviato alla preparazione al campo di battaglia con "allenamento fisico e simulazioni di manovre di guerra". Qui gli venne comunicato il luogo di destinazione: l'Africa Settentrionale. Dopo un lungo viaggio, compresa una tratta in aereo - per lui fu la prima volta - raggiunse Gabsa, in Libia: "Non potei fare a meno di notare un paesaggio completamente diverso da quello italiano, vidi il deserto, era vasto, pieno di grandi dune di sabbia levigate dal vento e di piccoli cespugli qua e là. Per la prima volta nella mia vita vidi il deserto ed era uno spettacolo da togliere il fiato".
Infine, il trasferimento a Maria Matrouth, in attesa del combattimento. L'ordine di attacco arrivò il 30 agosto 1942. "Eravamo convinti di vincere e riuscire ad andare fino ad Alessandria" ma nei fatti, come la storia ci ha testimoniato, non andò proprio in quel modo. Quella volta, il carro armato su cui viaggiava il rogenese finì sopra una mina e così i militari dovettero fermarsi per riparare il cingolo. Il 23 ottobre 1942, alle 20, l'attacco inglese: "Non appena uscii dal carro armato, per mettermi di vedetta e dare il cambio al mio compagno, mi trovai in mezzo a una pioggia di proiettili e spari, con bengala che illuminavano tutto il cielo per vedere dove fossimo nascosti, mi sembrò il finimondo".

Il 25 ottobre arrivò l'ordine del contrattacco. "Il nostro battaglione era composto da cinquecento carri armati, mentre quello degli inglesi erano più di mille circa. Mentre avanzavamo, un proiettile perforante centrò il nostro carro armato. Per fortuna io ne uscii quasi illeso, riportavo solo qualche leggera ferita alle spalle. Purtroppo il comandante e i miei due compagni non furono altrettanto fortunati". Andrea, nel suo racconto, ha narrato con estrema precisione i dettagli dei tentativi di soccorrere, purtroppo invano, i compagni: il capitano, con una grossa ferita alla gola, spirò tra le sue braccia, mentre Valsecchi stava cercando di raggiungere un luogo dove poterlo far curare. Tornò indietro a cercare anche l'altro compagno, ma non lo trovò più.
Gli italiani, in seguito, vennero costretti alla ritirata e, mentre cercavano di raggiungere un accampamento, furono attaccati da caccia inglesi: pur ferito, Andrea riuscì a salvarsi ma il destino gli riservò un'altra sorpresa. Il 21 marzo 1943 venne deportato in un campo di prigionia americano a Tunisi e poi trasferito in Algeria: "Durante tutto l'interminabile viaggio eravamo stipati nei vagoni merce, in cui ci fu dato da mangiare una sola volta al giorno e per i bisogni fisiologici dovemmo arrangiarci da soli, forando un vagone e usando quel buco come toilette".
Qui venne imbarcato su una nave inglese diretta a New York. Da qui, andò a Canterbury, in Indiana e poi in altre località d'America. "Nonostante eravamo prigionieri, fummo trattati bene". La prigionia proseguì per due anni e mezzo, fino a quando Andrea firmò l'ordine di collaborazione con gli americani. I genitori a casa, intanto, non avevano sue notizie: solo mesi più tardi vennero informati delle sue condizioni tramite una lettera della Croce Rossa. Nell'ottobre del 1945, finalmente il ritorno a casa. Una festa per i parenti, anche se lui avrebbe in qualche modo preferito rimanere oltreoceano: "In America vi era elettricità, acqua potabile, pavimenti, tante cose che nel mio paese non si sapeva nemmeno cosa fossero - ha raccontato nel suo scritto - La vita nel mio paese era semplice, si viveva da contadini e si facevano tanti sacrifici. Feci richiesta per diventare bigliettaio sul treno, ma non avendo il titolo di quinta elementare fui respinto. Così dovetti fare l'agricoltore fino a che ebbi quaranta anni età in cui poi inizia a lavorare nell'ambito metalmeccanico".
Andrea, insieme ai fratelli diede vita a SMV (stamperie metalliche Valsecchi), un'azienda che si è sviluppata sul provinciale a Casletto e che ancora oggi è condotta dai nipoti.

Dopo molti anni dalla fine del conflitto, decise di fondare in paese l'associazione dei combattenti e reduci, di cui lui era rimasto l'ultimo esponente ancora in vita. "Andrea era una brava persona, disponibile, sempre presente alle commemorazioni del 25 aprile - hanno ricordato dall'amministrazione - Qualche anno fa lo avevamo ospitato, insieme al fratello Erminio, in consiglio comunale per un'occasione legata alla Resistenza: aveva raccontato quello che aveva vissuto".
Andrea non si sposò mai, ma amava raccontare la sua esperienza a nipoti e pronipoti che in questi anni lo hanno circondato con affetto: "Si emozionava soprattutto quando ricordava il periodo della guerra e della prigionia" hanno affermato.
Testimone di una dramma, lo ha portato dentro tutta la vita, tanto da sentire il bisogno di tornare in quei luoghi. Qualche anno fa, scrivendo la sua breve biografia, ha concluso con queste parole. "Nella mia vita ho avuto la fortuna di poter viaggiare e conoscere posti nuovi e un anno riuscii persino a ritornare nei luoghi in cui ho combattuto la guerra, andai a El Alamein. Tappa principale di questo viaggio fu la visita al sacrario, dove erano seppelliti tutti i caduti di guerra. Forti emozioni mi attraversarono e un sentimento di tristezza prese il sopravvento, piansi nel vedere i nomi dei miei due compagni scritti sulle lapidi, quei due compagni che dovetti abbandonare nel deserto. Scorsi lo sguardo e vidi anche il nome del mio capitano e vidi con piacere che gli fu assegnata una medaglia d'oro".
Familiari, parenti e amici gli tributeranno l'ultimo saluto quest'oggi alle 15 presso la chiesa di Casletto. L'amministrazione comunale manderà un rappresentante della protezione civile con la bandiera dei reduci per salutare l'ultimo testimone di guerra del paese.
M.Mau.
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