Casatenovo: 'viaggio' fra i documenti dell'archivio comunale, fra curiosità, fatti storici e aneddoti legati alla vita del paese
Dopo l'intitolazione dell'archivio alla memoria del professor Sandro Pirovano, avvvenuta lo scorso sabato alla presenza dei rappresentanti comunali, delle figure di spicco casatesi e dei membri della cooperativa CAeB, è stata data la possibilità agli interessati di prendere parte a tre visite guidate alla scoperta di alcuni dei documenti che compongono la storia di Casatenovo.
I documenti, accuratamente catalogati e selezionati per l'occasione, sono dei generi più vari e disparati e vanno dalle attestazioni delle commemorazioni funebri alle progettazioni delle scuole, passando per raccolte fondi, bandi lavorativi e, addirittura, notizie che sfiorano quasi il gossip. Grazie all'aiuto dei membri di CAeB, tra cui Gabriele Locatelli, all'interno della sala consiliare del Comune di Casatenovo sono state allestite quattro postazioni, ognuna delle quali, gestita da un collaboratore, era dedicata a una tematica specifica, costruita proprio a partire dai documenti conservati all'interno dell'archivio. Una sorta di "visita a stand", che ha permesso a tutti i partecipanti, divisi per gruppi, di venire a conoscenza di qualche piccola curiosità su Casatenovo, testimoniata da documenti originali e pezzi unici.
Gli altri due fascicoli, poi, sono dedicati, come già detto, a Casatenovo in senso stretto. Il primo parla di una banda sociale, creata per volere del Comune nel 1883, che si finanziava grazie all'aiuto dei cittadini. Era una banda sociale, ma ciò che risulta interessante dal fascicolo in realtà è una corrispondenza che c'è per l'organizzazione di una pesca di beneficenza, che deve aver avuto luogo il 23 settembre 1893 (dieci anni dopo!). Tutto è scaturito dal fatto che il sottoprefetto probabilmente aveva visto i figurini della divisa della banda (che noi non abbiamo, purtroppo), si era accorto che la fascia di decorazione dei pantaloni era troppo larga e somigliava molto a quella dell'esercito, e quindi comunica che dovevano farla più piccola. Il Comune e i membri della banda, quindi, che non avevano i soldi per finanziare l'acquisto di nuove divise crearono questo evento, cioè la pesca, il cui primo premio della lotteria doveva essere una giovenca: il risultato è che ora abbiamo tutta la descrizione di come era stata organizzata, perché il comitato della banda aveva scritto al Comune come sarebbero state gestite le varie postazioni, quindi dove sarebbe stata fatta la corsa dei sacchi, dove sarebbe stata posizionata la banda a suonare, la lavagna con i punteggi della lotteria... insomma, anche una bella testimonianza di com'era organizzata probabilmente la piazza davanti al Comune al tempo, cioè 1893, anche da un punto di vista topografico.
L'ultimo fascicolo, dedicato a una certa contessa dal cognome straniero, è il più curioso. In realtà il carteggio al suo interno non è tantissimo: si capisce che c'è un problema con lei, perché sembra non potesse soggiornare a Casatenovo, ma non si capisce il motivo. Per esempio, è stato trovato un "soggiorno degli stranieri", documento compilato probabilmente da lei, su cui però c'è scritto che lei è di nazionalità italiana, e perché poi ci fossero, nel fascicolo, diversi documenti che venivano mandati per cacciarti dal paese (per motivazioni piuttosto gravi). Un lavoro esterno, tuttavia, basato sulla sua biografia, ha permesso di comprendere un po' di cose: lei aveva sposato un conte principe di Sassonia, tedesco quindi, agli inizi del Novecento - lei era nata nel 1884, quindi aveva più o meno vent'anni -, ma poco dopo i due divorziano, e lei vuole tornare in Italia. Il problema, però, è che in Italia il divorzio non è riconosciuto, e inoltre, lei era considerata non solo di nazionalità straniera, ma specificamente tedesca, ovvero, per i periodi della Prima Guerra Mondiale, nemica. Quindi lei non è ben accetta né a Casatenovo né, in realtà, nel resto d'Italia, e ci sono diverse testimonianze di lei che vaga per il Nord Italia senza però trovare residenza.
