V.Greppi: il viaggio in Istria di Silvia Dai Prà per poter ricostruire la storia di sua nonna

In occasione del Giorno del Ricordo il Consorzio Brianteo Villa Greppi ha ospitato Silvia Dai Pra’, autrice del libro "Senza salutare nessuno. Un ritorno in Istria" edito da Laterza.
L’incontro sulle varie piattaforme online fa parte del progetto #VociDellaStoria e ha visto la mediazione del consulente storico Daniele Frisco, che ha introdotto così la serata: “Anche quest’anno in occasione della Giornata del Ricordo approfondiamo una parte della storia novecentesca del confine orientale italiano. L’anno scorso ci siamo soffermati sulla città di Gorizia, sulle memorie contrapposte del confine. Oggi invece parliamo dell’Istria, una terra molto importante, che è stata travolta dalla storia del Novecento: è passata dall’impero austro-ungarico all’Italia, poi è stata attraversata dal Fascismo, dalla Seconda Guerra Mondiale e dal complicato dopoguerra fino ad arrivare alla Repubblica Socialista. Vi presentiamo il libro della scrittrice e insegnante Silvia Dai Pra’, che ringrazio per aver accettato il nostro invito. Il volume è parte della storia familiare dell’autrice, in particolare ripercorre la storia della nonna paterna, esule istriana che non ha mai voluto raccontare la sua esperienza e nemmeno la morte di suo padre, morto nella foiba di Vines nel 1943. Da qui Silvia cerca di colmare i vuoti della sua storia attraverso un’impegnativa ricerca e un viaggio in Istria. Il libro è in grado di far emergere la complessità della vicenda e anche le memorie contrapposte di chi vive e ha vissuto in quella terra”.


Silvia Dai Pra' e Daniele Frisco

Dopo questa breve introduzione, la scrittrice ha iniziato a parlare del suo libro e di com’è nato: “Questo libro è nato da un grande vuoto: il primo episodio che racconto risale al 1988 quando con mio padre e mia sorella ci rechiamo in quella che all’epoca era ancora la Jugoslavia. Partiamo dalle Dolomiti bellunesi e la mattina della partenza mia nonna ci lascia un biglietto dove c’è scritto ‘non mi salutate nessuno’. Nel viaggio verso la Jugoslavia vengo a conoscere la storia di mia nonna, che non era veneta come avevo sempre pensato, ma era istriana e aveva abbandonato il paese con quello che rimaneva della sua famiglia nell’autunno del 1943 in seguito alla morte di suo padre e suo zio nella foiba di Vines. Da allora nessuno era mai più tornato. All’epoca ero una bambina che aveva terminato la quinta elementare e questa informazione rimane lì, chiusa, mia nonna non ne ha mai parlato e non ha mai nominato né l’Istria né le foibe. Non appena divento più grande e inizio a conoscere la storia del ‘900, questo argomento rimane un campo di battaglia di continue strumentalizzazioni e decido di accantonarlo. Dopo la nascita di mia figlia, sono tornata nella casa di montagna e scopro che mia nonna non aveva lasciato nessuna traccia. Trovo solo due fotografie del mio bisnonno Romeo e così decido di tornare in Istria per tentare di ricostruire una storia, che era sempre stata taciuta. È stato un ripercorrere a ritroso la storia della mia famiglia paterna, che andava a finire nella foiba di Vines dove si era scatenato tutto”.
Silvia si è recata in Istria e ha compiuto una ricerca che si potrebbe definire “storica”: “L’Istria è un territorio piccolo e ora ha pochi abitanti. È stata devastata nel ‘900, ne ha passate veramente di tutti i colori: ha avuto il fascismo, il periodo delle foibe, c’è stato l’arrivo dei nazisti. C’erano state tantissime violenze, una dopo l’altra, che avevano cambiato il volto di questo luogo. Se andiamo a vedere gli internati a Dachau si rimane colpiti dalla quantità di persone provenienti dall’Istria, che non era un posto così demograficamente rappresentativo. La guerra è continuata, ci sono state le foibe nel ’45, che sono quelle di cui si parla di più, e l’esodo. Ci sono state alcune città che hanno perso quasi la totalità della popolazione. Anche durante la Jugoslavia di Tito si è assistito ad una grossa immigrazione verso altri paesi europei. La sensazione che spesso si ha è di un posto spopolato con improvvisa animazione estiva di turisti e di persone che l’hanno lasciata”.


