Buoni fruttiferi falsificati: l'ex dipendente di Poste si difende davanti a giudici e PM. ''Non ho mai truffato l'azienda o i clienti''

''Non ho mai sottratto soldi ai clienti, non ho truffato l'azienda. Sono capitato nel posto sbagliato al momento sbagliato''. Ha concluso così, il proprio esame dinnanzi al collegio giudicante, J.D.B. 38enne ed ex dipendente di Poste Italiane chiamato a rispondere delle accuse di falso e peculato in concorso con ignoti, per il pagamento di una serie di buoni fruttiferi emessi negli anni Ottanta.
Se nelle scorse udienze aveva dovuto ascoltare attentamente le testimonianze rese da alcuni ex colleghi, nel pomeriggio odierno il moltenese ha potuto riferire la propria versione dei fatti, assistito dagli avvocati Giovanni e Paolo Priore, suoi difensori di fiducia.

L'ingresso al palazzo di giustizia lecchese

Un lungo racconto, nel corso del quale l'imputato ha rivendicato la buona fede del proprio operato, sia al servizio di Poste Italiane (costituitasi parte civile tramite un legale del foro di Roma) sia degli utenti, tentando di smontare l'impianto accusatorio sostenuto dalla Procura lecchese, quest'oggi rappresentata in aula dal pubblico ministero Chiara Di Francesco.
All'ex operatore dell'ufficio postale di Civate (chiamato spesso a sostituire colleghi di altri sportelli in ferie o in malattia) viene infatti imputata la co-responsabilità in ordine ad una sorta di truffa messa a segno fra il 2015 e il 2017 ai danni dell'azienda e di alcuni utenti, nel frattempo risarciti. Dalle indagini svolte è infatti emerso che in quattro circostanze sarebbe stato proprio il moltenese a dirigere i tre uffici postali di Oggiono, Barzanò e Annone coinvolti nella vicenda giudiziaria quando - presunti complici mai individuati - avrebbero presentato all'incasso i buoni falsificati. Una truffa che avrebbe fruttato a ignoti un bottino decisamente consistente: circa 770mila euro, dei quali oltre 500mila nel solo ufficio postale barzanese.
Per la Procura il modus operandi, piuttosto semplice, era il seguente: i buoni postali sarebbero stati riprodotti su buoni originali ma ''in bianco'', rubati negli anni Ottanta negli uffici postali e compilati con abilità in modo da renderli identici a quelli effettivamente sottoscritti, con tanto di regolare (e corrispondente) numero di matrice. Ad incassarli soggetti rimasti al momento ignoti, muniti della carta d'identità, chiaramente falsificata, dell'effettivo intestatario.
Il 38enne (che dopo l'esperienza in Poste risulta alle dipendenze di un Comune lecchese che lo ha però sospeso in via cautelativa proprio a seguito del procedimento penale in corso ndr) rispondendo alle domande del proprio difensore ha sviscerato ciascuno dei singoli episodi contenuti nel capo di imputazione. A partire dal più datato, quello di Oggiono; qui si sarebbe presentato agli sportelli un anziano signore che voleva rimborsare i buoni postali. Un'operazione che a J.D.B. era sembrata uguale a molte altre, tanto da non muovere in lui alcun sospetto circa la legittimità dei documenti e dei buoni che apparivano in tutto e per tutto in linea con quelli originali.
In quell'occasione non aveva consultato l'oracolo (il sistema per accertare la veridicità di documenti d'identità e operazioni postali), ma nel suo esame il moltenese ha spiegato che non era obbligatorio, trattandosi di un sistema all'epoca dei fatti discrezionale. ''Ho controllato la posizione anagrafica del cliente per verificare quali rapporti con Poste avesse'' ha detto, precisando che poco prima il soggetto aveva aperto un avendo un conto corrente presso l'ufficio postale di Erba. Si trattava dunque di una persona ai suoi occhi affidabile, già censito dal sistema aziendale e sulla serietà del quale non aveva motivi di dubitare.
