Viaggio in Brianza/10: tappa a Monastirolo, antica e affascinante località olgiatese

La storia di Monastirolo ha origini antiche che si intrecciano a quelle della frazione di Porchera. È infatti da questa che si sviluppano i terrazzamenti che da fondo valle raggiungono il piccolo borgo di cui vi vogliamo oggi raccontare la storia.
Purtroppo le notizie di questa frazione sono molto frammentarie e strettamente legate alle altre frazioni di Olgiate Molgora; da parte nostra abbiamo fatto il possibile per riportarvi qui i fatti storici più intriganti che si sono svolti nella zona con il passare dei secoli.

ETÀ LONGOBARDA
Le prime tracce che possiamo rinvenire della frazione di Porchera sono di epoca longobarda, quando le famiglie di questa popolazione chiamate "fara", si impossessarono di questi territori. I primi furono i Vimercate e i Calchi nel Decimo secolo dopo Cristo. I Vimercati, originari di Airuno, furono i primi proprietari del territorio di Olgiate vecchio, passato poi ai Sala ed in fine ai Marchesi Sommi Picenardi.

La testimonianza più importante di questo periodo storico è l'epigrafe di Aldo e Garuso, due fratelli bresciani partigiani del Duca di Brescia e Trento Alachi, seguace dell'eresia ariana che contrastava l'operato del papa.
Con l'aiuto dei fratelli Aldo e Garuso, Alachi riuscì a conquistare Pavia, ma, scoperto il desiderio di Alachi di perdersi la ricchezza dei due fratelli, questi convinsero il seguace ariano a lasciare la città di Pavia promettendogli di difenderla da ogni eventuale attacco. Quando Alachi se ne andò, si recarono da Cupertino, re di Pavia, spodestato da Alachi chiedendogli perdono; riuscirono a convincerlo a ritornare nel suo palazzo pavese durante l'assenza dell'eretico Alachi per poter riprendere il controllo del suo regno.
Così fu, ma Alachi fuggí in Austria alla notizia del ritorno di Cupertino, dove organizzò un grande esercito con cui giunse alla battaglia finale che si svolse tra il 692 e 693 a Cornate d'Adda, dove si ebbe la definitiva sconfitta di Alachi.

Non è chiaro chi uccise i due fratelli, ma è probabile che siano stati dei fedeli del re Cupertino meno inclini al perdono che gli aveva concesso. Questa ipotesi è avallata dal fatto che i resti dei due fratelli e la lapide sono stati ritrovati a Beolco, ad ovest dell'Adda, conosciuto come covo dei fedelissimi di re Cupertino.

Alcuni abitanti di Monastirolo

Sulla lastra di marmo bianco è incisa una caratteristica poesia longobarda incorniciata da un'incisione decorativa composta da foglie di vite e grappoli d'uva, sul basso vi sono anche degli uccellini stilizzati. Secondo lo storico Monsignor Giovanni Dozio questa decorazione è un primo esempio di questo stile decorativo e la poesia che è incisa, per quanto parziale, è stata sufficiente per individuare il testo completo comparandola con altri reperti del medesimo periodo. Vi riportiamo qui di seguito l'inscrizione sulla lapide ritrovata: "Uguali per nascita, bellezza, sensibilità, ricchezze, disposizione e bontà, qui riposano i due fratelli Aldo e Grauso che insieme il mondo considerò rinomati e che una sola morte racchiuse sotto la medesima lapide; poco fa li uccise malamente una spada crudele; [...] i figli affettuosi decorano questo sepolcro di ornamenti belli e di materia splendente affinché i versi proclamino nei secoli la vostra memoria."

LA NASCITA DI PORCHERA E IL PERIODO MEDIEVALE
Le prime tracce che si hanno della frazione di Porchera sono dovute ad una pergamena data 968 nella quale si parla di vicus Porcario, ovvero villaggio dei porcari.
"Il nome Porchera è di certo antichissimo, probabilmente dato dai Celti che vi abitavano nei secoli avanti Cristo. Si è infatti certi che Celti e Galli Cisalpini erano buoni allevatori di maiali ed è assai probabile che avessero avuto in questa zona, allora in riva al lago, un pascolo", queste sono le parole di Padre Vittorio Mauri che riporta i risultati delle sue ricerche nel libro "Ricordi", parlando del suo paese natale.