Il secondo stand, gestito da Giusy Galatà di CAeB, ha selezionato invece tematiche di tipo più amministrativo, raccogliendo testimonianze avvenute, si potrebbe dire, "a palazzo". Il primo dei fascicoli selezionati riassumevano la storia della concessione dello stemma di Casatenovo, la cui storia comincia nel 1929, con una circolare ministeriale: essa diceva che per permettere a un Comune di utilizzare lo stemma in un evento pubblico era necessario che venisse prima di tutto approvato, quindi bisognava preparare tutta un'istruttoria che non solo andasse a supportare tutta la storia del comune ma anche la funzione per cui veniva utilizzato lo stemma. A dire il vero, lo stemma del Comune in realtà si usava già da tempo, ma mancava la parte del riconoscimento. Nel 1932 poi la dottoressa Santoro, che era una giovane assistente della sovrintendenza di Milano, si autocandidò per preparare lei stessa questa pratica, dal momento che lo aveva già fatto per altri comuni, ella ottenne l'incarico e decise non solo di raccontare tutta quella che è la storia del comune di Casatenovo, ma cercò anche di trovare un collegamento ufficiale con il Comune e quello che era lo stemma della famiglia Casati - la storia vuole che don Apollonio avesse scacciato i conti da Casate Vecchio, vi fosse insediato e, prendendo il nome di Casati, diede vita a Casatenovo. Quindi la famiglia Casati aveva uno stemma simile a quello del Comune, la differenza stava nel fatto che lo sfondo fosse argento e il castello fosse rosso, c'erano inoltre le trecce a tre punte che simboleggiavano le tre famiglie, ovvero i Casati, i Giussani e i Vighizzoli. In araldica, naturalmente, tutto ha un significato, sia il colore che il simbolo: il colore rosso è un colore che richiama sangue, battaglia e valore, il castello - in questo caso la torre dorata - ricorda la famiglia Casati, fu cambiato il colore da rosso a oro perché essendo un metallo prezioso enfatizzava l'importanza della famiglia; inoltre, abbiamo già citato le trecce a tre punte, e infine, troviamo i rami, a sinistra l'alloro che simboleggia la virtù e a destra la quercia, legata al coraggio, alla durevolezza.
L'istruttoria venne così completata e nel 1933 il podestà inviò tutto alla prefettura di Como, che faceva da tramite. Non abbiamo, a ora, notizie di cosa successe fra il '33 e il '35, perché la burocrazia, già al tempo, non era proprio velocissima, bisogna quindi aspettare il '36, anno in cui arriva la notizia che non era stata accolta la concessione dello stemma. La motivazione recita: "Mancanza di documentazione atta a trovare il legittimo possesso o il lungo uso dello stemma". Ma il podestà di allora, che era Meregalli, decise comunque di scrivere direttamente a Vittorio Emanuele III, richiedendo che lo stemma venisse riconosciuto, ovviamente punteggiando quanto era stato detto dalla dott. ssa Santoro. Solo il 7 febbraio 1938, due anni dopo, arrivò la comunicazione, a oggi pervenuta, che attesta che veniva concesso ufficialmente l'utilizzo dello stemma. Non si sa per quale motivo, poi, tra il '38 e il '48 si perse memoria di questa concessione, e nel '48 lo studio araldico di consulenza legale di Genova scrisse dicendo che prima della Guerra il Comune aveva chiesto di fare la pratica per il riconoscimento dello stemma, e che quindi, ora che era finita, ci si poteva mettere a disposizione per portarla a termine, dimenticandosi che, in realtà, il riconoscimento era già avvenuto. Dal '48 al '50, però, non si ebbero più notizie, e cominciarono a nascere sollecitazioni da parte dello studio araldico. Nel 1950, allora, il sindaco rispose che la pratica non era stata inoltrata al Capo del Governo perché risultava che il comune in questione era già in possesso di un araldo, e la pratica quindi sarebbe rimasta chiusa. Un discorso diverso invece va fatto per il gonfalone, per il quale venne mandato e approvato il bozzetto: nel '58, infatti, arrivò un decreto ufficiale grazie al quale si concesse il gonfalone allegando quello che era il bozzetto su cui poi verrà ricreato il gonfalone esposto in sala. Nel 1959 venne quindi realizzato, mentre nel '61 fu realizzato anche uno stemma in bronzo.
