Rogoredo: rientrata in Italia per la pandemia dopo tanti anni in India, Sr.Mariacielo racconta la sua esperienza missionaria

"Vicinanza: vale a dire prendersi cura di chi mi vive accanto, avvertire i suoi bisogni, aiutarlo a risollevarsi dalle sue debolezze, stare accanto per fargli sentire che non è solo; e questo vale sia per i vicini come anche per i lontani, per i quali la lontananza si concretizza nella preghiera; portare cioè a Dio i loro problemi, le difficoltà, i bisogni. Tutto questo ci aiuta a uscire da noi stessi e a produrre frutti di condivisione per un mondo più umano e fraterno.
È in questo modo che mettiamo in atto la compassione: "patire-con", cioè sentire su di noi le sofferenze dell'altro, vicino o lontano, perché nel cuore sorgano sentimenti di carità, di accoglienza, atteggiamenti dove il poco che condivido diventa vita e felicità per il fratello/sorella che ha meno di me. Ed è vita e felicità per chi dona perché lo fa sentire parte viva di una grande famiglia, costruttore di un mondo nuovo che vede nell'altro un fratello.

Ed infine la tenerezza fatta di gentilezza e di bontà che infonde serenità e gioia di vivere, che sa far cogliere all'altro la sua dignità di uomo facendogli sentire che Dio lo ama come figlio prediletto e lo chiama ad avere fiducia in Lui e nel Suo Amore.".
È con queste parole ispirate da un Angelus di Papa Francesco che Suor Mariacielo Biella, missionaria della congregazione MGES (Missionarie di Gesù Eterno Salvatore), si è rivolta tramite una lettera, pubblicata su koinonia, a tutti i fedeli della comunità di Casatenovo. La religiosa, impegnata in India sin dagli inizi degli anni Duemila, si trova ora a Varallo Sesia, nella Casa Madre della sua congregazione, a causa della pandemia. In un'intervista ci ha raccontato la sua esperienza fino a questo momento.

Una storia come la sua è qualcosa di veramente particolare: originaria di un piccolo paese come quello di Rogoredo, seguendo il suo cammino di fede è riuscita ad arrivare persino in India. Ma partiamo dall'inizio e ci parli un po' delle sue origini: dove è nata, e quando? Ha fratelli? C'è qualcun altro che, come lei, in famiglia ha seguito il cammino della fede?
Sono nata nel 1953 a Monticello, poi quando avevo 8 o 9 anni, siccome i miei genitori erano originari di Rogoredo, siamo andati ad abitare lì e ci siamo sempre rimasti. Ho due fratelli, ma nessuno dei due ha intrapreso un cammino come il mio: si sono sposati entrambi, uno a Casatenovo e uno a Rogoredo. Io invece ho sempre coltivato il desiderio della missione, inizialmente pensavo anche di diventare una missionaria laica, ma poi ho capito che il Signore voleva altro da me e che dovevo farmi suora. Così sono entrata a far parte delle Missionarie di Gesù Eterno Sacerdote, a Varallo Sesia in provincia di Vercelli. Sono entrata nel 1973, dopo aver lavorato per qualche anno.

Lei è stata missionaria in India per quasi vent'anni, ma la sua esperienza è iniziata molto prima, qui in Italia. Quale percorso di formazione ha seguito? Quali sono state le sue esperienze prima della missione?
Prima di andare in India ho studiato: prima mi sono dedicata alla preparazione alla vita lì, poi ho fatto le magistrali, in seguito sono stata due anni a Tregasio nella scuola materna e dopo ancora ho fatto 8/9 anni a Roma, in comunità. Lì c'era il lavoro della parrocchia e siccome la nostra è una congregazione che si dedica anche ai Sacerdoti ho potuto stare vicino anche a qualche prete, offrendo il mio aiuto. Inoltre sono stata qui a Varallo per molto tempo, ho insegnato 10 anni nella scuola statale fino al 2003, quando poi sono andata in India.

