Cassago: dal ritorno in corsia per il Covid alla missione. Don Giuseppe si racconta

Don Giuseppe Morstabilini
Ci sono dei momenti in cui la vita ci lancia delle provocazioni, delle sfide alle quali siamo chiamati a dare una riposta. È ciò che è successo a don Giuseppe Morstabilini, missionario di 45 anni, originario di Cassago, che attualmente si trova in Zambia.
In occasione della "Cena del povero", la parrocchia ha chiesto al religioso di offrire una testimonianza rispetto a due cambiamenti che hanno caratterizzato la sua vita in questo 2020: il ritorno in corsia in qualità di infermiere durante la prima ondata di Covid-19 e i suoi primi mesi in missione in Zambia, paese del sud Africa orientale.
Quando a marzo la pandemia si stava espandendo e le nazioni cominciavano a chiudere le proprie frontiere, don Giuseppe Morstabilini si trovava in Irlanda per studiare la lingua inglese.
La diocesi di Milano lo aveva mandato nelle vicinanze di Dublino in vista della missione in cui si sarebbe recato da lì a poco. Purtroppo, l'evolversi della pandemia lo ha costretto a prendere l'ultimo volo Ryanair per Milano e fare una quarantena di quindici giorni in una nuova casa a Samarate, in provincia di Varese. Così in quei momenti di incertezza e di spaesamento generale, don Giuseppe dalla poltrona di quell'appartamento ascoltava governatori di province, regioni e ministri di governo lanciare i loro appelli a quanti potessero essere in grado di aiutare il personale sanitario, che in quel momento si trovava in grosso affanno.
"Io mai avrei pensato nella mia vita di tornare a vestire una divisa da infermiere, una professione che avevo lasciato un po' di anni fa, prima di entrare in seminario, ma era un ‘lutto' che avevo già rielaborato", ha detto don Giuseppe nella sua testimonianza.

Quei continui appelli però lo turbavano, portandolo a pensare come avrebbe potuto aiutare il prossimo in una situazione così difficile, dal momento che lui era stato infermiere per molti anni. "La vita tutti i giorni ci mette davanti degli appelli, ci lancia delle provocazioni alla quale siamo chiamati a rispondere in modo diverso".
Molte persone che conosceva - e che lavorano nell'ambiente ospedaliero - avevano addirittura rinunciato a stare con la propria famiglia per mesi interi pur di evitare di portare la malattia tra la mura domestiche.
Interrogato da questa chiamata, don Giuseppe ha portato i suoi pensieri davanti al Signore, in preghiera. Di lì a poco, nel giro di quarantotto ore, il missionario cassaghese si è trovato dall'inviare una mail all'ufficio del personale dell'ospedale di Busto Arsizio al rimettere piede in corsia nel reparto sub-intensivo dedicato al Covid-19.
"La caposala mi ha messo a lavorare con infermieri molto bravi, che mi hanno aiutato a rinfrescare il metodo professionale che naturalmente con gli anni è cambiato. Durante il primo mese, dopo la giornata in ospedale, tornavo a casa e mi mettevo a studiare per recuperare tutte le conoscenze perse", ha raccontato don Giuseppe.

A destra don Giuseppe insieme all'ex parroco cassaghese, don Adriano Valagussa
Il ritorno in corsia è durato circa cinque mesi per il sacerdote cassaghese, ma fin dal primo mese si è sentito completamente a suo agio e integrato nel reparto. "Penso che queste chiamate nella vita siano estremamente personali, non bisogna puntare il dito contro altri perché non hanno agito come ci si aspettava". E ha concluso il racconto della sua intensa esperienza con un'esortazione: "raccogliamo le sfide che la vita ci mette davanti, senza pretese. Buttiamoci, non bisogna essere perfetti. Il Signore ci chiede di essere strumento nelle sue mani".
Agganciandosi a quest'ultimo invito, don Giuseppe ha parlato anche del suo primo mese e mezzo in missione in Zambia, senza nascondere le difficoltà del vivere in un posto totalmente sconosciuto, con persone sconosciute, in cui anche l'inglese è nelle mani di pochi, nonostante sia la lingua ufficiale del Paese. "Sto facendo un'esperienza di una povertà pazzesca e mi sento imbranato in tutto. Però forse questa è la condizione per dire Signore fai tu".

Don Giuseppe Morstabilini si è quindi insediato nella comunità locale con quello che ha da offrire: la sua presenza, la celebrazione delle messe, le confessioni, e tante risate, nonostante alle volte ci sia grandissimo imbarazzo con la gente del posto proprio in termini di comprensione.
Come massima che accompagna il suo inizio in missione e che descrive finemente il suo stato d'animo, don Giuseppe ha scelto una frase di Madre Teresa di Calcutta: "Io sono solo una matita nelle mani di Dio".

Martina Bissolo
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