''La passione per il delitto'' ospita l'ex PM Colombo e il suo nuovo libro sul perdono

L'apprezzato festival di narrativa poliziesca noir e gialla ''La passione per il delitto'' continua ogni sera con nuovi appuntamenti sul canale Facebook dedicato, aggiungendo all’edizione annuale in presenza - svoltasi in autunno a Villa Greppi di Monticello - anche un fitto programma di incontri in streaming.
Il super ospite di lunedì 25 gennaio, è stato Gherardo Colombo che ha raccontato il suo nuovo libro ''Il perdono responsabile. Perchè il carcere non serve a nulla'' edito da Ponte alle Grazie e con prefazione di Luigi Manconi.
La presentazione - mediata dal giornalista comasco Paolo Moretti -  è stata un’interessante occasione per comprendere il difficile e spesso scomodo problema legato alla giustizia e alle carceri.
Originario di Briosco, saggista e scrittore nonchè ex magistrato da anni ormai in pensione, Gherardo Colombo ha voluto attraverso il suo libro spiegare le motivazione per cui il carcere - a suo avviso - non serve a nulla. La gran parte dei condannati a pene carcerarie torna a delinquere, e la maggior parte di essi non viene riabilitata come invece prescrive la Costituzione, ma semplicemente repressa.


Gherardo Colombo e il giornalista Paolo Moretti

“Tantissime persone sono state in custodia cautelare, cioè in carcere preventivamente, ma come pena finale poi, in carcere non ci è andato quasi nessuno. Nell'ambito delle inchieste condotte per Mani Pulite, io e i colleghi ci siamo trovati davanti un vero e proprio sistema di corruzione. La custodia cautelare è stata estremamente contenuta, e in carcere ci sono finite pochissime persone in quanto venivano meno il rischio di fuga, il rischio di inquinamento probatorio, e il pericolo di reiterazione. Noi quindi chiedevamo al giudice di revocare la misura cautelare e di rimettere in libertà la persona” ha spiegato il dottor Colombo.
Nella prefazione del libro Luigi Manconi parla di “La pornografia del dolore che sollecita atti e parole indecenti” perchè molte volte viviamo in un paese che si ritrova a legiferare sulle onde delle emozioni.
''Dal punto di vista dell’efficacia della condanna, sotto il profilo della sicurezza, io credo che alzare le pene non serva a nulla. Perchè se solo una percentuale minima delle persone che commettono reati “da colletti bianchi” viene scoperta, che senso ha alzare le pene? Operando solo sulla pena si perde di vista il dolore della vittima che nel nostro ordinamento non conta niente. L’unico desiderio che viene soddisfatto è quello della vendetta. Il 70% delle persone che escono dal carcere fci fanno poi ritorno. Allora quando si parla di pornografia del dolore ci si riferisce atutte queste cose, ovvero rendersi conto di aver fatto male ad altri” ha raccontato l’ex magistrato.


