Bosisio: il prof.Villata e il giudice Colasanti spiegano i contenuti dei cinque referendum

"Questo referendum nasce da un sentimento di generale sfiducia verso la magistratura". Il dottor Dario Colasanti, giudice del tribunale di Lecco, non ha usato molti giri di parole. Il Magistrato è stato invitato dalla conferenza dei sindaci dell'oggionese a presenziare come relatore all'incontro informativo sul referendum del prossimo 12 giugno tenutosi ieri sera a Bosisio Parini. Ma non era solo: seduto all'altra estremità del tavolo, nell'aula magna del centro studi Giuseppe Parini, c'era il professor Stefano Alberto Villata, associato di diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Milano. I saluti iniziali di Giuseppe Chiarella, primo cittadino di Molteno e presidente della conferenza dei sindaci dell'oggionese, e di Andrea Colombo, sindaco di Bosisio, sono stati estremamente brevi. Del resto, gli argomenti da affrontare erano tanti e tutti molto importanti: in gioco c'è l'esercizio consapevole ed informato di un diritto fondamentale come il diritto di voto.

Il dottor Dario Colasanti, Andrea Colombo, Giuseppe Chiarella, il professor Stefano Alberto Villata


"Ricordo che, affinché questo referendum abrogativo sia valido, è necessario che vada a votare almeno il 50% + 1 degli aventi diritto di voto" ha precisato il dottor Villata nella sua introduzione. La serata è quindi entrata nel vivo e il quesito ad essere preso in esame è quello contenuto nella scheda rossa. Come spiegato dal professore della Statale, questo quesito comporta una radicale abrogazione della legge sull'incandidabilità e sul divieto di ricoprire cariche elettive introdotta nel 2012, la cosiddetta Legge Severino.   


"Da decenni esistevano delle norme secondo cui chi è stato condannato per reati come per esempio l'abuso d'ufficio, anche con una sentenza di primo grado, non può continuare ad amministrare un ente locale. Il problema è che esse possono impedire il proseguimento dell'attività politica di un individuo a fronte di una sentenza di primo grado che non necessariamente arriva alla conferma definitiva, tra modifiche nei gradi di giudizio successivi e intervento della prescrizione. Il testo del 2012 ha esteso l'applicazione di queste regole anche ai membri del governo centrale e ai parlamentari" ha evidenziato il professore Villata. Poi i due relatori, quasi all'unanimità, hanno precisato un punto fondamentale: solo gli amministratori locali possono essere sospesi a seguito di una sentenza di primo grado, per le cariche elettive nazionali l'incandidabilità è subordinata alla sentenza definitiva. Che cosa succederebbe quindi se la legge del 2012 dovesse essere abrogata?   

"Tabula rasa di questi tipi di incandidabilità e divieti di ricoprire cariche a seguito di condanne penali. Rimarrebbe in piedi solo la sanzione accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici applicata dal giudice penale in determinate circostanze" ha concluso il docente universitario.      

Il dottor Dario Colasanti


Si è quindi passati alla scheda arancione, ovvero al quesito sulle misure cautelari. Il giudice Colasanti ha sottolineato come il legislatore consenta di applicare alcune sanzioni prima della sentenza definitiva solo se esistono gravi indizi di colpevolezza a carico del soggetto sottoposto alle indagini e, allo stesso tempo, esigenze cautelari specifiche. Si fa riferimento in particolare a pericolo di fuga, inquinamento delle prove, pericolo di reiterazione del reato. Secondo la lettera c dell'articolo 274 del codice di procedura penale il pericolo di reiterazione del reato deve essere concreto, attuale e desumibile da specifici fatti. In presenza di simili circostanze, il giudice può adottare una misura cautelare, scelta tra un ventaglio di possibilità, solo se i reati in questione rientrano in un elenco di fattispecie particolarmente gravi: uso di armi, violenza personale, criminalità organizzata, reati contro l'ordinamento costituzionale. Oltre a questo elenco, si considerano quei reati che presentano un massimo della pena applicabile di cinque anni per la custodia cautelare e di 4 anni per le altre misure cautelari e il finanziamento pubblico ai partiti.   