La scuola di cui si è occupata per anni la missionaria casatese a Ranchi, in India

Come nasce, allora, il progetto dell'India? Come si è sviluppato?
Veramente non ho scelto io il Paese. Come dicevo, il desiderio della missione è sempre stato abbastanza vivo, prima dell'India la congregazione organizzava missioni in America Latina e nelle Filippine, io ogni volta pensavo fosse la volta buona e invece non lo era: il Signore voleva altro da me. Poi nel 2003 dovevano aprire la missione in India, mi hanno chiesto se fossi disposta ad andare e io ho accolto ben volentieri la proposta. Così il 14 settembre 2003 sono partita, insieme ad altre sorelle.

La maggior parte del suo operato si è svolto nella città di Ranchi, la capitale dello Stato del Jharkhand. Siete sempre state lì? Di che cosa vi siete occupate nello specifico?
Nel primo periodo siamo state in affitto, quindi abbiamo trascorso due anni e mezzo cercando una casa per noi e un terreno per poter realizzare qualche cosa. Così abbiamo trovato la casa in città, a Ranchi, e invece nella periferia abbiamo trovato un terreno abbastanza grande, quindi prima abbiamo sistemato la casa, poi ci siamo dedicati anche al terreno. Nella casa di Ranchi hanno incominciato a venire ragazze che desideravano farsi suore, quindi abbiamo iniziato un cammino di formazione per loro; poi invece pian piano abbiamo sistemato il terreno e costruito una scuola che abbiamo inaugurato nel 2012. Lì nel terreno prima della scuola avevamo preparato una fattoria con alcuni animali, anche perché quel terreno era già coltivato a riso, e quindi pensavamo così di poterci sostenere, almeno nel vitto, visto che non avevamo nessuna entrata se non quando arrivava dall'Italia. Quindi c'era questa fattoria, abbiamo dato lavoro 3/4 persone, famiglie diciamo, e il tutto è andato avanti. Poi abbiamo costruito la scuola, iniziata nel 2012 con 80 alunni di tutte le età, dai 3 agli 8 anni. Il primo è stato un po' un anno di preparazione alla scuola, poi quelli piccoli hanno continuato con la scuola materna e i più grandi sono stati inseriti nella scuola elementare. Attualmente siamo arrivati all'ottava classe e abbiamo circa 500 alunni, perché la periferia raccoglie di alunni di tanti villaggi. Quando siamo andati nel 2003 anche la città di Ranchi non era grandissima, c'era poco, era più un grande villaggio che una città: infatti c'erano pochissime macchine, quasi nessuna, e c'erano tante moto, biciclette e gente a piedi a non finire. La cosa che più mi ha impressionato è proprio questa, cioè il vedere tutta questa gente che andava e veniva, e strade piene di gente. Adesso invece ha preso l'aspetto di città vera e propria ed è cresciuta parecchio, mentre i villaggi di periferia sono rimasti tali: anche dove abbiamo costruito noi la scuola per esempio la corrente elettrica c'è e non c'è, anzi sono tante le ore della giornata in cui non c'è, pur essendo pur essendo vicino alla città. Questo dimostra il divario e la povertà che dilagano.

Suor Mariacielo con i bambini della scuola

Mi sembra di capire che la differenza fra la vita qui in Italia e lì in India sia palpabile.
Basti pensare che è una popolazione che vive di agricoltura, almeno nei villaggi. Inoltre lavorano ancora tutto a mano e con i buoi, quindi di macchine se ne vedono ben poche. Certo, si comincia a vedere qualcosa in più da qualche anno, però in generale è un lavorare pari a quello che da noi si faceva sessanta, settanta, ottanta anni fa. Quindi la differenza è enorme.