“La cultura e il modo di pensare dei cittadini italiani porta a credere che la giustizia svolga la funzione di vendicare il torto subito. La giustizia è vendetta. Questo sentimento di vendetta è negativo e come diceva Gandhi “occhio per occhio la vendetta rende il mondo cieco” e io ne sono assolutamente convinto. Bisognerebbe modificare una cultura che ha delle radici profondissime tali per cui abbiamo ridotto tutto al penale e non esiste responsabilità che non sia diversa da quella penale. Io credo che il discorso nel perdono responsabile sia direttamente collegato al discorso dell'inutilità del carcere, la strada per garantire il massimo livello di sicurezza possibile dei cittadini, sia una strada diversa rispetto quella del carcere. Il 70% delle persone che esce dal carcere torna in carcere perchè commette altri reati, solo il 19% delle persone che scontano la pena in affidamento in prova ai servizi sociali commette altri reati. Una differenza importantissima” ha concluso.
Nel suo libro Gherardo Colombo mette in evidenza il concetto di giustizia riparativa, ovvero un percorso attraverso il quale la vittima e il responsabile siano accompagnati da una persona particolarmente esperta ad un incontro che consenta alla vittima di sentirsi riparata del dolore subito e al responsabile di rendersi conto del male fatto e del dolore inferto senza per questo essere distrutto dai sensi di colpa. Si tratta di una mediazione.
La vita in carcere non è semplice e lo scrittore racconta in prima persona e come volontario la sua esperienza negli istituti penitenziari, descrivendo come nella realtà questo fenomeno si presenta.
“La vita del carcere è veramente dura, i detenuti sono posti in una cella di meno di 12 metri quadrati, all’interno della quale molte volte si trovano a vivere quattro o più persone. Qui in un bugigattolo c’è il water e di fronte un lavandino nel quale si fa anche da mangiare. Si resta in cella per almeno 22 ore al giorno, e nelle altre due si può parlare con gli altri detenuti e andare all’aria aperta (molto spesso si tratta di spazi e stretti e limitati circondati da muri imponenti). Si entra in carcere senza spazzolino nè dentifricio, e viene fornito loro solo una coperta, un lenzuolo, il sapone, una forchetta con il coltello di plastica. Il detenuto può vedere i suoi cari sei ore al mese e può telefonare a casa 10 minuti alla settimana, e se sta male non può chiamare il proprio medico” ha aggiunto Colombo.
Un libro che fa riflettere e che indaga le basi di un nuovo concetto e di nuove pratiche di giustizia, la cosiddetta giustizia riparativa, che lentamente emerge negli ordinamenti internazionale e nel nostro.
''Ho scritto questo libro perché è necessario cambiare qualcosa, dalla cultura al modo di pensare delle persone'' ha concluso l'ex magistrato.
Gherardo Colombo è nato a Briosco il 23 giugno 1946. È entrato in magistratura nel 1974 e, dopo oltre un anno di tirocinio, ha svolto le funzioni di giudice dal 1975 al 1978 nella VII sezione penale del Tribunale di Milano.
Dal 1978 al 1989 è stato Giudice Istruttore e, contemporaneamente, dal 1987 al 1989 è stato componente della commissione ministeriale per la riforma del codice di procedura penale che si occupava della disciplina dei processi in tema di criminalità organizzata.
Dal 1987 al 1990 ha partecipato, come osservatore per conto della Società Internazionale di Difesa Sociale, alla commissione di esperti per la cooperazione internazionale nella ricerca e nella confisca dei profitti illeciti del Consiglio d’Europa.
Ha fatto parte del gruppo multidisciplinare sulla corruzione presso il Consiglio d’Europa, contribuendo alla redazione del testo della Convenzione internazionale sulla corruzione sottoscritta a Strasburgo nel gennaio 1999.
Dal 1989 al 1992 è stato consulente della Commissione Parlamentare di Inchiesta sul terrorismo in Italia, e successivamente è stato consulente per la Commissione Parlamentare di Inchiesta sulla mafia.
Dal 1989 al 2005 ha svolto le funzioni di sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica di Milano.
Dall’ingresso in Magistratura fino al 2005 ha condotto o collaborato a inchieste celebri come la scoperta della Loggia P2, l’omicidio dell’avvocato Giorgio Ambrosoli, i c.d. fondi neri IRI, Mani pulite, i processi Imi-Sir. Lodo Mondadori e Sme. Dal marzo 2005 ha svolto le funzioni di giudice presso la Corte di Cassazione.
Nel 2007 ha lasciato la magistratura. Da allora si dedica alla riflessione pubblica sulla giustizia e nell’educazione alla legalità. In questa attività incontra ogni anno circa 250 mila studenti in tutta Italia e proprio per tale attività ha ricevuto il Premio nazionale “Cultura della Pace 2008”.
Da luglio 2017 agli inizi del 2018 ha fatto parte della commissione per la riforma dell’ordinamento penitenziario e dall’ottobre del 2017 è stato nominato presidente della Cassa delle Ammende e successivamente presidente dell’Unione Europea delle Cooperative (Ue.Coop). Da 10 anni partecipa al corso sulla legalità presso La Nave, sezione di trattamento avanzato per tossicodipendenti del carcere di San Vittore, Milano.
Marina Temperato
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