Storie universitarie/15: Silvia Fumagalli, in prima linea come infermiera dopo gli studi

Eroi. Così giustamente sono stati celebrati medici e infermieri durante le fasi più critiche della pandemia. Del resto, hanno combattuto con coraggio una battaglia non solo contro il virus ma anche contro l'ignoranza della gente incantata dalla fake news no - vax. Quale è la loro situazione, superati i periodi più difficili? In un mondo ideale, alla sacrosanta celebrazione sarebbe dovuto seguire un effettivo riconoscimento, un impegno concreto nel miglioramento delle loro condizioni di lavoro. E invece no. Certo, ora il mondo pullula di fini analisti geopolitici, questi problemi non riscuotono più attenzione. Eppure, non mi sembra giusto.
Dal volto di Silvia Fumagalli, infermiera originaria di Molteno e oggi in servizio presso l'ospedale Fatebenefratelli di Erba, emerge quella grande passione e voglia di lavorare che sicuramente contraddistingue la gran parte dei suoi colleghi. Per questo, ma non solo, il fatto che siano caduti nel dimenticatoio di nuovo non mi sembra giusto.

Silvia Fumagalli intervistata da Andrea Besati

1.Come mai hai scelto di studiare infermieristica?

Mi sono diplomata al liceo artistico Medardo Rosso di Lecco nell'indirizzo grafico. Alla fine di quel percorso avevo capito che non volevo stare per tutta la vita ogni giorno sei o più ore davanti al computer a disegnare. Cercavo un percorso pratico, che mi permettesse di fare del bene e, soprattutto, mi consentisse di parlare con le persone. Due membri della mia famiglia hanno svolto la professione di OSS in casa di riposo e quindi mi sono progressivamente avvicinata a quel mondo. In realtà all'inizio volevo fare ostetricia, la quale però ha molti meno posti di infermieristica. Sono entrata in quest'ultima e ho frequentato il primo anno. Ho poi riprovato il test ma di nuovo non sono entrata in ostetricia. Non solo sono quindi rimasta a infermieristica ma man mano che proseguivo il percorso mi sono appassionata sempre di più.

2.Quali sono state le ragioni che ti hanno spinto a scegliere il polo di Lecco della Bicocca?

Risposta molto semplice: nel momento in cui ho fatto il test ho messo come prima scelta Lecco per la vicinanza rispetto a casa. Rifarei quella scelta anche a posteriori per quanto riguarda non solo le lezioni ma anche i tirocini. Nonostante essi si svolgano non solo a Lecco, lavorando su turni, la vicinanza rispetto a casa è qualcosa che aiuta molto.

3.Che consigli ti senti di dare a chi sosterrà il test per le facoltà di professioni sanitarie?

Venendo da un liceo artistico ho incontrato qualche difficoltà nella parte di matematica, nonostante la materia mi sia sempre piaciuta. Sicuramente un liceo scientifico può dare una preparazione più solida ma non bisogna farsi scoraggiare dal non averlo frequentato. Ovviamente la seconda volta che ho sostenuto quel test ho conseguito un punteggio migliore grazie alle maggiori conoscenze acquisite durante l'anno passato a infermieristica. In generale, consiglio di iniziare a prepararsi prima della maturità oppure subito dopo perché altrimenti si rischia di perdere la voglia di rimettersi sui libri. Ritengo poi che, se non si entra nella facoltà desiderata al primo colpo, bisogna riprovarci almeno una volta, fermo restando che può sempre nascere una nuova passione.

4.Quali sono gli elementi che più hai apprezzato della tua esperienza universitaria? Quali quelli che ti sono piaciuti di meno?

La classe di infermieristica del polo di Lecco conta circa 50 studenti, numero che di anno in anno diminuisce e che comunque è di gran lunga inferiore rispetto alla classe che frequenta a Monza. Questo fa sì che tutti i tutor ti conoscano per nome, si possano stringere rapporti più diretti in un contesto in cui le persone sono disponibili e ti aiutano molto se hai bisogno. Già prima del covid, inoltre, c'era l'usanza di svolgere alcune lezioni in teledidattica: il professore era collegato da Monza in videochiamata e la lezione rimaneva registrata e sempre accessibile. Ci sono però anche dei lati negativi. Innanzitutto, nelle lezioni in teledidattica risultava molto difficile fare domande. In generale eravamo poi molto controllati: spesso era richiesto lo svolgimento di compiti per la lezione successiva e, ovviamente essendo in 50, il rischio di essere chiamati per la correzione era molto alto. Detto in una frase, più volte mi è sembrato di essere alle superiori.

5.Ripensando alle tue prime esperienze di tirocinio, c'è stato qualcosa che ti ha colpito in maniera positiva o difficoltà che hai faticato a superare?

Nonostante mi piaccia parlare con le persone, di base sono timida. Quella di imparare ad interagire con il paziente è stata per certi versi una vera e propria sfida. Del resto, la comunicazione con chi si assiste è una parte fondamentale del lavoro di infermiere. Oggi, pur rimanendo una persona timida, faccio molta meno fatica a interagire con chi assisto. Ciò che mi è piaciuto di più, invece, è stato il fatto che fin dalle prime esperienze agli studenti viene richiesto di svolgere cose pratiche, come effettuare prelievi o mettere cateteri.

6.Come mai, al termine della triennale, hai scelto di lavorare in un ospedale e non in altre strutture?

La scelta del tipo di struttura in cui si va a lavorare è un qualcosa di soggettivo. Personalmente, ho scelto di andare a lavorare in un ospedale perché credo che sia la realtà che consente la migliore crescita professionale. In quattro mesi di lavoro ho già imparato tantissime cose e, lavorando in un reparto di chirurgia e ortopedia, ogni giorno devo affrontare situazioni diverse. Certo, è un lavoro molto pesante ma per ora non mi dispiace fare fatica se ciò mi consente di acquisire nuove conoscenze e competenze. Non tutti coloro che escono dall'università ragionano nella stessa maniera: alcuni, infatti, preferiscono intraprendere carriere professionali meno impegnative.

7.Secondo te, quali caratteristiche dovrebbe avere uno studente per portare avanti in modo efficace un percorso di studi come il tuo?

Innanzitutto, voglia di lavorare. Il carico di lavoro è ingente tra lezioni e tirocini che si svolgono durante il periodo degli esami. Non è sicuramente un'università leggera, non si ha molto tempo libero soprattutto quando la sessione si avvicina. Io lavoravo in un bar quindi per me è stato anche più pesante. In secondo luogo, è fondamentale avere pazienza quando ci si trova ad interagire con i pazienti. Alcuni sono gentili e riconoscono la difficoltà del lavoro che stai svolgendo, altri sono maleducati e spesso vorresti solo mandarli a quel paese. Purtroppo, non si può fare perché bisogna aiutare tutti allo stesso modo. Infine, è fondamentale avere passione: quello dell'infermiere è un lavoro difficile e complicato, se non si ha la giusta passione diventa molto pesante sia per i pazienti sia per te stesso. Il rischio è quello di tornare a casa a fine turno insoddisfatti.

Rubrica a cura di Andrea Besati
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