'Non vedrai più tuo figlio' e vola in Algeria: mamma in Aula per 'sottrazione di minore'

La loro storia è già rimbalzata dai giornali all'attenzione del Presidente della Repubblica. Quest'oggi è stata ripercorsa in Aula. Al cospetto del giudice monocratico Paolo Salvatore si è aperto il processo a carico di una 34enne algerina trascinata in giudizio dall'ex marito, anch'egli nato nello stesso Paese ma con passaporto italiano, attualmente residente in Valsassina ma con casa nel casatese al tempo dei fatti oggetto del procedimento. "Sottrazione e trattenimento di minore all'estero", il reato ascritto alla donna, assistita dall'avvocato Paolo Rivetti, in un quadro di rapporti tesi tra i due ex coniugi.
Stando alla ricostruzione resa dall'uomo in Aula, la straniera, già nel 2013, aveva lasciato l'Italia con il loro figlioletto nato solo da otto mesi, acconsentendo al rientro del piccolo solo quattro anni dopo, al raggiungimento di un accordo che avrebbe dovuto porre fine anche alla battaglia legale intrapresa in Algeria dalla giovane per ottenere l'affido esclusivo del bambino, divenuto "condiviso", con collocamento presso il padre, sulla base del provvedimento del Tribunale di Lecco accolto da entrambi per "ripianare le divergenze e annulla le altre cause intentate".

Il Tribunale di Lecco

A luglio 2019, madre e figlio, però si sarebbero nuovamente imbarcati per l'Algeria, con un volo di sola andata, interrompendo quel via vai della donna che per 6-7 volte in quasi due anni avrebbe fatto avanti e indietro per vedere il bambino, lasciato al papà, giusto per una manciata di giorni ogni volta, non volendo trasferirsi in pianta stabile in Italia, pur ritenendo il nostro Paese più favorevole per offrire delle "chance" al minore.
"Adesso tuo figlio non lo vedi più" avrebbe scritto all'ex marito subito dopo il check-in. "Mi è anche stato fatto credere fosse morto" ha raccontato l'uomo, arricchendo il proprio racconto con una serie di dettagli sui comportamenti - a suo giudizio "sospetti" - tenuti dalla 34enne nel tempo, con la donna che, a suo dire, non vivrebbe nemmeno nell'abitazione dove l'ha poi incontrata il Console italiano ad Algeri, interessato dalla vicenda. Proprio per questa ragione - come ammesso a precisa domanda tanto del viceprocuratore onorario Caterina Scarselli tanto dell'avvocato difensore dell'imputata - non avrebbe mai provato a raggiungere il bambino, cosa che invece aveva fatto durante quello che ha etichettato come il "primo rapimento", quando per otto mesi si era stabilito in Algeria, trovando ospitalità da partenti della donna. Ha però - come fatto emergere dall'avvocato Rivetti - compiuto atti dimostrativi, cercando di raggiungere a piedi la sede Onu di Ginevra, incatenandosi davanti alla Farnesina e inscenando un gesto estremo, senza la volontà però di farla finita. Sempre la toga lecchese ha portato l'uomo, costituito parte civile, a parlare del "disturbo misto di personalità" che gli sarebbe stato diagnosticato prima della nascita del bambino, con le cure al CPS poi interrotte (a suo dire per guarigione).

Se un operante della Questura ha confermato l'effettivo imbarco dell'imputata e del figlio sul volo partito il 14 luglio 2019 da Malpensa alla volta di Algeri, le assistenti sociali che hanno seguito nel tempo la famiglia e il piccino hanno invece tratteggiato le difficoltà, a cominciare dai problemi economici legati alla perdita del lavoro da parte del denunciante, sostenuto dalla pensione del padre. Il prossimo 29 giugno il proseguo dell'istruttoria, con l'audizione degli ultimi quattro testi residui.
A.M.
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