Casatese: una donna finisce a processo per insulti, appostamenti e chiamate al suo 'ex'

Si erano trasferiti nel lecchese nel 2005, cinque anni dopo il matrimonio e uno dopo la nascita della loro bimba. Ma qui lei non era felice, voleva tornare in quella regione del sud Italia dove erano cresciuti e dove avevano costruito la loro famiglia.
Per questi motivi il loro rapporto si sarebbe incrinato, fino alla separazione e al divorzio. L'incubo per lui, 47enne ora residente nel comasco, sarebbe iniziato una volta intrapresa una relazione con un'altra donna, a fine 2013.
A raccontare quanto avvenuto da quel momento in poi è stato lo stesso uomo, costituitosi parte civile nel processo che vede la sua ex moglie imputata per maltrattamenti in famiglia.
''Ho iniziato a trovarmela ovunque, mi seguiva al lavoro e a fare la spesa, mi tempestava di chiamate, si segnava la targa della mia nuova compagna e si presentava sotto casa a suonare insistentemente il campanello'' ha detto la parte offesa questa mattina in tribunale, rispondendo alle domande del Vpo Mattia Mascaro. ''Mi insultava dicendo che ero un padre di merda e che facevo schifo, non mi faceva vedere nostra figlia e mi faceva fare figuracce davanti ai miei vicini tant'è che ho dovuto cambiare più volte casa''.
L'uomo infatti nel giro di pochi anni sarebbe stato costretto a traslocare ripetutamente da un comune all'altro del circondario casatese, fino a stabilirsi in provincia di Como. ''Non so come fosse possibile, ma riusciva sempre a trovarci'' ha continuato l'uomo. ''Tramite i servizi sociali allertati per monitorare nostra figlia le tenevo nascosto il mio nuovo indirizzo ma puntualmente lo scopriva, cominciando da capo a presentarsi sotto casa''. Ma non si sarebbe fermata solo a lui, come infatti dichiarato dalla nuova compagna del 47enne, anche lei sarebbe stata seguita. ''Me la trovavo al supermercato, oppure mentre ero al parco con nostro figlio. Lo chiamava sempre e stavano a discutere di cose loro passate'' ha detto la teste. ''Ma poi ho saputo che ha detto cose anche sul mio conto''.
La donna infatti, riuscendo a stento a trattenere le lacrime mentre raccontava l'episodio, ha parlato di quando, mentre era in ospedale dopo la nascita di loro figlio, il suo compagno era stato fermato per strada dall'imputata che ha augurato a lei ''di morire'' e che ''il bambino fosse malato''.
''Non riusciva a farsi una ragione del fatto che lui avesse voltato pagina'' ha continuato lei. ''Quando lo chiamava gli diceva che sarebbe stata sempre dietro di noi, che non ci avrebbe mai lasciato in pace e che dovevo stare attenta a come camminavo e a dove sarei andata. Una volta ci ha anche pedinato in macchina col bimbo piccolo''.
Al termine di una lunga udienza durata più di due ore e mezza è intervenuto il comandante della stazione dei carabinieri di Cremella, maresciallo Ezio Riboldi che ha relazionato al giudice le indagini svolte sull'utenza telefonica della parte offesa. Nell'arco di poco meno di sei mesi -tra dicembre 2015 e giugno 2016- sarebbero intercorsi circa 350 contatti telefonici, tra chiamate e messaggi, tra le utenze dei due ex coniugi anche se -a detta della parte offesa- l'imputata non si sarebbe fermata solo ad usare il suo numero di telefono ma anzi di aver spesso approfittato del cellulare della figlia.
Il giudice Giulia Barazzetta ha aggiornato il processo al prossimo 21 settembre con l'audizione dei residui testimoni della parte civile e per l'esame dell'imputata.
B.F.
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