Con la nascita dei castelli rurali della zona, come quello di Porchera, e la grande crescita della potenza della feudalità, soprattutto dell'arcivescovo di Milano e dei piccoli feudatari si arrivò ad un radicale cambiamento sociale. Si ebbe, infatti, una graduale fortificazione delle cascine per volontà dei signori del luogo i quali però, con il nuovo ruolo istituzionale dato loro dall'imperatore, si distaccarono dalle loro corti rurali modificando fortemente i rapporti tra signore e servi contadini. Data l'assenza del dominus presso la cascina, egli affida la gestione dei suoi fondi a squadre di contadini (livellari) con una nuova tipologia di contratto: il contratto massarizio. Questo contratto prevedeva la concessione di un territorio ad una squadra di contadini liberi in cambio del miglioramento del fondo, un canone annuale e la fedeltà feudale.

Porchera nel Quindicesimo secolo venne infeudata dal Monastero di San Pietro di Civate. I primi livellari a cui vennero affidati i terreni circostanti edificarono, su invito degli abati, le loro casupole per potervisi stabilire. Questo portò alla creazione di Porchera inferiore e Valmara. I contadini che si insediarono in queste zone, iniziarono a coltivare le aree paludose della Valle della Corna a est e ovest dell'abitato.

Il nucleo di Monastirolo, conosciuto in dialetto come Munestée ovvero Monastero, è citato per la prima volta nel 1574 come Munesté nello stato delle anime ordinato dal Cardinale Carlo Borromeo. In realtà, in atti della metà del Quattrocento, si parla già di un nucleo abitato ‘in Monte de Porchera', con tutta probabilità il nostro Monastirolo.
La località, circondata da folti boschi di castagne, era nota per i suoi secaù ossia seccatoi di castagne: piccoli edifici a due piani, al piano terra con fuoco alimentato per seccare le castagne immagazzinate al piano superiore. Le castagne secche e sbucciate erano usate sia per farne farina sia per pagare affitti in natura, come dimostrano numerosi contratti di locazione locali già nel Quattrocento.

Altra importante coltivazione dei terrazzamenti che giungono fino a Monastirolo, sono le viti da cui si produceva un vino Malvasia molto apprezzato. Purtroppo, con l'arrivo della fillossera, le coltivazioni di vite perirono e si interruppe la produzione qui come in tutta la Brianza intorno alla fine dell'Ottocento.

Lo storico Giovanni Dozio ipotizza, senza averne indizi o prove certe (forse sulla scia di una leggenda locale) che il nome di Monastirolo possa derivare dalla presenza di un piccolo convento femminile, fondato da una nobile della famiglia nobile Del Corno. Un'altra ipotesi sulle motivazioni del nome Monastirolo è stata data da Massimo Cogliati, studioso della storia di Olgiate, basandosi sull'infeudazione della zona avvenuta nel Quindicesimo secolo: "Il nome potrebbe derivare anche dal fatto che i terreni in cui sorge il piccolo borgo fossero posti sotto il controllo del Monastero di Civate".

LA BATTAGLIA DEL MONTE DI BRIANZA O SAN GENESIO
La politica viscontea mirava alla conquista dell'Italia centro-settentrionale, ma una coalizione di stati italiani riuscì ad impedire questo progetto. Più guerre continuarono ad interessare i nostri territori sino a quando, nel 1447, Filippo Maria Visconti morì senza eredi, quindi i nobili milanesi diedero vita ad una repubblica simile al comune cittadino. Le famiglie nobili milanesi però non si erano accorti che i tempi erano cambiati e gli eserciti degli stati confinanti percorrevano in lungo ed in largo il ducato. Un esempio a cui fare riferimento sono i plotoni dell'esercito veneziano che distrussero Cantù e devastarono Vimercate e Melzo, sino a conquistare Lecco.

La crisi del ducato era totale: risolse la situazione Francesco Sforza, marito di Bianca Maria Visconti, che si proclamò nuovo duca di Milano. I nobili ambrosiani si opposero violentemente alleandosi addirittura con Venezia, la quale aveva intanto preso il controllo su tutta la Brianza settentrionale compreso il San Genesio. Lo Sforza reagì prontamente contro questa invasione: inviò suo fratello Brivio e corruppe il castellano di Trezzo per bloccare le vie di comunicazione con il Veneto. Brivio era tuttavia in pericolo e Francesco Sforza lo venne a sapere, come testimonia Giovanni Pietro Cagnola nelle sue memorie: "Lo Sforza aveva saputo che i veneziani avrebbero attraversato il ponte di Brivio per soccorrere i ribelli milanesi; quindi Francesco Sforza radunò l'esercito e partì da Cassano con grande fretta, arrivando a Monte Calco al levare del sole. Lì giunto, scoprì che l'esercito della Serenissima aveva già conquistato il monte di San Genesio e lo aveva occupato con quattromila fanti".

