Annone, crollo del ponte: nel rimpallo di responsabilità, le difese 'accusano' il tir e l'impresa. A settembre la sentenza
Dal loro punto di vista, se il tir dell'azienda bergamasca non fosse transitato lungo il cavalcavia, o perlomeno se l'autista avesse attraversato la SP49 rimanendo al centro della carreggiata, il manufatto con tutta probabilità non sarebbe mai crollato. Un concetto, quest'ultimo, che è emerso con forza quest'oggi, durante l'ultima udienza prima del pronunciamento del giudice Enrico Manzi che il prossimo 6 settembre metterà la parola fine (perlomeno in primo grado) alla vicenda giudiziaria, a un lustro dalla tragedia che costò la vita al civatese Claudio Bertini, oltre al ferimento di altri automobilisti in transito lungo la superstrada 36.
Un convincimento - quello delle difese - che stride con la posizione della Procura di Lecco, che non aveva però ravvisato eventuali profili di responsabilità penale in ordine a quanto accaduto, nei confronti dell'impresa di Albino.
All'esito delle indagini coordinate da ben tre magistrati che si sono ''passati di mano'' il fascicolo (Nicola Preteroti, seguito da Cinzia Citterio e infine da Andrea Figoni, quest'oggi sostituito in Aula dal vpo Pietro Bassi) la scelta era stata quella di indagare e di chiedere poi il rinvio a giudizio nei confronti unicamente di quattro esponenti della pubblica amministrazione, per i quali lo scorso mese è stata proposta la condanna.
Stamani, nell'udienza tornata ad essere celebrata (dopo qualche mese a Como) presso il tribunale a Lecco, dopo l'intervento della parte civile Codacons - l'unica rimasta dopo la revoca di tutte le altre - e la parola concessa ai responsabili civili, è stata la difesa dell'architetto Silvia Garbelli (dirigente della Provincia di Bergamo) a formulare la propria arringa, seguita poi dagli altri colleghi intervenuti in rappresentanza degli imputati Andrea Sesana, Giovanni Salvatore e Angelo Valsecchi, dirigenti della Provincia di Lecco e di Anas.
L'avvocato Ilaria Dioli (affiancata dal collega Vittorio Meanti del foro di Cremona) pur ammettendo la presenza di alcune anomalie nell'autorizzazione rilasciata a Nicoli dalla propria assistita - chiamata ad occuparsi di un compito a lei sconosciuto, dovendo sostituire un collega in ferie - ha evidenziato la prescrizione di condotta indicata: il mezzo pesante avrebbe dovuto attraversare il manufatto senza superare i 20 km/h, rimanendo al centro della carreggiata.
Circostanza non verificatasi; eppure a detta della difesa Garbelli, l'impresa di autotrasporti bergamasca conosceva bene le normative del codice della strada, così come doveva immaginare quanto potesse essere opportuno transitare muniti di un servizio scorta. Eppure avrebbe affrontato questo rischio, sperando che non capitasse nulla di anomalo. ''Il provvedimento non sarà stato perfetto, ma non può essere considerato causativo dell'evento. La mia assistita non è responsabile'' ha aggiunto l'avvocato Dioli, chiedendone l'assoluzione perchè ''il fatto non sussiste''. Due anni era stata la richiesta di condanna formulata a suo carico dal PM Figoni.
Ha invece ripercorso passo dopo passo il drammatico episodio risalente al 28 ottobre 2016 invitando a non considerarlo ''con il senno del poi'', l'avvocato Stefano Pelizzari che assiste Andrea Sesana, tecnico del settore viabilità della Provincia di Lecco, al quale - a detta del legale - il pubblico ministero avrebbe associato fatti e competenze tutt'altro che attribuibili. Per far meglio comprendere la propria tesi, il difensore ha richiamato una figura, quella dell'agente modello, che in giurisprudenza rappresenta il parametro di riferimento nel giudizio di responsabilità colposa. Un richiamo a detta dell'avvocato Pelizzari necessario per trovare il giusto punto di equilibrio fra l'elemento oggettivo e soggettivo, valutando cioè come avrebbe dovuto agire l'imputato in quella circostanza, senza ragionare a posteriori, a fatti già accaduti.
Sesana è un ingegnere con laurea triennale, senza competenze da strutturista; il rischio concreto di un cedimento non l'aveva ravvisato neppure il dirigente Valsecchi, ma quel giorno, dopo aver parlato con i propri cantonieri, l'imputato aveva dato indicazioni per preparare la cartellonistica necessaria alla chiusura della SP49, in attesa che i tecnici e dirigenti Anas arrivino ad Annone per il sopralluogo.