Ci parli ora della sua esperienza dal punto di vista religioso, sempre in merito a queste differenze: a suo avviso, il modo di vivere la fede lì in India, a Ranchi in particolare, è diverso da quello qui in Italia?
Lì la realtà è molto variegata, come tutta l'India: ci sono Cristiani, Induisti, Musulmani, Giainisti, Buddhisti e una buona parte di Animisti. Quindi ognuno vive la fede nel modo in cui viene richiesto dal suo credo. Chiaramente la religione induista è quella che la fa da padrone, nel senso che è quella presente in maggior numero, mentre i Cristiani sono solo il 5% della popolazione. Ma questo in realtà un po' in tutta l'India, sono percentuali che si applicano a livello nazionale. Per quanto riguarda la popolazione c'è molta tolleranza nei confronti gli uni degli altri, non tanto nelle città quanto nei villaggi: per esempio, tutti partecipano alle varie feste, proprio in segno di accoglienza e di fraternità. Noi abitavamo in un quartiere dove di Cristiani non ce n'erano, forse erano in due o tre famiglie ma per il resto eravamo circondati da Induisti e Musulmani, però per Natale noi andavamo e portavamo loro qualche dolce preparato in casa e loro al pomeriggio venivano tutti a festeggiare. Questo succedeva quando c'erano le feste del Natale o della Pasqua, e loro erano ben felici di prendere parte e di accogliere. Anche noi facevamo poi la stessa cosa con loro durante le loro feste, o almeno durante la festa principale, ovvero rendevamo la visita e loro ci accoglievano in casa, in segno di accoglienza, fraternità e amicizia. Ci siamo sempre aiutati con i nostri vicini, pur non essendo Cristiani. Quindi diciamo che a livello di popolo la convivenza è anche abbastanza facile, i problemi iniziano con il governo, soprattutto quello attuale, in quanto induista fondamentalista. Questo crea sicuramente dei problemi, fra gli altri, io, come tutti i missionari che vengono dall'estero, non possiamo entrare con l'abito religioso, dobbiamo entrare come turisti e poi fermarci sei mesi come ogni visitatore, poi tornare in patria e chiedere di nuovo il visto per poter tornare là, perché il governo non accetta religiosi.

Lei è tornata in Italia ogni sei mesi per quasi vent'anni?
Solo negli ultimi anni, in realtà. Inizialmente c'era il partito del Congress, che era abbastanza moderato, ed era possibile restare là come studenti; allora ci siamo iscritti, io e qualche altro missionario tra italiani e stranieri, all'università qui, abbiamo frequentato nei limiti del possibile e così abbiamo avuto il permesso per tre anni. Bisognava rinnovarlo annualmente, ma lo facevamo là, sul posto. Dopo invece, verso il 2011-2012 le cose sono cambiate e ho iniziato ad agire nell'altro modo: ogni sei mesi venivo in Italia, mi fermavo per un po', poi richiedevo un altro visto e rientravo in India.

Quindi è stato anche abbastanza difficile da questo punto di vista. Sicuramente con la pandemia le difficoltà non sono diminuite: lei adesso è in Italia, ma riesce comunque a far sentire la sua presenza anche da qui? È possibile aiutare da lontano?
Sono in Italia oramai da quasi un anno, siamo arrivati il Venerdì Santo del 2020 con un volo umanitario. Per fortuna io sono sempre in collegamento in via telematica con le sorelle che sono rimaste lì e che stanno lavorando, i contatti riusciamo a mantenerli. Per il momento portiamo quello che c'è, io da qui e loro da là, e poi si vedrà se sarà possibile tornare là o comunque se si risolve un po' la pandemia. Quando io sono partita c'era tutto bloccato, appena si è parlato di pandemia loro hanno chiuso immediatamente e sono entrati subito in lockdown. Per muoverci da Ranchi a Delhi, infatti, siccome né gli aerei, né i treni né qualunque altro mezzo funzionava, è stato necessario che l'ambasciata mandasse una macchina a prenderci e ad accompagnarci. Tutto ciò per dire che loro hanno chiuso subito, anche la scuola, che è rimasta ferma tutto l'anno (lì l'anno scolastico incomincia ad Aprile) e come qui si è adottato il metodo della didattica a distanza: i ragazzi che hanno potuto seguire hanno seguito, ma per quanto le sorelle abbiano cercato di aiutare e di facilitare un po' tutti i ragazzi e gli alunni è stato molto difficile, soprattutto per chi già faceva fatica a venire a scuola. Di conseguenza non ci sono neanche state entrate, anche perché molti hanno perso il lavoro ed è diventato difficile dare quel poco che dovevano dare, ma comunque noi abbiamo continuato a pagare i nostri insegnanti per ovviare a questo inconveniente con l'aiuto delle offerte che arrivavano dall'Italia.