La situazione peggiorava: uno dei capitani ribelli, Jacopo Picenino, al soldo di nobili anti-sforzeschi, con i suoni ottomila compagni tra cavalieri, fanti e fucilieri, raggiunse gli alleati veneziani dopo essersi inerpicato sul Monte Brianza.
Lo Sforza che con le sue truppe aveva trovato ristoro a Calco, venne avvisato dell'arrivo dei ribelli sotto il comando di Picenino, quindi decise di accendere dei fuochi nel campo militare per far credere ai ribelli che non si sarebbe mosso da lì. Invece, nottetempo, lo Sforza con le sue truppe assalì i ribelli ed il comandante di questi, Picenino scappò rifugiandosi a Monza.
Il futuro Duca Francesco Sforza lo stesso giorno tornò indietro raggiungendo Calco Alta; per far riscaldare i suoi, li distribuì nei cascinali attorno a Calco Alta, Bofffarola e probabilmente anche a Porchera.

Il giorno successivo lo Sforza conquistò la Rocca di Airuno e ordinò a due suoi comandanti di tentare la conquista del San Genesio. L'esercito partì da Airuno e Porchera inerpicandosi sul monte verso il monastero di San Genesio dove i veneziani si stavano barricando.

All'inizio la vittoria sembrò semplice ai veneziani, ma le famiglie più importanti delle pendici del monte offrirono aiuto allo Sforza che riuscì a circondare l'avversario. Lo Sforza pose un presidio di duecento fanti sul monte Barro facendo controllare le pendici del San Genesio dagli abitanti del luogo e fece scavare una lunga trincea tra Airuno e Calco. In questa condizione i veneziani, circondati su tutti i fronti, decisero di arrendersi fuggendo oltre l'Adda. Anche i ribelli di lì a poco si arresero dato che avevano iniziato a soffrire la fame e i vecchi e gli ammalati che componevano i loro battaglioni morivano di stenti. Francesco Sforza, dopo questa vittoria, venne nominato Duca di Milano, successore dei Visconti.

Durante questa battaglia, Porchera venne distrutta a causa del sistema difensivo diroccato e venne più volte saccheggiata. Se ne ricordano le torri brusate e guaste per le guerre patite, ma Ambrogio Del Corno, nobile del luogo, si impegnó a costruire una nuova fortezza sullo stesso luogo dove Francesco Sforza era passato per andare da Porchera a Calco.
Lo stile della torre e l'omogeneità architettonica con cui le case di Porchera sono state realizzate inducono a ritenere che tutto il nucleo vecchio della frazione sia stato completamente rinnovato dopo la battaglia del San Genesio; è probabile anche che lo Sforza, riconoscente dell'aiuto degli abitanti di Porchera, abbia concesso loro largo aiuto, dopotutto era ancora una delicata zona di confine nei pressi della Repubblica Veneta.

LA CHIESA DI SAN GIUSEPPE A MONASTIROLO
Un pezzo di storia di Monastirolo è rappresentato dall‘oratorio dedicato a San Giuseppe, costruito per volontà dei fratelli Giovanni Battista e Giovanni Paolo insieme anche a Giuseppe Magni.
La cappella a cui ci riferiamo è l'edificio oggi sconsacrato e adibito ad uso abitativo al centro della frazione, a sinistra del sentiero che conduce alla Crosaccia. Di questa chiesa si possiede un documento inedito, ossia la supplica dei fratelli Magni all'arcivescovo di Milano per la costruzione dell'oratorio datata 16 febbraio 1716.
Ve ne riportiamo qui una parte: "Gio Batta e Gio Paolo fratelli Magni e con essi anche Giuseppe Magni, tutti Devotissimi Servitori di Sua Signoria Illustrissima et Reverendissima, osservando al grave loro incomodo di udire la Santa Messa ogni qualvolta le occorra di abitare nel luogo del Monastero, Cura di San Zenone, Pieve di Brivio di questa Diocesi.laddove possiedono rispettivamente qualche loro fondi, si sono risolti per l'edificazione di un oratorio sotto il titolo di San Giuseppe per provvisione di una degna celebrazione della Santa Messa nei giorni festivi, volendosi obbligare tutti rispettivamente in valida forma per la totale manutenzione di detto oratorio nei successivi tempi alla norma delle Costituzioni, e Concili di detta Santa Chiesa Milanese [...]."
Padre Mauri ricorda nel suo testo il dispiacere di tutti quando, probabilmente per il difficile uso ecclesiastico di questo edificio, la chiesetta venne trasformata in abitazione privata, uso che le appartiene tutt'oggi.