La copertina del libro

La domanda di partenza che l’autrice si è posta è stata “perché hanno ucciso il mio bisnonno?”, ma le risposte semplicistiche non sono state accettate, ad esempio risposte come “perché è italiano” o “perché è fascista”: “All’inizio si volevano prendere solo gli slogan come ‘ucciso perché italiano’ e ‘ucciso perché fascista’. Il problema era questo: perché in un paesino dove abitano italiani sono andati a prendere proprio lui? E non anche tutti gli altri? Laddove si perdono le testimonianze di prima mano o ti ritrovi a parlare con persone che ora sono anziane e all’epoca erano bambine, è un po' difficile andare a ricostruire la storia. I documenti non sono molti, anche per la storiografia ci sono ancora molte pagine da scrivere. Le foibe vengono raccontate in vari libri, ma molto in generale. Mi ha aiutata molto la comunità italiana in Istria, che mi ha fatto avere vari documenti che mai avrei immaginato di poter trovare. Sono riuscita a ricostruire l’atmosfera di quello che stava succedendo ad Albona in quel momento. Albona era chiamata la ‘provincia bolscevica dell’Istria’. Con l’arrivo dei partigiani di Tito c’è stato uno scontro su base nazionale. Questo ha fatto sì che tutti gli antifascisti italiani venissero marginalizzati e il loro grande capo fu deportato e nessuno lo ritrovò più. Nella zona di Albona il comando venne dato ad un contrabbandiere, Mate Stemberga, una persona sadica. Partirono così una serie di eccidi verso la classe dirigente e morirono il mio bisnonno Romeo e suo cognato Zacinto, identificati come parte di quella classe”.
Nel libro si parla di diversi incontri con gli istriani, ai quali la scrittrice ha posto domande per cercare di ricostruire la storia della sua famiglia: “La foiba di Vines per la Croazia è un non luogo, non rimanda a nessuna storia che gli appartenga. Quando chiedevo della foiba, tutti mi indirizzavano da un’altra parte. Una volta che tu fai capire che conosci quella storia, non neghi le violenze del fascismo e del nazismo, la gente del luogo mi ha portata nel luogo dove hanno ucciso il mio bisnonno. È nato un incontro di memorie diverse e condivise”.
Quando Silvia era in procinto di concludere il suo libro, si è recata ancora una volta in Istria e ha incontrato la famiglia di uno degli aguzzini del suo bisnonno: “Negli anni ’50 l’associazione combattenti della Jugoslavia aveva dedicato una targa al comandante Mate Stemberga, che eseguì vari eccidi. Questa targa si trova dietro una persiana nella vecchia casa del comandante. La signora che abita in quella casa mi ha accolta, c’erano grosse difficoltà di comunicazione perché lei parlava un dialetto e ci traducevano. Mi ha raccontato la storia di quello che è successo prima e dopo la morte del comandante. Si dice che l’improvviso impazzire del comandante era dovuto al fatto che molti suoi familiari erano stati uccisi dal fascismo e dal nazismo. Dopo la sua morte nel ’43 c’è stata la deportazione della famiglia a Dachau. La signora diceva che suo marito non ne parlava mai. C’erano dei silenzi che ci hanno unito, per me non era più tempo di polemiche, rancori, ma c’è stato un confronto sul dolore che ha inflitto la storia”.
S.B.
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