Casatenovo: la rubrica video quotidiana di don Marco per tenersi in contatto con i fedeli

Si chiama ''Il Rap quotidiano'' la rubrica rigorosamente online curata dal vicario di Casatenovo, don Marco Rapelli e pubblicata sul sito della comunità pastorale Maria Regina di Tutti i Santi.
Sin dal primo lockdown il sacerdote ha individuato e proposto una modalità alternativa per tenersi in contatto con i propri fedeli, cercando di stimolarli e spronarli ad approfondire sempre di più la loro fede, in considerazione di questo momento difficile, sotto diversi punti di vista.
Dopo gli incontri di catechesi e i momenti di approfondimento ''a distanza'', da ottobre è nata anche questa rubrica video a cadenza quotidiana, divenuta ormai un appuntamento fisso per molti casatesi che frequentano l'ambiente parrocchiale. Abbiamo quindi colto l'occasione per porre a don Marco qualche domanda su questa iniziativa, sul suo percorso sacerdotale e, più in generale, sulle conseguenze della pandemia che da ormai quasi un anno ha rivoluzionato il nostro modo di vivere.

Don Marco Rapelli

-Don Marco, qual è stato il percorso che l'ha portata qui a Casatenovo? Le andrebbe di parlarci della sua vocazione?
Sono nato quasi 53 anni fa nella bella Milano. Dopo una felice infanzia e adolescenza trascorse tra le vie del centro, il liceo Parini e l'oratorio della mia parrocchia, sono entrato nel seminario diocesano e diventato prete nel 1993. Due anni nella parrocchia di Rogoredo (di Milano), poi nove anni educatore e insegnante in Collegio (a Gorla Minore, in provincia di Varese), poi due anni a Carugate, poi insegnante di religione in diversi istituti con base a Bernareggio e Sulbiate, e infine sono ormai 10 anni che sono qui a Casatenovo. Per quanto riguarda la mia vocazione, penso che sia difficile da spiegare come sarebbe difficile per due sposi che ancora si amano raccontare perché si sono innamorati l'uno dell'altro. La risposta è solo una: perché pian piano, dopo essersi innamorati, hanno scommesso sul fatto che la loro felicità si poteva dare solo in quella forma. Allo stesso modo, pian piano anch'io ho capito che la forma con la quale si dava per me la possibilità di vivere pienamente la mia vita, e il mio essere cristiano, era quella del prete diocesano.

-Come ha affrontato e sta affrontando questo periodo di isolamento? Che conseguenze pensa si avranno all'interno della nostra comunità?
Oramai stiamo vivendo la seconda o terza fase di questo periodo. La prima, quella dallo scorso marzo fino a maggio, l'ho vissuta come una drammatica occasione costellata non solo da preoccupazione, ma da intensi momenti di riflessione personale sul senso della vita, del dolore e della morte, che ho cercato di tradurre in molti video di catechesi e con le dirette delle messe, dal momento che eravamo costretti a "stare tutti a casa".
Poi c'è stata l'estate, dove, per fortuna, abbiamo ricominciato un po' tutti a respirare e a tornare a vivere, riuscendo a stendere qualche progetto. Ma si trattava di un'illusione, perché, con l'autunno, siamo entrati in una seconda fase di semi-isolamento che prosegue tutt'ora e non sappiamo quando finirà. La fase di questi ultimi mesi devo dire che la sto vivendo con molta fatica, come tutti, del resto: sembra un tunnel interminabile, del quale per fortuna ora si comincia a vedere qualche bagliore di luce. Ma è pesante, molto pesante, perché viviamo un enorme paradosso: per tutelare, giustamente, la nostra salute e la nostra vita fisica, siamo costretti a vivere in un modo inumano. Però occorre obbedire alla realtà, non c'è altro da fare. E il tempo della prova, che non ci sarà mai evitato, facendo emergere tutte le nostre fragilità, serve proprio per vagliare la verità o meno delle nostre convinzioni più profonde, e se ne può uscire vincitori, con le ossa rotte, o perdenti. Vale per me, per tutti, e quindi anche per i cristiani di una comunità come la nostra. La valutazione complessiva delle conseguenze potremo farla solo quando saremo usciti dal tunnel. Certamente ne usciremo trasformati tutti, in meglio o in peggio si vedrà: dipende molto dal lavoro che ognuno saprà fare su sé stesso.

VIDEO



-Da quando ha iniziato a pubblicare questi video? Com'è nata questa iniziativa?
Come dicevo, ho iniziato a marzo realizzando video soprattutto di catechesi. In pratica, tutti gli incontri in presenza che erano in programma, li ho fatti attraverso tantissime dirette. È stato bello e stimolante, anche imparare a destreggiarsi con questi strumenti che per fortuna la tecnologia ci offre. Però è stato ed è anche faticoso. Comunicare davanti a un telefono, quello col quale riprendo da solo i miei interventi, senza vivere dal vivo le relazioni con le persone, è umanamente logorante (basti pensare agli studenti che non possono andare a scuola). Poi, da ottobre, ho avuto l'idea di realizzare video molto più brevi, però di pubblicarli ogni giorno. Li ho chiamati simpaticamente "Il Rap quotidiano", e sono una riflessione quotidiana a partire dalla Parola di Dio che si legge nella liturgia del giorno. L'iniziativa di realizzare questi video non è nulla di originale: come me, sono tantissimi i preti che hanno fatto la stessa cosa. Lo scopo è evidente: quello di poter comunque continuare a comunicare con la gente. Non certamente quello di diventare uno youtuber o un influencer. O meglio, il mio desiderio è che sia la Parola di Dio a diventare un "influencer" per tutti quelli che l'ascoltano.