LA PRIMA E LA SECONDA GUERRA MONDIALE
Per ricordare gli eventi della prima Guerra Mondiale ci affidiamo nuovamente alle parole di Padre Vittorio Mauri, che ricorda le madri dei figli inviati al fronte singhiozzare sommessamente nella chiesa di Porchera durante la recita del Rosario che si ripeteva ogni sera. Padre Mauri ha anche memoria dei poveri soldati che passavano sulla ferrovia di Olgiate, pigiati nei carrozzoni merci, che cantavano con lo strazio nel cuore: "La tradotta che parte da Torino, a Milano non si ferma più, ma la va diretta al Piave, cimitero della gioventù".
La Seconda guerra mondiale fu un altro periodo terribile che vide però una luce di umana solidarietà nella cascina Passera, poco sopra la frazione di Monastirolo. In questa, infatti, trovarono rifugio diversi alleati e partigiani dopo l'armistizio dell'8 settembre, alcuni di questi erano fuggiti dal campo di concentramento di Bergamo.

MONASTIROLO OGGI
Oggi Monastirolo è il luogo un po' isolato dal resto del territorio che tutti conosciamo. La passeggiata di almeno quindici minuti che è necessario compiere per raggiungerlo è, infatti, l'unico modo con cui gradualmente si passa dalla frenesia della vita moderna, allo stretto legame con la natura.
Qui vivono stabilmente Francesca e Giuseppe, una giovane coppia che si è conosciuta proprio nella località olgiatese, accomunati dalla ricerca di un posto tranquillo e strettamente a contatto con la natura.
"Sono arrivato qui più di vent'anni fa" - ci racconta Giuseppe - "Vivevo a Merate ed ero un lavoratore autonomo che svolgeva la sua professione coltivando la mia grande passione per il viaggio e la montagna, la mia insaziabile curiosità per scoprire cose nuove e nuove culture. Per tutta la mia vita ho sempre avuto un sogno nel cassetto: poter affacciarmi dalla finestra e poter vedere gli alberi; venendo qui a vivere ho realizzato questo mio desiderio. Monastirolo l'ho scoperto girando in zona e mi sono subito innamorato. Ho acquistato la casa e ho cambiato la mia vita. Oggi non riuscirei a vivere senza dover fare quel quarto d'ora di cammino che mi porta fino a casa. Quell'unico sentiero che ci collega con il resto del mondo è una vera porta d'accesso con la quale riesco a riconnettermi con le cose che considero davvero importanti, ossia l'essenziale per la vita. Qui posso osservare la natura e notare il suo cambiamento con il trascorrere del tempo e delle stagioni: ho potuto tornare alle origini, alla terra. Molti potranno dire che è una vita piena di scomodità, ma noi è proprio quello che cerchiamo, ossia affrontare ogni giorno e ogni momento con piena consapevolezza, cercando di viverlo il più possibile". Questo ci ha raccontato Giuseppe, il primo abitante stabile di questo piccolo borgo, considerato simpaticamente da tutti come il "sindaco" di Monastirolo.

Francesca invece ha affrontato una strada più tortuosa per arrivare a Monastirolo. "Sono sempre stata appassionata di natura e di animali sin da piccola, ma ho pian piano messo da parte questa aspirazione finendo a lavorare a Milano come consulente informatica, dove mi sono poi anche trasferita, fino a rendermi conto che la mia vita doveva essere a contatto con la natura. La quotidianità milanese mi stava stretta e mi limitava, quindi presi una decisione radicale. Lasciai il lavoro che ero riuscita a trovare e che mi garantiva una certezza per poter trovare un modo di soddisfare questa mia necessità. Iniziai a lavorare come dog-sitter, sino a quando il proprietario del canile per cui lavoravo mi parlò di Monastirolo. Di tutta fretta mi recai qui e mi innamorai di questo posto meraviglioso. Chiesi qualche informazione a dei signori anziani che erano qui a fare l'orto e, dopo circa un anno, mi misi in contatto con una coppia che stava vendendo il loro appartamento qui. Da allora sono passati quattordici anni e ogni giorno sono sempre più felice della scelta che ho fatto. Per me vivere a Milano era come distaccarmi dalla realtà, non era possibile rendersi conto della natura, delle stagioni. Invece qui si vive, che ci sia il sole o che piova a catinelle, si possono sentire i canti degli uccelli, vedere ghiri che si arrampicano sugli alberi, sentire gli odori diversi del bosco che cambiano a seconda della stagione. Qui posso dire di sentirmi a casa''.

