Percorsi nella Memoria: lo storico Daniele Frisco introduce il dissacrante Jojo Rabbit

Nonostante la pandemia e le incertezze del momento, il fitto calendario di appuntamenti del ciclo "Percorsi nella Memoria" promosso dal Consorzio Brianteo Villa Greppi ha saputo commemorare e ricordare vividamente, anche quest'anno, la Shoah e le atrocità commesse durante la seconda guerra mondiale.
Dopo "Ida" di Pawel Pawlikowski e "1945" di Ferenc Török, il direttore scientifico della rassegna Daniele Frisco ha introdotto storicamente l'ironico e dissacrante film di Taika Waititi, uscito nel 2019: Jojo Rabbit.

Lo storico Daniele Frisco

La caratteristica più anomala del film è il registro che il regista utilizza: completamente canzonatorio e a tratti destabilizzante. Ci troviamo nella Germania del 1945, la guerra è quasi finita e il Reich quasi sconfitto. Jojo è un bambino convintamente nazista, tanto che ha come amico immaginario niente meno che Hitler. Immerso nella cultura totalitarista, Jojo comincerà a vedere le cose sotto una nuova luce quando incontrerà una giovane ebrea di nome Elsa. La costruzione del Reich passò da un'attenta operazione di appiattimento dell'importanza e delle ambizioni del singolo in luogo dell'esaltazione di un lungo e magnifico futuro del popolo tedesco.
"Tuttavia, per arrivare al giardino perfetto - ha ricordato Frisco citando Zygmunt Bauman - è necessario strappare le erbacce". Le giovani generazioni erano state nutrite dalla studiatissima propaganda di Joseph Goebbels e cresciute nella "Gioventù hitleriana", che il regista prende puntualmente in giro sottolineandone i riti ridicoli e gli addestramenti maldestri. In un quadro ironico, che riesce comunque a far riflettere, i tasselli che compongono la storia sono esemplificativi di un mondo sociale molto più complesso. "All'interno del film alle donne viene conferito il ruolo di generatrici della futura gioventù nazista e gli omosessuali vengono presentati da due personaggi tragicomici", ha illustrato lo storico Daniele Frisco.
Non c'è nazismo e ultranazionalismo senza il culto dell'idolatria e della personalità, che in questo caso è quella di Hitler. L'accostamento pop inziale delle masse in visibilio per il Führer a quelle dei fan dei Beatles venti anni dopo è indicativo dell'entusiasmo spasmodico e cieco degli anni dell'ascesa di Hitler in Germania. L'universo narrativo è a questo punto quasi completato, manca solo il nemico, o meglio, i nemici: gli ebrei vengono caratterizzati dai soliti stereotipi a loro affibbiati, i comunisti si nascondono nei muri delle case e i sovietici sono dei mangiatori di bambini.

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Il dissidio interiore del bambino è rappresentato dai due ambienti in cui vive: "si vede lo scontro tra realtà domestica, dove Jojo riceve l'educazione umana della madre, e il mondo esterno condizionato dal regime, dalla propaganda e da Hitler che in un primo momento sembra prevalere". Lentamente, però, il quadro dipinto dalla propaganda nazista comincia a scolorirsi e Jojo, con i suoi occhi, può vedere che gli ebrei non sono affatto come il regime li aveva dipinti, ma sono persone del tutto normali. Nella città immaginaria tedesca dove il film è ambientato l'individuo è così schiacciato dalla retorica da assistere inerme a ingiustificate impiccagioni nella piazza principale, dove i cittadini si trascinano stanchi verso le loro banali commissioni quotidiane. Come insegna la storia e come ricorda il film, nel 1945 il sogno di un regno nazionalsocialista svanisce e Hitler lascia una Germania nelle macerie e nella tragedia. "Guardando Jojo Rabbit è possibile estraniarsi dal mondo, dai nostri pregiudizi e dal contesto che ci circonda, possiamo estraniarci dall'Hitler che c'è nella nostra testa", ricorda Daniele Frisco.
Esattamente come fanno i due protagonisti, che da ex nemici che erano, si guardano negli occhi e iniziano a ballare sicuri sulle note di Heroes di David Bowie, liberi di camminare per le strade dismesse di una Germania che non c'è più.
Martina Bissolo
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