Viganò: dirigente FIMI a giudizio per truffa e infedeltà patrimoniale ma è stato assolto
Il tribunale di Lecco
Nel settembre 2017, entrando in FIMI dopo l'acquisizione del 61% delle quote dell'impresa, minata dalla crisi del settore siderurgico, il nuovo AD - come da lui stesso raccontato in apertura di dibattimento, ormai due anni fa - avrebbe acceso un faro sull'operato dello storico collaboratore della famiglia Rovelli, assunto quale disegnatore tecnico e arrivato a conquistarsi - parole di Pensotti - la "fiducia illimitata" della proprietà, svolgendo - sempre a suo dire - la funzione di direttore generale di fatto. Nel dettaglio l'attenzione si sarebbe focalizzata su due imprese che - concretamente - lavoravano solo per l'azienda di Viganò, a sua volta in rapporti commerciali con clienti di rilievo quali Tata India, Thyssenkrupp, Arcelormittal e la "vecchia" Ilva, solo per citare i più noti. Villa sarebbe risultato socio al 33% di una carpenteria con sede in Moldavia che fatturava un milione di euro l'anno alla FIMI (venendo tra l'altro pagata con puntualità mentre altri fornitori venivano lasciati in dietro per problemi di liquidità) per lavorazioni che l'impresa brianzola le delegava, pur essendo geograficamente lontana e pur restituendo un prodotto finito non propriamente all'altezza. Da qui l'accusa di infedeltà patrimoniale.
Uno spedizioniere, poi, avrebbe imputato alla FIMI, in quattro anni, costi per circa 350.000 euro relativi alle soste dei macchinari aziendali destinati ai clienti, cifra abnorme rispetto a quella pagata da Pensotti per l'altra società di cui è titolare. Ed ecco dunque l'accusa di truffa in capo a Villa, "in combutta" secondo il quadro accusatorio con non meglio identificati addetti della società di trasporto.
All'esito del processo è stata la stessa Procura, nella persona del dr. Paolo Del Grosso, a chiedere l'assoluzione del colletto bianco per entrambi i capi d'imputazione. Tecniche le motivazioni relative all'infedeltà patrimoniale, reato "contestabile" al direttore generale dell'impresa. In riferimento a Villa non sarebbe però emersa la prova che lo stesso avesse la direzione su tutti i settori dell'impresa e che fosse cinghia di collegamento tra il CdA e i vari dirigenti. Formalmente era a capo solo dell'ambito commerciale. Ecco dunque quale conclusione "il fatto non sussiste", comune all'ipotizzata truffa in mancanza di riscontri sui ruoli e i rapporti tra il dipendente FIMI e i supposti altri coinvolti quali addetti della società di spedizioni.
È andato oltre nello sviscerare tecnicamente la questione il difensore. L'avvocato Stefano Pelizzari, tra le altre cose, a riprova della mancanza degli elementi fondanti del reato, per quanto attiene la società moldava ha rimarcato come la stessa fosse tra i fornitori della FIMI e non in concorrenza con la stessa per ipotizzare un eventuale conflitto di interessi in capo a Villa, sottolineando tra l'altro come Pompeo Rovelli fosse a conoscenza della presenza del suo assistito nella compagine societaria dell'impresa dell'Est.
Circa lo spedizioniere, invece, il penalista ha evidenziato come non fosse stato l'imputato a sceglierlo ma come Villa abbia continuato invece a servirsi dei servizi offerti pur più onerosi per l'affidabilità sempre dimostrata dal vettore, i cui costi, per giunta, non venivano imputati alla FIMI ma direttamente ai suoi clienti che, liberamente, potevano optare per avvalersi di altri operatori del settore. L'azienda viganese non sarebbe stata dunque svantaggiata dalla decisione di preferire la qualità alla convenienza, scelta "non sindacabile dal giudice che fa il giudice e non l'imprenditore".
Veloce la camera di consiglio, con il "fatto non sussiste" effettivamente sancito dal collegio. Le motivazioni in 60 giorni.
A.M.