Storie universitarie/2: Bianca Chiusi, da Besana a Trondheim (Norvegia) nel segno dell'architettura sostenibile
In primo piano Bianca Chiusi durante la video intervista
1.Qual è stato il percorso che ti ha portato a scegliere Progettazione dell'Architettura?
Preciso subito che non è stata una di quelle cose che avevo in mente sin da quando ho cinque anni. Durante il liceo ho coltivato diversi interessi, pensa che in quinta superiore ero convinta di iscrivermi a scienze della formazione primaria. Alla fine, ho scartato questa ipotesi perché avevo già il desiderio di andare a studiare all'estero. Durante un viaggio in autostrada, chiacchierando con una mia amica è venuta fuori architettura. Il più classico dei casi in cui ti si accende una lampadina.
2. Come sei venuta a conoscenza dell'esistenza di questo corso al politecnico di Milano? Quali sono state le modalità che hai usato per raccogliere informazioni su di esso? Perché hai optato per il corso in inglese?
Una volta deciso di studiare architettura, sapevo che a Milano c'era un'eccellenza in questo campo come il Politecnico quindi non ho preso in considerazione altre possibili alternative. Avendo scelto abbastanza tardi non sono potuta andare all'open day ma ho trovato tutte le informazioni che mi servivano sul sito del Politecnico. Per quanto riguarda la scelta del corso in inglese, innanzitutto prima di navigare sul sito non sapevo fosse possibile anche frequentare un corso in lingua straniera. Venuta a conoscenza di questa possibilità la scelta è stata abbastanza ovvia: inglese era sempre stata una delle mie materie preferite e in più ho pensato che iniziare a studiare in inglese sin da subito mi avrebbe aiutato in seguito nel momento in cui sarei poi andata a studiare all'estero.
3.Ripensandoci ora, cosa hai amato di più della tua esperienza in triennale? Con cosa invece hai fatto più fatica a convivere?
Un primo pregio del Politecnico è il fatto che in triennale hai la possibilità di costruirti una base molto solida che poi tu puoi usare come punto di partenza per andare a specializzarti in quello che preferisci. Poi c'è da dire un'altra cosa: frequentare una classe con ¾ di studenti provenienti da altri paesi, compresi Turchia, Cina e Brasile, è come una ventata di aria fresca. Fino a quel momento ero abituata ad un ambiente abbastanza omogeneo: tutti i miei amici avevano un fratello o una sorella, un cane o un gatto, una casa con giardino e così via. Già andare tutti i giorni a Milano ti apre la mente, frequentare una classe con studenti internazionali ancora di più. Dall'altro lato, purtroppo, a volte la qualità dell'insegnamento era penalizzata dal fatto che non tutti i docenti erano in grado di spiegare con un inglese fluido.
4. Che cosa si intende esattamente per "sustainable architecture"? Come mai hai deciso di specializzarti proprio in questo ambito e proprio in Norvegia?
L'obbiettivo di questo corso di laurea specialistica, aperto anche agli ingegneri, è formare dei professionisti con competenze utili a diminuire l'impatto ambientale degli edifici. La prospettiva è quella di imparare a costruire degli "zero - emission building", ovvero edifici che, nel corso della loro vita, siano in grado di produrre, attraverso pannelli solari e altre tecnologie simili, un quantitativo di energia tale da andare a compensare le emissioni che sono state prodotte durante la fase di progettazione e realizzazione degli stessi. Spinta dal desiderio di fare qualcosa per l'ambiente anche sul piano professionale, ho scelto di frequentare questo corso in Norvegia perché qui presso l'università di Trondheim si trova un centro di ricerca specializzato nella costruzione di edifici a zero emissioni.
5.Quali sono le principali differenze tra l'università qui e l'università in Norvegia?
Mentre in Italia l'orario prevedeva, per esempio, 12 ore a settimana di un corso di progettazione ma in realtà le ore di lezione erano solo tre e il resto del tempo era dedicato al lavoro di gruppo, qui c'è un'impostazione diversa: l'orario riporta le ore di lezione frontale, poi sta agli studenti decidere quando e per quanto tempo riunirsi per lavorare ai compiti assegnati. Altra cosa da sottolineare è la presenza di un clima molto più rilassato in aula grazie alla cordialità e alla disponibilità dei professori con cui si è creato fin da subito un rapporto amichevole. Più in generale qui vige l'idea secondo cui l'università è lo spazio dello studente: ogni studente della magistrale ha il suo banco, ci sono aule relax con tanto di divani e acquarelli e si cerca di puntare più sulla pratica che sulla teoria. Per esempio, sono proposte diverse attività per lo sviluppo di capacità come quella di lavorare in gruppo anche con persone che studiano cose diverse, come probabilmente dovremo fare quando lavoreremo.
6. Quale è la cosa ami di più della vita in Norvegia e dei norvegesi? Quale è la cosa che ti manca di più dell'Italia?
Qui a Trondheim c'è un perfetto equilibrio tra la foresta, che si trova a cinquanta metri da dove vivo, e i servizi offerti dal centro città, distante cinque minuti in pullman. Poi le infrastrutture sono semplicemente ottime: possono muovermi tranquillamente per andare ovunque sia in pullman sia in bicicletta, dato che c'è un'estesa rete di piste ciclabili. Inoltre, anche il cassiere del supermercato parla benissimo inglese quindi non ho problemi a farmi capire. Per quanto riguarda le cose che mi mancano, ovviamente sento la mancanza della famiglia e degli amici ma per il resto mi sono ambientata molto bene. Certo, non mangio al ristorante per evitare di lasciarci un rene tutte le volte ma non è un problema.
7. Quali caratteristiche dovrebbe avere uno studente per portare avanti un percorso di studi nell'ambito dell'architettura?
I progetti portano via tantissimo tempo in un modo a cui uno studente delle superiori non è abituato. Non si tratta di studiare enormi libri o di fare centinaia di esercizi, è una cosa completamente diversa. Serve organizzazione, per conciliare i corsi di progettazione con i corsi teorici, e tanta pazienza, perché spesso dopo che hai lavorato per un mese su un progetto quello stesso ti viene più o meno demolito dal professore quindi devi ricominciare. Io ho fatto tra i 13 e i 15 lavori di gruppo in tre anni: bisogna anche essere pronti a lavorare con altre persone e a gestire l'eventualità che i compagni non siano proprio d'aiuto.