Una circostanza, quest'ultima, rispetto alla quale - come ha precisato Pelizzari - l'ingegner Sesana aveva chiesto ripetute rassicurazioni. ''Pensava fossero già partiti da Milano, quando invece non era così. Se avesse saputo come stavano le cose non avrebbe chiesto le due righe ad Anas per poter disporre la chiusura della strada provinciale'' ha detto il difensore, ritenendo che quel nulla osta fosse necessario in quel momento, tenendo conto anche delle ripercussioni sulla viabilità locale. Sesana - a detta dell'avvocato Pelizzari - non poteva affidarsi alle sensazioni del cantoniere e non aveva elementi concreti poichè non conosceva il rischio reale rispetto ad un eventuale crollo.
Sulla titolarità del ponte, il difensore ha ribadito come il proprio assistito pensasse fosse in capo ad Anas che altrimenti non avrebbe stanziato risorse, negli anni, per finanziare i lavori di manutenzione dello stesso. Di autorizzazioni al transito di trasporti eccezionali sul cavalcavia annonese infine, la Provincia lecchese non ne aveva mai rilasciate.
''Il ponte non è crollato per la richiesta delle due righe scritte avanzata dall'ingegner Sesana, ma per anni di mancata manutenzione e incuria'' ha concluso l'avvocato Pelizzari, chiedendo l'assoluzione perchè il ''fatto non costituisce reato'' o in subordine perchè il ''fatto non sussiste''. Il PM Figoni invece, aveva chiesto una condanna a quattro anni, stessa pena ipotizzata nei confronti di Giovanni Salvatore dirigente Anas.
Per l'avvocato Raffaella Rizza, difensore di quest'ultimo, il ponte sarebbe rimasto nella disponibilità della Provincia di Lecco, senza che il passaggio di proprietà fosse completato. Lo dimostrerebbe l'assenza del manufatto nel catasto delle opere di competenza della società che gestisce la rete viabilistica locale.
Dopo aver ripercorso il passaggio - di fatto mai avvenuto - fra i due enti, il difensore del foro di Milano ha ''assolto'' il proprio assistitito dall'aver sottovalutato i rischi di cedimento del ponte, poichè a suo dire non erano mai stati ravvisati problemi strutturali. ''Non vi era evidenza che il manufatto non fosse sicuro: era stato progettato per sopportare un traffico ordinario, non vi era alcuna urgenza di intervenire'' ha detto il difensore, evidenziando la carenza di un nesso causale fra la condotta dell'imputato - che sino a pochi anni prima in Anas deteneva un altro ruolo - e il crollo del ponte annonese. ''La situazione non sarebbe stata allarmante se il cavalcavia fosse stato utilizzato secondo la sua ordinaria destinazione, precluso al transito dei trasporti eccezionali'' ha aggiunto, ribadendo che il transito al centro della carreggiata da parte del camion Nicoli, avrebbe evitato la tragedia.
A concludere gli interventi dei difensori, l'arringa dell'avvocato Edoardo Fumagalli, difensore di Angelo Valsecchi, dirigente della Provincia di Lecco all'epoca dei fatti. Al contrario di quanto asserito poco prima dalla collega, il legale ha ribadito il convincimento secondo il quale la titolarità del ponte spettasse ad Anas, mentre l'unica incombenza in capo all'ente con sede a Villa Locatelli sarebbe stato il rifacimento del manto stradale della SP49, l'arteria a scavalco del cavalcavia. ''Quando Valsecchi è arrivato in Provincia, la situazione era già consolidata: il ponte aveva caratteristiche militari, come ben si poteva leggere nel verbale datato 1990. In cosa avrebbe mancato?'' si è chiesto, ribadendo - richiamando la testimonianza di un dipendente dall'azienda Battazza - la mancata autorizzazione al transito di trasporti eccezionali da parte della Provincia di Lecco, e puntando il dito contro i colleghi dell'ente orobico che a suo dire avrebbero dovuto intimare la presenza di una scorta, senza considerarla implicita, oltre che contro Nicoli, proprietaria del tir sotto il cui peso il ponte era crollato, non essendo transitato al centro della carreggiata, come rilevato anche dai colleghi. Nel concludere il proprio intervento, il più lungo dei quattro, l'avvocato Fumagalli ha chiesto l'assoluzione del proprio assistito perchè ''il fatto non sussiste''. Ben diversa la posizione del PM Figoni che il mese scorso aveva proposto una condanna alla pena di tre anni e sei mesi nei confronti di Valsecchi.
Il prossimo 6 settembre, dopo le eventuali repliche, la parola finale spetterà al giudice Manzi che chiuderà la sua lunga ed apprezzata esperienza lecchese pronunciando la sentenza su uno degli episodi di cronaca più gravi della storia del nostro territorio.