Storie universitarie/13: Michela Cavenaghi, da Molteno a Bologna per studiare antropologia

Antropologia. Parola misteriosa, che non si sente pronunciare spesso se non nei documentari. Se si cerca questo termine sul dizionario si trova comunemente scritto che esso significa "studio dell'uomo". Non è molto d'aiuto e soprattutto non consente di comprendere che la parola antropologia è la porta di accesso ad un mondo di strumenti fondamentali per la comprensione dell'altro. Quell'altro con cui, volenti o nolenti, dobbiamo interagire, perché le persone migrano a causa, per esempio, dello scoppio di una guerra e nel farlo giungono anche tra le verdi colline brianzole o lecchesi. Di comprensione e apertura verso l'altro, di antropologia ed anche di Bologna parliamo con Michela Cavenaghi. Residente a Molteno, Michela ha conseguito la laurea triennale in antropologia, religioni e civiltà orientali presso l'Università degli Studi del capoluogo emiliano.

Michela Cavenaghi

1.Quali sono gli argomenti principali che si studiano in un corso di laurea in antropologia, religioni e civiltà orientali?

L'antropologia è lo studio delle culture e delle loro trasformazioni, a partire dalla nostra. Si affrontano tematiche come sistemi religiosi, sistemi politici, la visione del corpo e della malattia, la mitologia, i ruoli di genere. Si indaga poi come tutti questi costrutti culturali cambiano nel tempo. La triennale a Bologna presta particolare attenzione alle religioni in generale. Io, per esempio, mi sono interessata all'islam e alla chiesa ortodossa. Accanto a questo, il corso offre la possibilità di focalizzarsi su un'area di mondo di proprio interesse, di cui si studia la lingua, la storia, gli aspetti artistici e l'interazione con le potenze occidentali. L'offerta è molto ampia, sta allo studente costruire il proprio percorso.

2.Come mai hai scelto di frequentare un corso simile?

L'antropologia si definisce un "sapere strabico" perché fa guardare l'altro da un diverso punto di vista e spinge a mettere in discussione le proprie certezze. Mi sono trovata a compiere la scelta universitaria in un periodo in cui il nostro paese era interessato dalle ondate migratorie. Un periodo in cui dell'altro si diceva tanto e, dal mio punto di vista, male. Questo mi ha spinto a cercare gli strumenti utili a comprendere quello che succedeva intorno a me con la prospettiva di acquisire delle competenze che mi permettessero un giorno di aiutare la società a fare lo stesso. L'antropologia mi ha fornito proprio quello che stavo cercando.

3.Per quale motivo hai scelto di andare a studiare presso l'università degli studi di Bologna?

Una volta deciso di studiare antropologia, ho iniziato a informarmi e ho individuato corsi che mi interessavano a Bologna e a Roma. Ho optato per Bologna non solo perché la triennale trattava argomenti più vicini ai miei interessi ma anche perché sapevo che avrei trovato un contesto al di fuori dell'università conforme alla mia idea di accoglienza e apertura verso l'altro. Sapevo che la dimensione del volontariato e del mutualismo in quella città era particolarmente viva. Questo mi ha permesso di integrare i miei studi universitari con delle esperienze molto formative sia a livello umano sia a livello di competenze. Per esempio, ho svolto attività di orientamento lavorativo per migranti presso un centro culturale.

4.Ripensandoci ora, quali sono gli elementi che hai apprezzato di più della tua esperienza in triennale? Quelli che invece ti sono piaciuti di meno?

Costruire il proprio percorso di studi di fronte ad un'offerta di corsi così ampia non è un'operazione semplice. Ci si può perdere. Per esempio, ripensandoci, piuttosto che dare quei tre esami sull'America latina e iniziare a studiare spagnolo mi sarei potuta concentrare sul mondo islamico e sulla lingua araba. Inoltre, manca un po' di pragmatismo: se ci fossero stati più opportunità di tirocini e laboratori etnografici, cioè di ricerca sul campo, l'esperienza sarebbe stata più completa. Forse anche per questo motivo uno studente è spinto ad applicare concretamente le competenze al di fuori dell'università. Ciononostante, sono completamente e serenamente soddisfatta della mia esperienza in triennale.

5.Ritieni Bologna una città a misura di studente universitario? Consigli di frequentare l'università lì? Perché?

La città vive e respira con l'università. La spesa per gli studenti è scontata del 15%, il cinema costa un euro, ci sono tante opportunità ricreative per tutte le tasche. Per uno studente di antropologia poi, Bologna è proprio il posto ideale. Il terzo settore bolognese non solo è molto vivo ma è anche sviluppato in senso orizzontale. Ciò significa che sa rispondere alle esigenze di tutte le fasce della popolazione: anziani in difficoltà, persone migranti, bambini. Si può inoltre interagire sia con organizzazioni laiche sia con realtà di natura religiosa.

6.Secondo te quali sono le caratteristiche che uno studente dovrebbe avere per portare avanti in modo efficace un percorso di studi come il tuo?

Innanzitutto, credo sia fondamentale disfarsi di tutti i pregiudizi sia nei confronti dell'altro sia verso chi non condivide le proprie opinioni. Questo non vale solo prima di iniziare gli studi ma soprattutto durante l'esperienza. Del resto, una delle prime cose che ti insegnano ad antropologia è non giudicare il tuo interlocutore. È necessario avere anche tanta curiosità e voglia di mettersi in gioco. Come dicevo all'inizio, un corso di studi in antropologia spinge a mettere in discussione le proprie certezze e affrontare questo è molto faticoso.

7.Che professione ambisci a svolgere al termine dei tuoi studi? Perché?

Attualmente sono iscritta al primo anno della laurea magistrale in antropologia culturale presso l'Università degli Studi di Torino. Non ho certezze sul mio futuro professionale: un titolo di studio in antropologia è spendibile in molti ambiti, per esempio cooperazione internazionale, valorizzazione del patrimonio, accoglienza e progetti educativi. Tuttavia, per ora, nel mio futuro vedo lo studio e la ricerca, tanto è vero che sto pensando di conseguire un dottorato.

Rubrica a cura di Andrea Besati
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