Tra gli altri fascicoli selezionati al tavolo ce n'è uno che riguarda il terremoto calabro-siculo, conosciuto anche come terremoto di Messina, del 1908. Si parla di un disastro senza precedenti: se la città in questione allora contava 150 mila abitanti, si pensi che 80 mila di essi morirono in questa tragedia, e oltre al terremoto, poi, vi era stato anche, in contemporanea, un maremoto, a causa di un crollo di una faglia sotterranea. Venuti a sapere di ciò che era successo in meridione, a Casatenovo venne fondato un comitato per il supporto delle vittime del terremoto e i promotori del comitato chiesero al sindaco non solo la possibilità di mandare dei volontari per supportare Messina, ma anche di organizzare una raccolta fondi, per la quale vengono creati tanti piccoli registri a seconda delle zone all'interno dei quali venivano annotate tutte le persone con nome, cognome e l'ammontare della donazione. Il 14 gennaio 1909 il Comune di Casatenovo elargì 1525 lire, raccolte in appena 10 giorni, e mandò a Messina numerosi volontari. Si trova nell'archivio una lettera dal comitato ai casatesi in cui li si ringrazia per la prontezza e la generosità, oltre che per il loro supporto umano.
Una curiosità legata a questo terremoto, infine, è il modo di dire di "non fare una mazza". Ebbene, in seguito al terremoto, il sindaco di Messina scappò, abbandonando il comune e rifugiandosi altrove. Vittorio Emanuele III, indignato, si recò a Messina per accertarsi della situazione e nominò come commissario onorario il generale Francesco Mazza, il quale, però, durante il suo mandato, non fece altro che "starsene a bordo della propria nave", impartendo ordini che non puntavano a salvaguardare i civili, bensì i beni materiali. Il malcontento generale dei messinesi e non solo, quindi, ha dato vita all'attuale modo di dire di "non fare una mazza".
Il terzo tavolo, il cui relatore era Gabriele Locatelli di CAeB, era invece composto da documenti di vario stampo, tutti pezzi unici. Il primo mostrato risale al 1860, in piena Seconda Guerra di Indipendenza, quando Casatenovo partecipò alla campagna di raccolta per i fucili che avrebbero poi armato i volontari di Garibaldi, un milione per l'esattezza. All'Italia mancavano ancora Roma, il Veneto e Trieste; il Comune, quindi, aderì formando un comitato e stilando un elenco di tutti donatori e le relative famiglie. Si è quindi fatto un salto temporale fino al 1904, quando la segheria locale prese fuoco, portando innumerevoli casatesi a perdere il lavoro: anche in questa occasione venne fondato un comitato per la raccolta dei fondi, riuscendo a ricostruirla in brevissimo tempo e dando così una fiera dimostrazione di cittadinanza attiva.
Cambiando completamente tema, Locatelli ha poi mostrato un documento datato 10 novembre 1815, nel quale viene proibito il gioco delle carte e della morra durante le funzioni militari notturne. Essendo il documento immediatamente successivo alla caduta di Napoleone, questo è probabilmente dovuto al fatto che i soldati italiani giocassero molto in compagnia dei francesi. L'ultimo elemento del tavolo, infine, ha una storia travagliata: nel 1825 vennero istituite delle guardie comunali a Casatenovo e il documento ne spiega l'utilità e le modalità di istituzione. La particolarità del documento è che lo si trova nell'archivio accompagnato da un biglietto, indirizzato al sindaco, firmato dal parroco Angelo Rossi, in servizio nel 1971. Il bigliettino recita: "Egregio signor sindaco, nell'archivio parrocchiale ho trovato questo documento di ben 146 anni fa che riguarda il piano di istituzione delle guardie comunali". Il motivo di questo ritrovamento oggi lo si può solo immaginare, ma è probabile che fosse dovuto a un tentativo di spionaggio da parte del parroco del 1825 sulle attività del Comune.