La sede della congregazione a Varallo Sesia

Tornando ad una visione più generale, c'è qualcosa che ci vuole raccontare che l'ha colpita particolarmente?
Il Jharkhand, cioè lo Stato di cui Ranchi è la capitale, è uno dei più ricchi di materie prime e di miniere, tanto è vero che il 40% delle risorse minerarie dell'India viene da lì. Però c'è da dire che il 39% della popolazione vive sotto la soglia della povertà, e questo mi sembra una cosa molto indicativa, che purtroppo spesso viene sottovalutata. A volte si tende a vedere l'India come un Paese in via di sviluppo e che sta crescendo economicamente, ma non ci si ricorda che lo sta facendo a discapito però di chi ci vive, che potrebbero essere i contadini come in realtà chiunque altro. Poi un'altra cosa importante è che oltre agli Induisti, che sono la maggior parte, ci sono le minoranze tribali, di cui peraltro fanno parte i Cristiani. Nelle tribù non c'è la distinzione in caste, ma molti sono considerati alla pari degli ultimi nella piramide, perché anche se sono state abolite comunque si sentono ancora e infatti si cerca in tutti i modi di fare leggi che loro non possono sostenere. Per esempio, lì in Jharkhand per favorire le compagnie minerarie e le multinazionali lo Stato sta portando via il terreno ai poveri, che si ritrovano senza pezzi di terra e praticamente nullatenenti, senza alcun rifondo o altro. Non sono situazioni facili e si può fare ben poco, l'unica cosa per noi missionari è proprio l'essere lì, condividere con loro quel poco o tanto che hanno, ed essere una presenza che vorrebbe farti sentire che comunque il Signore è vicino ed è dalla nostra parte, e anche se dobbiamo soffrire non è colpa sua ma degli uomini, che purtroppo a volte per il potere...

Purtroppo a volte sì, non sono situazioni facili.
No, purtroppo non lo sono. Quando sono andata io nel 2003 prima di darmi il visto per entrare mi hanno fatto scrivere una lettera in cui dichiaravo di non andare a fare proselitismo, quindi è molto delicata la cosa. Non sono pochi i casi di gente che si è convertita ma hanno dovuto pagare, anche i sacerdoti stessi e i missionari sono stati citati in tribunale per aver fatto proselitismo, oppure chi si è convertito viene rifiutato dalla società stessa.

Questo nonostante il clima di accoglienza di cui parlava prima?
Questo avviene da parte degli Induisti. Chi da Induista decide di abbracciare la religione Cristiana, o Musulmana o qualsiasi altra, molte volte non viene accettato dal clan e dalla famiglia e rimane da solo, si trova a vivere per conto suo e perde ogni diritto. È vero che c'è un clima di accoglienza, ma è altrettanto vero che ci sono anche queste cose. Inoltre per cambiare religione uno deve avere il permesso complicato del tribunale e tanto altro, è abbastanza complicato.

Insieme a queste immagini di denuncia, quindi, Suor Mariacielo Biella ha concluso l'intervista: noi le auguriamo di poter riprendere il suo operato in missione al più presto, e di poter continuare anche da lontano a portare un aiuto, piccolo o grande che sia, a chi è meno fortunato di noi.

Giulia Guddemi
Invia un messaggio alla redazione

Il tuo indirizzo email ed eventuali dati personali non verranno pubblicati.