Casatese: chiesti 8 mesi per l'imprenditore accusato di stalking verso una dipendente


L'ingresso al palazzo di giustizia lecchese

Otto mesi: è la richiesta di condanna avanzata dal vice procuratore onorario Mattia Mascaro, nei confronti di un piccolo imprenditore finito a processo per stalking nei confronti di una propria dipendente.
Per conoscere l'epilogo della vicenda giudiziaria bisognerà attendere il prossimo 24 gennaio quando il giudice in ruolo monocratico Giulia Barazzetta pronuncerà la sentenza, al termine di un'istruttoria dibattimentale durata oltre un anno.
Stamani la discussione, con la parola alla pubblica accusa e alla parte civile rappresentata dall'avvocato Angelo Bianchi del foro di Como che si è sostanzialmente associato alla richiesta di condanna nei confronti dell'imputato, difeso invece dall'avvocato Davide Minervini.
La vicenda riguarda le presunte ''attenzioni morbose'' che l'uomo - all'epoca dei fatti operante con la propria attività professionale nel territorio casatese - avrebbe rivolto ad una sua collaboratrice. Una conoscenza, quella fra i due, nata nell'ambito lavorativo e che poi si era estesa a quello familiare, avendo infatti la donna presentato il suo capo sia al fratello, sia alla madre.
Una frequentazione piuttosto breve che probabilmente l'imputato deve avere mal interpretato, facendo poi delle avances piuttosto insistenti alla giovane. Alla decisione di quest'ultima di troncare ogni rapporto, l'imprenditore non l'avrebbe presa affatto bene, con continui insulti, telefonate, messaggi whatsapp e via Facebook inviati alla parte civile, che si era quindi rivolta ai carabinieri della stazione di Casatenovo presentando una denuncia-querela.
I militari avevano escusso la parte offesa e i suoi familiari, analizzando poi - dopo il nulla osta giunto dalla Procura - i tabulati telefonici. Da qui erano risaliti così al numero di cellulare dell'imputato dal quale sarebbero appunto partite quasi novecento chiamate in poco più di un mese, tutte indirizzate all'utenza della querelante. Tra i vari documenti allegati alla denuncia anche un certificato medico che attestava lo stato di ansia nel quale era precipitata la donna, che aveva poi rinunciato a recarsi al lavoro proprio per il difficile clima che si era creato.
Ben diversa la verità, in merito alla natura del legame instauratosi fra i due, rappresentata dall'imputato e ribadita stamani in fase di discussione dal suo difensore. Si torna in aula a gennaio per la sentenza.
G. C.
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