Barzago: a Maria Edvige Ravasio il premio Tacchini per la miglior tesi in astrofisica
-Come mai ha scelto di studiare astrofisica e fisica dello spazio?
A differenza di altri colleghi da piccola non avevo già una passione per queste materie: mi avevano regalato un telescopio, mi piacevano le attività pratiche di carattere scientifico ma non volevo diventare astrofisica. Al liceo ho iniziato a studiare matematica e fisica. Avevo un insegnate severa ma molto brava a spiegare. Credo che, se spiegati bene, anche i concetti complicati possono essere compresi nella maniera migliore. Li ho iniziato ad appassionarmi prima alla fisica poi all'astrofisica che secondo me è la più bella tra le "fisiche". Nello stesso periodo ho iniziato a frequentare il Planetario di Lecco, gestito da un gruppo di astrofili di cui poi sono diventata membro. Quest'esperienza mi ha aiutato ad apprendere conoscenze di natura trasversale, legate non a formule o equazioni ma alle costellazioni e alle altre meraviglie che si nascondono nell'universo. Mentre si avvicinava la fine del liceo, ho iniziato a chiedere informazioni e consigli ad alcune persone che lavoravano all'osservatorio di Merate. Loro mi hanno indirizzato verso il percorso che poi ho seguito: triennale in Fisica e magistrale in Astrofisica. Questa non è l'unica strada ma quella che ti consente di costruire meglio una solida base in Fisica, che è fondamentale.
-Per quale motivo, una volta conseguita la laurea, ha scelto di proseguire i suoi studi con un dottorato?
Il dottorato è il primo passo nel mondo della ricerca. L'ho visto come la naturale prosecuzione del lavoro che stavo già facendo in magistrale, con la differenza che nel dottorato si è retribuiti, anche se non molto. Una volta trovato l'argomento su cui specializzarmi, nonché i mentori che mi seguivano, mi è sembrato naturale entrare nel mondo della ricerca. Il titolo di dottorato ti dà una marcia in più non solo nell'ambito dei concorsi pubblici ma anche per quanto concerne il lavoro nel settore privato, in quanto è molto apprezzato dai recruiter. Come detto, il mio sogno comunque è quello di rimanere nel mondo della ricerca.
-Quali sono le principali difficoltà che deve affrontare chi vuole lavorare come ricercatore in Italia? Ritiene che la ricerca in Italia sia finanziata in modo adeguato?
La risposta alla seconda domanda è molto facile ed è no. I soldi sono il principale problema della ricerca in Italia e questo si fa sentire su più piani, a partire dal precariato. L'assegno di ricerca dura mediamente due anni e questo significa che ogni due anni bisogna capire cosa fare della propria vita. Certo, è così anche all'estero, tanto è vero che il mio attuale assegno di ricerca in Olanda è di due anni. All'estero però cercano di valutare il più possibile il tuo apporto al gruppo di ricerca e, se capiscono che lo meriti, cercano di offrirti un posto a tempo indeterminato il prima possibile. In Italia ci sono persone disposte a fare lo stesso ma non ci sono i fondi. Nel 2019 INAF ha aperto un concorso dopo svariati anni e si è verificato un collo di bottiglia tale per cui ricercatori di 40 - 45 anni con famiglia erano ancora lì ad aspettare di fare lo scritto e l'orale per un posto a tempo indeterminato. È chiaro che i giovani sono scoraggiati da dinamiche simili. Poi un'altra cosa: in Italia il ruolo sociale del ricercatore non è sempre riconosciuto come dovrebbe. Spesso in Italia al ricercatore non vengono riconosciuti gli stessi diritti degli altri lavoratori e questo credo derivi dal fatto che il lavoro del ricercatore non è stimato e rispettato abbastanza dalle persone. In generale, all'estero il ricercatore è stimato molto di più e questo ha ricadute su tutto, dallo stipendio alla posizione sociale.
-Ritiene che il settore della ricerca funzioni secondo logiche meritocratiche?
Assolutamente sì, per lo meno nel mio campo e durante sia il dottorato sia i primi anni da post - doc. Ovviamente il posto di dottorato bisogna meritarselo, i posti non sono molti e le candidature invece sono tantissime. Molte di queste candidature, comunque, arrivano dall'estero, quindi è difficile che ci siano dei contatti preesistenti che possano portare a favoritismi. Se un candidato sbaraglia la concorrenza a livello di titoli e competenze viene premiato per quello. Per quanto riguarda il proseguo della carriera, molto dipende dalle logiche dell'università in cui ci si trova a lavorare. Per una donna, inoltre, può essere più difficile rompere il "soffitto di cristallo" ma ci sono diversi esempi di donne con famiglia che gestiscono gruppi di ricerca anche in Italia.
-Ritiene che in Italia sia possibile conciliare la carriera da ricercatore con la creazione e il mantenimento di una famiglia? Perché?
Come dicevo, conciliare le due cose è assolutamente possibile. Certo, non si riesce mai a staccare completamente dal lavoro. Anche quando si è fuori dall'ufficio, sul cellulare arrivano mail o allerte di nuove scoperte a cui bisogna prestare attenzione. Si comunica con i colleghi a qualsiasi ora del giorno e della notte. Nel 2017 per la prima volta sono state rilevate onde gravitazionali associate a luce. Era il 17 agosto, piena vacanza per tanti ricercatori. Per di più, finché non si ottiene un contratto a tempo indeterminato, ogni due anni bisogna valutare se la tua famiglia si deve spostare ed eventualmente dove. Certo, negli altri paesi c'è un'attenzione maggiore a questi temi. La parità tra uomo e donna la si vede veramente. Viene chiesto anche al papà se vuole prendersi cura della famiglia. Nell'università in cui mi trovo attualmente se un ricercatore ha famiglia vengono concessi permessi in più, a prescindere dal fatto che sia uomo o donna.
-Consiglia di intraprendere l'attività di ricercatore in Italia o all'estero? Perché? Quale paese consiglia quando si parla di ricerca nella fisica dello spazio?
Per il mio campo non c'è un paese specifico in cui consiglio di andare a fare ricerca. La ricerca in astrofisica è ottima in tante parti del mondo. Sicuramente l'esperienza all'estero consente di crescere sul piano personale, di stringere nuovi rapporti di collaborazione e di farsi conoscere. Secondo me, il punto è chiedersi se si vuole o meno fare il ricercatore. Poi sul farlo in Italia o all'estero credo dipenda molto dalla tua condizione personale e dal tuo background. Alla fin fine, ricercatore sei ricercatore ovunque.
-C'è qualche altro suggerimento che vorrebbe dare agli studenti che stanno valutando di conseguire il dottorato per poi entrare nel mondo della ricerca?
Il mio consiglio è quello di fare quanta più esperienza possibile in modo da comprendere se si vuole diventare veramente ricercatore. Durante la laurea magistrale, per esempio, lavoravo all'osservatorio astronomico di Merate e stavo a contatto tutti i giorni con chi faceva ricerca nel mio campo. Buttarsi nel mondo della ricerca è rischioso, è un mondo precario. Devi essere disposto a girare il mondo, ad essere sottopagato, a lavorare il weekend. Questo per almeno dieci anni. Ci deve essere una forte passione ma è anche necessario capire se si è disposti a seguire una simile routine quotidiana. In Italia non si sa molto su cosa fa il ricercatore concretamente ogni giorno. Questo gli studiosi lo sanno e sono pronti a rispondere a tutte le domande delle persone. Entrare in contatto con altri ricercatori può essere molto utile.