Ucraina, l'ipocrisia della politica europea di fronte una guerra evitabile
Inviare armi a un paese in guerra equivale a prendere parte a quella guerra. Nel modo più ipocrita possibile. Facendola combattere ad altri eserciti e facendo ricadere le conseguenze su altri popoli chiamati a pagare un prezzo pesantissimo. In questa situazione l'Ucraina può essere vista solo come una vittima sacrificale degli stati europei.
Dal crollo del muro di Berlino la guerra è divenuta una presenza costante nell'azione politica dei governi europei. Pensiamo alla Guerra del Golfo, dei Balcani, della Jugoslavia e del Kosovo. Le guerre in Afghanistan, Iraq e Libia. Per alcune si coniò il termine di "guerra umanitaria". Per altre vennero commesse violazioni del diritto internazionale al pari di quelle commesse oggi dalla Russia.
Fra queste, la guerra Ucraina appare come una delle più evitabili. Nei primi anni Novanta gli allora diplomatici di Stati Uniti e dei principali paesi europei, grazie alle loro capacità, gestirono l'implosione dell'Urss, la riunificazione delle due Germanie, la denuclearizzazione dei paesi ex sovietici e l'espansione verso Est della Nato senza causare crisi gravi. In particolare, l'espansione della Nato, includendo alcuni paesi che gravitavano nel Patto di Varsavia, avvenne offrendo garanzie di sicurezza - come il Pfp - alla Federazione Russia. Una pratica, quella del dialogo fra stati e potenze, che è stata completamente disattesa dalla generazione di politici che ha guidato i paesi europei nell'ultimo ventennio.
La crisi ucraina odierna - proseguo di quella iniziata nel 2014 - è figlia del clima di sfiducia reciproca instauratosi fra Stati Uniti, Nato, Europa e Russia a partire dalla guerra contro la Jugoslavia nel 1999. Dopo aver umiliato la Federazione Russa alla fine degli anni Novanta - l'ascesa di Putin è figlia e conseguenza di quell'umiliazione - i leader europei hanno scelto di lasciare aperta la possibilità di adesione dell'Ucraina alla Nato. Un paese il cui ingresso nell'Alleanza non porta nessun beneficio in termini di sicurezza.
Una seconda umiliazione nei confronti della Russia che è giunta quando la soluzione - in grado di mantenere la pace nel Vecchio Continente - era presente. Praticabile attraverso lo status di neutralità dell'Ucraina. Non stupiamoci quindi di essere precipitati in un nuovo conflitto. Per quanto la guerra possa essere uno strumento deprecabile, non è uno strumento fuori dalla storia. Pensiamo ai diversi conflitti condotti dai paesi europei dal 2001 ad oggi. Alcuni dei quali avvenuti nel silenzio e senza prese di posizioni da parte delle società civili occidentali.
Oggi, i politici europei hanno eletto l'Ucraina - e il suo popolo - a vittima sacrificale di quello che loro stessi percepiscono come un nuovo grande gioco europeo - in realtà molto piccolo - contro la Russia. In questi giorni rileggere le tesi sull'allargamento della Nato sostenute da Kissinger e Sergio Romano, negli anni Novanta, risulterebbe illuminante.
Ma, ormai è troppo tardi. Siamo di fronte al trionfo dell'ipocrisia che regna sovrana fra molti politici europei. Fra chi vede l'Europa - e sé stesso - al centro della scena mondiale, quando in realtà è ai margini e destinato inevitabilmente al declino. Un declino che si inserisce nella crisi del sistema internazionale e delle sue istituzioni. Pensiamo alle Nazioni Unite, grandi assenti in questa crisi. In questo quadro già critico, la volontà di evitare il conflitto armato avrebbe dovuto essere l'unica via maestra da seguire.
Invece che tingere giornali e telegiornali con la propaganda, sarebbe opportuno chiedersi se quella nuova classe politica che ha fatto precipitare l'Europa nella più grande crisi degli ultimi decenni sia effettivamente in grado di riportare in condizioni di pace il continente.