Casatenovo: imprenditore fu vittima di un (presunto) tentativo di estorsione per una cavallina non pagata. Ma l'imputato nega

Il tribunale di Lecco
L'ultima udienza risale ad un anno fa. Era il 6 maggio 2021 quando al microfono si sedeva il maresciallo Antonio Piredda, al tempo in servizio al Nucleo operativo della Compagnia Carabinieri di Merate. Quest'oggi, dopo dunque l'audizione dell'operante che ha curato l'indagine, al microfono si sono accomodati i "protagonisti" della vicenda. E dunque dapprima il denunciante - un imprenditore in attività a Casatenovo - e poi i due imputati, chiamati a rispondere di tentata estorsione in concorso al cospetto del collegio giudicante del Tribunale di Lecco, presieduto dalla dottoressa Martina Beggio (a latere i colleghi Gianluca Piantadosi e Giulia Barazzetta).
"Alla sbarra", i fratelli Gian Luca Gulisano, classe 1970, difeso dall'avvocato Francesco Saggioro del Foro di Parma e Vito Gulisano, due anni più anziano, rappresentato dalla penalista Franca Mezgee del Foro di Milano. Stando all'impianto accusatorio avrebbero avvicinato la vittima per "rivendicare" il pagamento di un supposto vecchio debito che il denunciante avrebbe maturato nei confronti del loro papà, Giovanni Gulisano, scomparso da qualche anno. Quest'ultimo, a detta dell'anziano imprenditore, operativo nel campo della commercializzazione di insaccati, negli anni '80 gli avrebbe venduto una cavallina per 3.800.000 lire. Dinnanzi alle sue difficoltà nel corrispondere il dovuto, la cifra in ballo sarebbe lievitata oltremodo, costringendolo - dopo un pestaggio subito - a scappare all'estero, optando per non denunciare il fatto su invito della madre.
Nel 2018 a Lissone, ad uno street food, avrebbe incontrato Vito Gulisano che lo avrebbe poi raggiunto in azienda a Casatenovo con il fratello, minacciandolo, salvo poi ricontattarlo telefonicamente a distanza di qualche giorno, sempre allo scopo di ottenere il denaro, quantificato in 60 milioni (non è stato chiarito se di vecchie lire o, più improbabilmente, di euro). Agitato - a suo dire per la presenza in Aula dei due imputati - l'anziano ha faticato a ripercorrere linearmente la vicenda, tanto che, sono state mosse dal sostituto procuratore Giulia Angeleri e dai difensori, diverse contestazioni sulla base delle divergenze tra il ricordo esposto in Aula e quanto asserito in sede di denuncia querela.
Ben più schematico nell'esporre la propria verità, è apparso Vito Gulisano. Rendendo esame ha raccontato di aver riconosciuto l'amico del padre allo street food, chiacchierando tranquillamente con lo stesso, tanto da presentargli anche moglie (poi sentita in Aula) e figlie. Ricevuto il bigliettino da visita dell'uomo, averebbe poi deciso di raggiungerlo in azienda con il fratello, intenzionato a acquistare uno dei prosciutti commercializzati dall'anziano. Per un accertamento della finanza in corso, l'imprenditore non avrebbe consentito ai due di entrare nel capannone, "rimbalzandoli" a un momento successivo. Non si sarebbe mai parlato di debiti, nemmeno al telefono. Inspiegabile, a suo giudizio, l'essere finito a processo.
Gian Luca Gulisano, rilasciando spontanee dichiarazioni, ha chiarito di aver avuto in passato problemi con la giustizia puntualizzando però di non avere problemi economici, lavorando regolarmente dall'ultima scarcerazione. Il processo a carico dei due è stato aggiornato al prossimo 27 ottobre per la discussione finale.
A.M.
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