Il professor Stefano Alberto Villata


"Se il referendum passasse, quest'ultima serie di fattispecie verrebbe eliminata. A sostegno di questa opzione i promotori indicano l'elevato numero di persone che in Italia subiscono l'applicazione di una misura di carcerazione preventiva per poi essere assolte, cosa che rende ingiusta quella detenzione. I fautori del no evidenziano che in questo modo si potrebbero venire a creare gravi lacune di tutela dell'ordine pubblico: tra le ipotesi che non consentirebbero più l'adozione di misure cautelari ci sono infatti furto in abitazione, truffe, stalking, maltrattamenti in famiglia che non si configurano come violenza personale" ha spiegato il giudice del tribunale di Lecco.   

In quanto più esperto della tematica, al dottor Dario Colasanti è toccato il compito di illustrare anche il significato del terzo quesito, contenuto nella scheda gialla. Il Magistrato ha evidenziato come questo referendum intervenga sulla possibilità di cambiare funzione, da giudice a pubblico ministero e viceversa. Un fenomeno che, con i limiti previsti attualmente, riguarda ogni anno un numero di magistrati che, in percentuale, è compreso tra l'1% e il 2% del totale. Secondo i sostenitori del sì una loro vittoria produrrebbe una piena attuazione del principio del giusto processo, previsto nell'articolo 111 della Costituzione. Da un lato, infatti, si otterrebbe l'effettiva terzietà del giudice, dall'altro lato il pubblico ministero sarebbe posto sullo stesso piano dell'avvocato nell'ambito del processo penale.   

Andrea Colombo


"Secondo i sostenitori del no, a rischio c'è la cultura della giurisdizione comune a giudice e pubblico ministero. Un pubblico ministero che si dedica sempre e solo alle indagini, infatti, può perdere di vista il grande tema della garanzia dei diritti delle parti, in particolare quelli dell'imputato. Per di più, avvocato e pubblico ministero sono ontologicamente diversi. Per esempio, il pubblico ministero ha l'obbligo di presentare tutte le prove che trova, l'avvocato ha il dovere di non presentare le prove che accusano il suo cliente".    

Giuseppe Chiarella


E veniamo al quarto quesito. "Oggi i membri laici dei consigli giudiziari non possono votare su alcuni temi legati alla carriera e alle valutazioni dei magistrati. L'obbiettivo di queste norme è evitare qualunque tipo di condizionamento reciproco tra magistrati e esponenti del libero foro, come per esempio avvocati, che magari esercitano davanti a quei magistrati. Il referendum punta ad abrogare tali norme e a far sì che membri laici e membri togati dei consigli giudiziari abbiano le stesse competenze" ha spiegato il dottor Villata.  

I sindaci dell'oggionese


"Gli avvocati che fanno parte dei consigli giudiziari lavorano nello stesso distretto in cui operano i magistrati su cui essi si dovrebbero esprimere. Se passa questo referendum, quegli avvocati, così come i membri dei loro studi non potranno più lavorare. L'imparzialità del giudice è a rischio" è stato il duro commento del giudice Colasanti.   Mentre fuori infuriava il temporale, si è arrivati a discutere dell'ultima scheda. "Questo referendum vuole abrogare la norma secondo cui, per potersi candidare al CSM, un magistrato deve presentare almeno 25 e non più di 50 firme con cui elettori attivi appoggiano la sua candidatura. Se la norma dovesse passare, quindi, qualunque magistrato si potrebbe candidare al CSM anche senza alcun sostegno. La finalità vorrebbe essere quella di spezzare il legame correntizio tra membri del CSM e magistrati" ha spiegato il professore Villata, per poi chiosare "Non capisco la logica e il senso di questo quesito".   L'evento oramai volgeva al termine. Dal fondo della sala si è levata una domanda:" Secondo voi, quanto è opportuno chiedere ai cittadini la loro opinione su questioni così complesse?". "È una decisione politica. Personalmente ritengo che gli unici referendum in cui è stato possibile per i cittadini decidere in maniera consapevole siano stati quelli sulle grandi questioni come interruzione di gravidanza o divorzio" ha risposto il professor Villata. Uno degli spettatori ha scosso la testa. Servirebbe una conferenza solo su questo tema.
Andrea Besati
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