Questa coppia ha deciso di vivere qui scegliendo di dare maggior valore al tempo che hanno. Per fare questo non si sono solo trasferiti in un luogo irraggiungibile in auto, ma hanno anche scelto di fare un lavoro che permettesse loro di vivere qui, di riflettere, di fare la legna per l'inverno, di coltivare il loro orto e, in generale, di godersi la vita. Giuseppe, infatti, oggi lavora come idraulico dipendente tre giorni alla settimana, mentre Francesca è un'insegnante di yoga che svolge spesso qui il suo lavoro, dato che questa location viene molto apprezzata anche dai suoi allievi.

"A Monastirolo si vive realmente: il tutto e subito non esiste, bisogna vivere con poco, con ciò che serve davvero perché ciò che si sceglie di portarsi a casa, lo si deve portare a mano per il sentiero. Si vive bene, si riesce sempre a trovare un modo nonostante quelle che potrebbero sembrare difficoltà" ci ha detto Enrico, un signore che sale ogni settimana per coltivare il proprio orto e per frequentare la giovane coppia con cui ha uno stretto legame di amicizia e di stima per la scelta che ha fatto.

"Quando ho conosciuto Francesca mi ha subito colpito; lei nonostante abitasse qui non si faceva mancare la vita notturna, quindi era costretta a percorrere il sentiero anche nel bel mezzo della notte. Quando le chiesi se avesse paura mi ha risposto: alle due di notte avrei molta più paura ad attraversare la stazione di Sesto San Giovanni piuttosto che salire a Monastirolo!. Li stimo davvero per la loro grande e libera scelta che hanno fatto e soprattutto per il rapporto che qui si sta creando con loro. Qui si vive in una condizione unica, ovvero di abbondanza frugale: si trascorre il tempo nell'abbondanza dei rapporti che creano un clima positivo, oltre che di ozio creativo nel quale ognuno può fare quello che gli pare nei limiti della libertà altrui''.

Enrico ammira la scelta che hanno fatto i due ragazzi anche perché la considera il futuro prossimo per l'umanità. Infatti sostiene che sia necessario il tornare ad avere un rapporto diretto con la natura, al fine di poterne prendere solo ciò che gli serve, senza sfruttarla. "Un esempio chiaro è rappresentato da un cartello che ho messo nel mio orto qui a Monastirolo con la scritta "Prendi solo quello che ti serve"; infatti io non voglio vietare a nessuno di prendere una o due delle mie verze se ne ha necessità, ma se non ne trovo più è comprensibile che io mi possa arrabbiare!" ha detto scherzosamente l'appassionato contadino.

Oltre a Giuseppe e Francesca, qui si è stabilita da un anno un'altra coppia che sta imparando a vivere in questo luogo. Molte case, poi, si riempiono durante l'estate quando i proprietari vi ritornano per godere della pace e della natura che circonda le loro abitazioni.

"Abbiamo intenzione di stabilire un rapporto di collaborazione con il comune di Olgiate Molgora. Apprezziamo davvero tanto l'impegno dei volontari che si occupano della manutenzione ordinaria del sentiero che ci collega alle frazioni, ma spesso ci ritroviamo a dover intervenire personalmente per gestire gli interventi di emergenza. Vorremmo semplicemente che questo rapporto venisse meglio definito" ci ha detto Giuseppe parlando del proficuo clima di collaborazione instaurato con l'amministrazione comunale, a cui non hanno fin'ora avanzato alcuna richiesta.

Vogliamo esprimere un grande ringraziamento a tutti coloro che si sono impegnati per raccontare la storia di questa e delle altre frazioni che vanno a comporre il comune di Olgiarte Molgora: Massimo Cogliati e Lorenzo Brusetti, due appassionati che si sono messi a ricercare e studiare la storia del loro territorio riuscendo a pubblicare un libro intitolato "Olgiate Molgora: una storia in cammino". Questo testo è stato una fonte inestimabile per la redazione di questo articolo.

Con questa visita ci siamo resi conto di quanto ci sia ancora da scoprire nel nostro territorio e quante persone straordinarie lo abitino: Monastirolo oggi si sta muovendo, sta crescendo secondo i dettami dell'abbondanza frugale. Vi invitiamo quindi a visitarlo, ma seguendo il vostro buon senso ed educazione per conferire il rispetto che si merita questo luogo e la sua storia.

Rubrica a cura di Giovanni Pennati e Alessandro Vergani
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