-Come stanno andando gli ascolti?
E' difficile fare una valutazione. Se mi baso sui riscontri di chi mi scrive in privato ringraziandomi per questo servizio, direi ottimi. Se mi baso sul numero di visualizzazioni (che poi andrebbero analizzate bene) confrontandole col numero di persone che venivano normalmente agli incontri in presenza prima del lockdown, direi ottimi anche questi, perché il numero di persone che coi video si raggiungono sono infinitamente superiori. Se invece confronto il numero di visualizzazioni con quello di video analoghi realizzati da altri preti, non saprei, perché non mi interessa, sarebbe meschino fare a gara per capire chi vince. Semmai sarei contento se, non dico tutti, ma buona parte dei fedeli delle nostre parrocchie che le frequentano e vengono a messa (esclusi gli anziani che non hanno dimestichezza con questi strumenti) li guardassero. Invece non accade. E questo è un brutto segnale, che conferma però un trend diffusissimo. Anche in tempi normali, i fedeli che vengono a messa e che partecipano poi ad incontri extra di catechesi, di preghiera e di ascolto disteso della Parola di Dio, sono sempre una piccolissima parte. Vuol dire che ancora per troppi cristiani l'unica forma espressiva del proprio cammino spirituale e formativo è la messa e basta. Tolta quella, non c'è più nient'altro che interessi.

A sinistra don Marco con don Luciano Galbusera durante la messa per le vittime di Covid


-Cosa pensa di suscitare nel pubblico l'ascolta?
L'interesse a lasciarsi interpellare dalla Parola di Dio e il desiderio di imparare a conoscerla sempre di più, perché, come scriveva San Gerolamo, che per primo tradusse la Bibbia dai testi originali in latino, "ignorare le Scritture" è ignorare Cristo. Penso che molti rifiutano Cristo e non vengono attirati a seguirlo proprio perché, non conoscendo il vangelo, non conoscono Cristo. Ma se non fanno nulla per conoscerlo, poi vanno avanti tutta la vita a pensare di credere nel Dio di Gesù, ma in realtà credono in un altro Dio.

-Ha imparato qualcosa di nuovo con questa attività?
Sto imparando a destreggiarmi nella realizzazione tecnica di un video. Ma, soprattutto, che occorra farlo perché, piacciano o meno, al giorno d'oggi si comunica molto con questi strumenti. Utilissimi e, direi, provvidenziali quando si vivono situazioni che impediscono di incontrarsi. Pericolosissimi quando, come purtroppo sta capitando sempre di più per molte persone (a prescindere dal lockdown) diventano sostitutivi delle relazioni in presenza.

-C'è un video che l'ha soddisfatta più di altri?
Direi di no, perché ognuno è un momento di spiegazione della Parola di Dio, e non posso fare classifiche tra i brani della Scrittura o dei Vangeli commentati. Se facciamo riferimento invece, all'aspetto tecnico, ce ne sono alcuni fatti meglio e altri peggio. Fino a Natale avevo fatto video curando lo sfondo e scegliendo ogni volta un brano musicale adatto, mentre adesso sono molto spartani, perché mi porterebbe via troppo tempo, e quel che conta non è quel che si vede, cioè la mia faccia, ma quello che si ascolta. Voglio dire: sono video più che da vedere, da ascoltare.

-Saprebbe darci un consiglio per affrontare questo periodo di distanziamento sociale che si presuppone durerà ancora un bel po'?
Penso che si debba sempre obbedire alla realtà. La realtà è questa, ci piaccia o no. Metterci a piangere pensando a quello che potremmo fare e non possiamo, serve solo a deprimersi. Occorre avere la fantasia per far diventare, come direbbe il nostro Arcivescovo, ogni situazione, anche questa, un'occasione nella quale chiedersi cosa di positivo si può imparare e fare quello che si può, anche cose nuove o lasciate sempre in disparte nei tempi normali con la scusa che non si aveva tempo per farle. E, come dicevo parlando di me, vivere la prova come occasione per verificare la consistenza di ciò in cui crediamo e per lavorare su sé stessi.

-La sua passione per la musica è conosciuta da tutti qui a Casatenovo e non solo. Può indicarci una canzone che, a suo parere, riesca a tradurre questo periodo di difficoltà che stiamo affrontando? E un'altra che invece può rappresentare la speranza di uscire da questa tormentata situazione?
Così, a bruciapelo, me ne viene in mente una sola che racchiude entrambe le cose. La canzone di Fiorella Mannoia, scritta non a caso proprio poco tempo fa, dal titolo "Padroni di niente".
Giovanni Pennati
Invia un messaggio alla redazione

Il tuo indirizzo email ed eventuali dati personali non verranno pubblicati.