Casatese: africano condannato a 8 anni e mezzo per violenza sessuale su sua figlia


Avrebbe ripetutamente abusato della figlia, costringendola a pratiche sessuali contro la sua volontà. Un uomo, classe 1973, africano d'origine ma da anni residente sul territorio casatese, prima a Monticello poi in altro comune limitrofo, è stato quest'oggi condannato a 8 anni e 6 mesi di reclusione dal collegio giudicante del Tribunale di Lecco (presidente Martina Beggio, a latere i colleghi Giulia Barazzetta e Gianluca Piantadosi). Nei suoi confronti la pubblica accusa - nella mattinata odierna rappresentata in Aula dal sostituto procuratore Paolo Pietro Mazza - aveva chiesto una pena più lieve: 6 anni e 9 mesi, il conto finale presentato dal magistrato, ritenendo attendibile la denunciante e dunque la ragazza - nel frattempo diventata maggiorenne - che, confidandosi dapprima con alcune compagne di classe poi con un'insegnante, ha trascinato a giudizio il padre, presente personalmente in udienza al fianco dell'avvocato Cesare Molteni. Il difensore nella propria arringa si era battuto per l'assoluzione dell'africano, mettendo in dubbio la credibilità della presunta vittima, tacciata di aver sottovalutato le conseguenze delle dichiarazioni rese in sede di querela, complice la giovane età e una differente cultura d'origine. La denuncia - secondo la toga comasca - sarebbe conseguenza di una gita fatta saltare dall'imputato all'adolescente per ragioni economiche e celerebbe l'intento ultimo della ragazza ovvero far arrivare in Europa - "dove si crede ci sia il Bengodi" - anche la madre che già in Ghana, muovendo accuse all'uomo proprio sulle presunte attenzioni morbose rivolte alla figlia, aveva provato ad ottenere dallo stesso del denaro.

Evidentemente di diverso avviso il Tribunale che - oltre a condannare l'africano a 8 anni e 6 mesi - ha riconosciuto un risarcimento quantificato in 25.000 euro in favore della persona offesa, come da richiesta dell'avvocato Grazia Corti. Proprio il legale di parte civile, rassegnando le proprie conclusioni, aveva fatto presente come pur di allontanarsi dall'abitazione di famiglia - dove la giovane viveva con il padre e lo zio, condividendo per un lungo periodo la camera da letto con entrambi - la ragazza avesse chiesto, prima di sporgere denuncia, ad una professoressa se avesse contatti utili per essere assunta come badante, vedendo poi la propria libertà momentaneamente limitata, dalle conseguenze della querela, con l'inserimento in una struttura protetta. Ciò a riprova della veridicità tanto delle accuse mosse al padre tanto del suo turbamento per ciò che sarebbe stata costretta a subire tra le mura domestiche.

A.M.
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