Il secondo episodio contestatogli risale all'anno successivo quando J.D.B. era stato chiamato a svolgere la duplice funzione di direttore e di sportellista dell'ufficio di Barzanò a seguito dell'assenza della responsabile e dell'improvvisa malattia di una collega. ''Una signora si era presentata chiedendo il rimborso dei buoni. Anche qui ho effettuato controllo di tutto secondo la procedura e svolto l'iter solito al pc'' ha raccontato, aggiungendo di aver dovuto attendere il via libera della sede centrale prima di poter autorizzare l'operazione. ''Ho fatto le fotocopie e inviato tutto alla filiale di Lecco, dal quale mi è stato dato l'ok''.
Anche in questo caso dunque, nulla aveva destato i sospetti dell'imputato che qualche dubbio l'ha invece nutrito su un'altra operazione svolta presso l'ufficio di Via Garibaldi a Barzanò. Nei mesi successivi allo sportello situato a pochi passi dalla parrocchia di San Vito si era infatti presentata un'utente con la richiesta di cambiare parecchi buoni postali per un valore complessivo di circa 500mila euro. Denaro che alla donna serviva per poter acquistare un immobile all'estero. ''Subito chiamai in direzione provinciale per capire come comportarmi e il commerciale mi rispose che era un suo diritto'' ha aggiunto il 38enne, aggiungendo di aver contestualmente aperto un conto corrente intestato alla signora sul quale era confluita la cifra, poi trasferita in Croazia attraverso un bonifico. L'imputato ha tuttavia precisato di aver effettuato un controllo sulla posizione anagrafica e svolto l'oracolo, nel frattempo divenuto obbligatorio. Eppure, vista l'entità della cifra e il trasferimento del denaro all'estero, J.D.B. aveva segnalato all'azienda l'opportunità di segnalare l'operazione all'antiriciclaggio. ''A mio avviso serviva un controllo esterno'' ha chiosato il 38enne rivolgendosi al collegio giudicante composto dal presidente Martina Beggio con a latere i colleghi Giulia Barazzetta e Gianluca Piantadosi.
Infine l'ultimo caso, registratosi quando il moltenese era alla direzione temporanea dell'ufficio di Annone. ''Si era presentata una signora che chiedeva il rimborso dei buoni, anche in quel caso per un acquisto immobiliare. Non ho avuto alcun sospetto, anche dall'oracolo non risultava nulla di strano'' ha asserito, ricordando di essere stato chiamato successivamente dalla collega che gli faceva notare una grave anomalia. L'effettiva titolare dei buoni aveva infatti dichiarato di non aver mai chiesto di riscuoterli; da lì la denuncia presentata dall'anziana - nel frattempo deceduta - ai carabinieri della stazione competente con l'avvio degli accertamenti per fare luce sulla vicenda.
J.D.B. ha ricordato di essere stato licenziato da Poste all'esito di un'indagine interna; una decisione impugnata dal 38enne dinnanzi al giudice del lavoro ma che non ha variato l'esito del rapporto con l'azienda, dal quale è però uscito con il massimo riconoscimento economico che poteva trarre secondo quanto previsto dalla legge Fornero.
Nel suo esame l'imputato ha poi negato la veridicità delle affermazioni rese a inizio udienza da un teste (assistito da un legale, avendo patteggiato per un'altra vicenda in qualche modo connessa a quella odierna ndr) del pubblico ministero e della difesa; un 40enne con il quale il moltenese giocava a calcetto e al quale avrebbe confidato di essere finito fra gli indagati di una truffa ai danni di Poste dalla quale avrebbe guadagnato circa 8mila euro. Uno scenario respinto con forza da J.D.B. che si è detto completamente estraneo alle accuse che gli vengono contestate.
''Ho sempre operato e agito in buona fede: non mai nutrito sospetti che queste operazioni potessero essere delle truffe. Lavoravo per Poste di cui ero anche un azionista e miravo a fare carriera'' ha aggiunto, riferendo di aver subito anche una rapina mentre si trovava allo sportello. ''Se solo avessi avuto qualche dubbio non avrei mai autorizzato quelle operazioni''.
Si torna in aula il prossimo 20 ottobre per il completamento dell'istruttoria e l'eventuale discussione.
G. C.
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