Casatese: marito violento, condannato a 5 anni. Disposta l'espulsione a pena espiata

Il suo racconto in Aula, nell'ottobre dello scorso anno, aveva fatto accapponare la pelle, con un accenno a due aborti subiti forse quale conseguenza delle botte ricevute e pestaggi così frequenti da diventare anche quotidiani. Oggi, alla lettura del dispositivo della sentenza di condanna irrogata all'ormai suo ex marito, si è sciolta in lacrime liberatorie. Non solo la sua "verità", raccontata con compostezza, senza eccedere nei toni, è stata ritenuta tale dal collegio giudicante ma il trio togato, nel prendere posizione, ha addirittura inasprito - e di parecchio - la pena già pesante richiesta dal pubblico ministero. La pronuncia odierna sarà sicuramente appellata ma per il momento una giovane donna di origini albanesi, residente nel casatese e mamma di quattro figli, ha ottenuto Giustizia, dopo aver patito - nella ricostruzione fornita ai giudici - le pene dell'inferno accanto ad un uomo molto più grande di lei, incline alla bottiglia e alla violenza, impostole da ragazzina come marito.

Maltrattamenti in famiglia e lesioni le accuse mosse nei confronti dell'uomo, anch'egli presente personalmente all'udienza odierna, apertasi con l'escussione dell'ultimo testimone introdotto dalla difesa e dunque dall'avvocato Stefano Di Donna. Un cugino che, con riferimento all'imputato e alla consorte, ha parlato di una coppia "normale", senza problemi. Ma - a specifica domanda dell'avvocato Luca Marsigli, sostituto dell'avvocato Grazia Corti, legale di parte civile nell'interesse della donna e dei suoi figli - non è stato nemmeno in grado di elencare i nomi dei bambini dei due, a riprova di una frequentazione non certo così assidua.

La parola è poi passata al sostituto procuratore Andrea Figoni che, con delicatezza, ha ripercorso le condotte maltrattanti ascritte al balcanico, classe 1971, ritenute provate all'esito dell'istruttoria dibattimentale, con l'imputato che - a detta del PM - avrebbe assunto un atteggiamento da padre-padrone anche rendendo esame in aula, tradendo un'impostazione maschilista e gelosia aggressiva nei confronti della denunciante, per anni vittima non solo di violenza fisica ma anche di violenza psicologica in quanto costretta all'isolamento dal marito che non le consentiva di avere contatti nemmeno con i vicini né tanto meno di lavorare. Un aspetto quest'ultimo sottolineato, nella propria discussione, anche dall'avvocato Marsigli arrivato a evidenziare un paradosso emerso dall'esame dell'albanese. Se per lui la moglie non lavorava perché senza permesso di soggiorno, perché il fratello di lei, anch'egli nella stessa condizione, poteva aiutarlo nella sua professione? Per la toga lecchese, dunque, la sua assistita sarebbe stata vittima dell'ossessivo controllo dell'imputato con i maltrattamenti perdurati tra le mura domestiche per tutta la costanza del matrimonio, con una serie di episodi poi riscontrati anche da altre testimonianze, oltre che dalle parole della denunciante.

Ha parlato invece di "voglia di separazione che ha trovato sbocco in un procedimento penale" e addirittura di un "processo messo su per ottenere un beneficio economico e non avere più tra i piedi un marito diventato anziano" l'avvocato Di Donna, provando a far passare il proprio assistito come l'uomo che non ha mai fatto mancare nulla alla giovane moglie che, per anni, lo avrebbe umiliato.

Quattro anni la richiesta di condanna avanzata dal PM. Cinque anni il verdetto del collegio che ha disposto anche l'espulsione dell'uomo a pena espiata nonché il riconoscimento di un risarcimento quantificato in 30.000 euro in favore della donna e dei figli. Scontato, come detto, l'Appello.

A.M.
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