E' finito il Novecento
Quello che, secondo Eric Hosbawm era un secolo breve, è durato un po' di più ma è finito l'8 settembre di ventidue anni dopo. Nove giorni dopo un altro grande del Novecento, Michail Gorbaciov, spentosi il 30 agosto, è morta anche la regina Elisabetta II d'Inghilterra.
Non voglio celebrare la monarca né la madre, né la donna. Tutti e tre questi elementi ne hanno amplificato la mitografia al punto da renderla un brand per le canzoni rock, le serie televisive, il merchandising, una star del cinema dall'autoregina di "Cars 2" alla Bond girl con Daniel Craig per le Olimpiadi di Londra: in una società dai miti passeggeri, la sua figura è divenuta quasi oggetto di un culto laico.
Non mi interessa nemmeno giudicarne ora l'operato politico: in un governo così lungo le ombre e le luci si equivalgono in chi fu comunque figlia di un'epoca in cui colonialismo e imperialismo soffiavano nelle vele della Gran Bretagna.
La famiglia reale inglese, come tutte le famiglie reali e, oso dire, come tutte le famiglie normali, non è stata immune a incomprensioni, lutti, dolori. Elisabetta l'ha governata con piglio matriarcale come se fosse anch'essa un piccolo impero, con le contraddizioni che tutto ciò comporta: chi non ricorda la durezza nei giorni immediatamente successivi la morte di Diana, o le polemiche sull'accoglienza fredda nei confronti dell'afroamericana Meghan Markle?
Ma ci sono figure così grandi e complesse che non possono essere ridotte a copertina di tabloid: ci vorrà tanto tempo per dipingere di Elisabetta un ritratto storicamente imparziale.
E ci sono ruoli così difficili e corone così pesanti da portare che richiedono figure non comuni: credo non sia un caso se a reggere questo peso sia riuscita una donna, che non ha raggiunto i cento anni di vita ma è stata un secolo di storia, e forse persino di più.
Ha visto passare sette papi, quindici presidenti USA, trenta presidenti del Consiglio italiano distribuiti in sessantasette governi (e questo dice molto, purtroppo, sulla nostra statura politica), due guerre, la cosiddetta Seconda e la mai finita "Fredda", una guerra per un arcipelago conteso con l'Argentina, le Falkands/Malvinas, contro la quale i Sex Pistols si scagliarono con la loro canzone più iconica: con la morte di Elisabetta si è concluso il Novecento.
Amici e amiche di matrice culturale e linguistica anglosassone mi scrivono partecipandomi la loro tristezza, che forse io fatico a capire del tutto. "Sono in lutto", mi dice una docente di inglese delle medie. "Si sta sgretolando un mondo che era solido", mi dice un'amica. "Non ne nascono più di donne fatte così", mi confida una docente madrelingua.Non voglio celebrare la monarca né la madre, né la donna. Tutti e tre questi elementi ne hanno amplificato la mitografia al punto da renderla un brand per le canzoni rock, le serie televisive, il merchandising, una star del cinema dall'autoregina di "Cars 2" alla Bond girl con Daniel Craig per le Olimpiadi di Londra: in una società dai miti passeggeri, la sua figura è divenuta quasi oggetto di un culto laico.
Non mi interessa nemmeno giudicarne ora l'operato politico: in un governo così lungo le ombre e le luci si equivalgono in chi fu comunque figlia di un'epoca in cui colonialismo e imperialismo soffiavano nelle vele della Gran Bretagna.
La famiglia reale inglese, come tutte le famiglie reali e, oso dire, come tutte le famiglie normali, non è stata immune a incomprensioni, lutti, dolori. Elisabetta l'ha governata con piglio matriarcale come se fosse anch'essa un piccolo impero, con le contraddizioni che tutto ciò comporta: chi non ricorda la durezza nei giorni immediatamente successivi la morte di Diana, o le polemiche sull'accoglienza fredda nei confronti dell'afroamericana Meghan Markle?
Ma ci sono figure così grandi e complesse che non possono essere ridotte a copertina di tabloid: ci vorrà tanto tempo per dipingere di Elisabetta un ritratto storicamente imparziale.
E ci sono ruoli così difficili e corone così pesanti da portare che richiedono figure non comuni: credo non sia un caso se a reggere questo peso sia riuscita una donna, che non ha raggiunto i cento anni di vita ma è stata un secolo di storia, e forse persino di più.
Stefano Motta