Casatenovo: arrestato pochi mesi dopo l'uscita dal carcere per rapina e maltrattamenti. In tribunale la testimonianza dei familiari

Al termine dell'ennesima lite con il marito, aveva raggiunto in piena notte la locale stazione dei carabinieri accompagnata da tre dei suoi figli, per denunciare una convivenza decisamente turbolenta, dalle condizioni non più sostenibili.
E' stato un racconto lungo, penoso e ricco di dettagli tanto gravi quanto dolorosi, quello della presunta vittima del reato di maltrattamenti in famiglia di cui è chiamato a rispondere un 42enne originario di Palermo, nelle due settimane in cui i coniugi avevano risieduto insieme a Casatenovo, dopo essersi trasferiti dal vicino territorio monzese.
Una storia d'amore, la loro, nata dieci anni fa: risale infatti al 2011 il primo incontro fra i due, avvenuto in Emilia Romagna, dove entrambi vivevano. Lei, impegnata in Caritas aveva incontrato proprio nell'ambito delle attività dell'associazione quell'uomo che - detenuto da tempo in carcere per scontare una lunga pena per un omicidio commesso in Sicilia - svolgeva volontariato durante i permessi ottenuti per uscire dall'istituto penitenziario.

L'ingresso al tribunale di Lecco

E il matrimonio fra i due si era svolto proprio lì, tra le mura della casa circondariale ferrarese dove la coppia nel 2015 si era giurata amore eterno. Dopo una convivenza vissuta in Emilia, nei fine settimana in cui l'imputato aveva la possibilità di lasciare il carcere, nel 2018 la famiglia allargata aveva deciso di trasferirsi in Brianza, per ricominciare una nuova vita, lontano da quel territorio che aveva segnato - in negativo - la vita di entrambi.
Nel novembre 2019, con il rilascio definitivo dell'uomo, aveva dunque preso il via la convivenza effettiva, h24, dei coniugi, insieme ai figli di lei e al piccolo di casa, nato appunto dalla relazione fra i due. Dopo alcuni mesi trascorsi in provincia di Monza, nel marzo 2020 la famiglia si era poi trasferita a Casatenovo dove, dopo sole due settimane di vita vissuta sotto lo stesso tetto, si era verificato l'episodio che ha portato all'apertura del fascicolo penale a carico del soggetto, ben noto alla giustizia per precedenti fatti.
Il 15 marzo infatti, dopo una lite particolarmente accesa, la donna sarebbe stata cacciata di casa, decidendo così di recarsi dai carabinieri per denunciare le angherie subite dal marito. Una volta uscito dal carcere infatti, l'imputato si sarebbe trasformato in un'altra persona, iniziando ad insultare e a minacciare la donna, imponendo anche ai figli regole ritenute troppo rigide, come hanno confermato gli unici due ragazzi maggiorenni, anche loro escussi stamani in udienza.
''Stavamo guardando la tv: lui ad un certo punto si è arrabbiato e mi ha chiesto cosa dovevamo fare del nostro matrimonio. Abbiamo litigato e in un attimo mi ha buttato fuori casa con tre dei miei figli, quelli più grandi, rifiutandosi di farmi portare via anche il piccolo'' ha detto la donna, aggiungendo di aver raggiunto spaventata la caserma di Casatenovo.
Una versione confermata da due dei carabinieri intervenuti quella notte e chiamati a riferire in merito all'accaduto. A partire dall'operante Salviato che, di pattuglia insieme ad un collega, era stato inviato dalla centrale operativa all'esterno della caserma casatese in quel momento chiusa al pubblico, per raccogliere le prime richieste della donna e dei suoi figli, in attesa dell'intervento del comandante, il luogotenente Cucciniello.
Una lunga notte quella trascorsa in caserma in quei giorni di pieno lockdown, per ascoltare la testimonianza della vittima che nella sua deposizione aveva indicato anche la presenza all'interno dell'abitazione, di una pistola che il marito aveva utilizzato per mettere a segno una rapina qualche giorno prima, ai danni di un ufficio postale della provincia di Parma. Circostanza per la quale l'uomo - reo confesso - è già stato condannato in primo grado in abbreviato.
All'alba di quello stesso giorno, il comandante Cucciniello insieme ad altri militari e di concerto con i colleghi del nucleo operativo di Merate, si era portato presso la residenza dell'imputato per accertarsi di quanto denunciato dalla moglie e sincerarsi delle buone condizioni di salute del bambino che era rimasto insieme al padre.
Durante la perquisizione nell'appartamento casatese erano stati rinvenuti e sottoposti a sequestro capi di abbigliamento riconducibili a quelli utilizzati al momento della rapina, ovvero un giubbotto con striscia rifrangente sul cappuccio ed un paio di guanti neri.
Tradotto inizialmente in carcere a Pescarenico, il 42enne difeso dall'avvocato Stefano Pelizzari nelle settimane successive è stato poi trasferito in Sicilia e posto agli arresti domiciliari.
Nel nostro territorio ha fatto ritorno quest'oggi con un volo decollato stamani da Parlermo. Scortato appunto dalla penitenziaria - così come era già avvenuto a inizio dicembre - ha raggiunto il tribunale lecchese per prendere parte al processo a suo carico. E davanti al collegio giudicante composto dalla presidente Nora Lisa Passoni e dalle colleghe Giulia Barazzetta e Martina Beggio, comparirà anche il prossimo 4 febbraio per sottoporsi ad esame, raccontando così la sua verità che si preannuncia diversa da quella raccontata oggi dai suoi familiari.
G. C.
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