La passione per il delitto: appuntamento online con Carofiglio e la ''sua'' Penelope
L'evento online, mediato da Katia Trinca Colonel, si è svolto nell'ambito della diciannovesima edizione del festival di narrativa poliziesca proposto in collaborazione con il Consorzio Brianteo Villa Greppi di Monticello.
"Era da molto tempo che avevo voglia di raccontare una storia dal punto di vista femminile. Quando ho iniziato a scrivere la storia mi sono posto una domanda, ossia se utilizzare la terza persona, mantenendo un certo distacco dalla protagonista, oppure l'io narrante. Ho optato alla fine per l'io narrante. Il nome inizialmente pensato per il personaggio era Miranda, non Penelope. Mi sono reso conto che però mio fratello aveva pubblicato un romanzo con una protagonista femminile di nome Miranda, così ho deciso che non era opportuno mantenere quel nome e ho scelto Penelope. In questo nome è presente una contraddizione: il mio personaggio non ha la caratteristica di essere paziente, ma Penelope di Ulisse aveva proprio la virtù di essere paziente. È un ex pubblico ministero, che sta vivendo un periodo di smarrimento, di difficoltà. È presa da tante emozioni a cui deve imparare a dare un nome" ha introdotto Carofiglio.
"Quando ho iniziato a scrivere il romanzo ho pensato ad un testo molto significativo, che mostra i passaggi per raccontare una storia. Si tratta de ‘Il viaggio dell'eroe': una storia può avere gli stessi passaggi, combinati in maniera diversa. Lo schema parte dell'eroe che si trova in un terreno conosciuto, qualcuno lo chiama ad entrare nel territorio sconosciuto per compiere un'impresa. L'eroe all'inizio è riluttante, ma poi accetta ed entra nel territorio sconosciuto dove incontra avversari, ma anche delle persone che lo aiutano. Alla fine del viaggio affronta la sfida e dopo averla risolta esce portando con sé un risultato di trasformazione. Nel mio romanzo troviamo tutto questo: Penelope si trova in uno stato vegetativo nella sua vita, viene chiamata all'azione, all'inizio non vuole, ma poi accetta e affronta le sfide di un mondo sconosciuto" ha continuato lo scrittore.
"Nel libro si parla dello stereotipo di genere, quello che gli anglosassoni definiscono ‘sguardo maschile'. È un modo invadente di definire il mondo da cui dipendono molte cose. Studiando per scrivere questo libro mi sono reso conto che se io fossi stato una donna sarei molto arrabbiata perché è incredibile come l'esigenza maschile in tutti i campi domini il panorama. Questa rabbia l'ho trasferita nel personaggio di Penelope, nel suo modo di essere: nello sviluppo dell'indagine si trova a fare i conti con se stessa, con l'invadenza di certi stereotipi. Il libro è un tentativo di riflettere narrativamente su questo tema".
"Io non scrivo i miei romanzi con un intento pedagogico, istruttivo, paternalistico. Nella mia scrittura, quella dei romanzi di ambientazione giudiziaria, c'è una parte che implica delle deviazioni saggistiche. Mi piace mescolare delle digressioni saggistiche nei miei romanzi e nei miei saggi raccontare delle storie. In queste parti saggistiche può essere custodita qualche informazione, riflessione che può farci imparare. Ma non vi è nulla di pedagogico, sono parti che permettono di parlare meglio di un personaggio e far progredire la storia" ha concluso Gianrico Carofiglio.