In seguito a queste testimonianze si passa a documenti di stampo scolastico, dove si è potuto vedere come l'archivio storico sia in grado di dare voce anche agli individui che non godono di fama storica: un sindaco, un contadino, un casatese qualsiasi o un maestra. È proprio una maestra il fulcro di un documento, risalente al 1903, della scuola elementare di Cassina de Bracchi, alla ricerca disperata di un insegnante donna per l'istituto femminile: si può vedere come nel documento venga richiesto un certo "certificato di moralità" - documento, solitamente rilasciato dal parroco - che testimoniava il corretto comportamento dell'individuo all'interno della società nell'ultimo triennio. Un altro documento scolastico, di circa 50 anni prima, racconta l'ennesima ricerca per una maestra, nonostante sia poi stato trovato un uomo, e testimonia la necessità di un certificato medico, comprovante che l'insegnante fosse in grado di sostenere le fatiche dovute all'insegnamento. L'ultimo documento scolastico è del 1907 e si tratta di una raccolta delle impressioni degli studenti su una passeggiata, scritte dalla loro maestra. Quella che nella raccolta è definita come "passeggiata" si è rivelata poi essere un marcia, che vedeva gli alunni camminare dalla scuola di Casatenovo al castello Bellavista di Ello.
E legato alle scuole, per rimanere in tema, è stato il quarto e ultimo tavolo, gestito dal professor Luigi Capraro, insegnante alle scuole medie di Casatenovo e collaboratore dell'associazione Pro Loco del paese. Il primo dei documenti mostrati è stato una planimetria della scuola di Campofiorenzo, che poi è la sala civica attuale di Campofiorenzo, risalente al 1894, e che si trova adesso in via della Somaglia: la costruzione di questa scuola, infatti, è dovuta a Conte Gian Luca Cavazzi della Somaglia, che la realizzò quasi come "atto di beneficienza". Il Comune, infatti, non aveva i soldi per poterlo fare autonomamente, e allora diede la disponibilità a Gian Luca Cavazzi di costruirla lui, dicendo che, se poi il Comune avrebbe voluto acquistarla, o se avesse voluto prenderla in affitto, gliel'avrebbe venduta o affittata tranquillamente. Quindi la scuola venne costruita, il Comune mandò un ingegnere per verificarne l'integrità e la qualità, decise infine di acquistarla, a un costo di 7000 lire suddivise in tre rate, l'ultima delle quali però non viene acquisita da Gian Luca Cavazzi della Somaglia, che era senatore del Regno, poiché nel frattempo era morto, ma dal figlio. Per quale motivo, in particolare, fu costruita quella scuola? In quel periodo, ovvero nel 1894, c'erano solo una scuola a Capoluogo e una in affitto a Cascina Grassi, le quali, però, erano sovraffollate e ospitavano dai 70 ai 90 alunni in una stessa stanza, e creando un'altra scuola sicuramente si poteva decongestionare queste due precedenti già esistenti. All'interno di questa planimetria sono presenti 35 posti, che però sono doppi, per un totale quindi di 70 posti per 70 alunni. Questo poi era il limite massimo, anche se in una scuola, sempre in affitto, presa a Cascina Bracchi, c'è stata un'aula contenente addirittura 112 alunni, quindi un numero elevatissimo.
L'altra parte interessante è quella che riguarda l'inaugurazione della scuola di Cascina Bracchi, il cui fronte è ancora uguale. Insieme a questa poi c'era una scuola a Galgiana, che ora è stata abbattuta, che si trovava prima della scuola di musica. In realtà i progetti di entrambe risalgono al 1914, solo che all'inizio della Prima Guerra Mondiale vennero interrotti, nel 1924 iniziarono i lavori per quella di Galgiana, che terminano nel 1926, e nel 1927 quelli di Cascina Bracchi, che terminano nel 1928. Il 28 ottobre 1928 venne fatta l'inaugurazione: il Comune scrisse al Generale Giuseppe Sirtori perché un'aula all'interno doveva essere dedicata a lui, definito gloria del nostro Casate, e l'altra aula doveva essere dedicata a Gian Carlo Castelbarco, medaglia d'oro al valor militare. La cosa strana è che nessun atto comunale cita il fatto che tutta la scuola era invece dedicata al generale Armando Diaz: in una relazione che una maestra di Modromeno aveva fatto in merito a questa inaugurazione, che si trova nell'archivio dell'Istituto Comprensivo, lei dice che "con i bambini in divisa e con i canti patriottici [...] - bisogna pensare che siamo in epoca fascista - si va a Cascina Bracchi perché c'è l'inaugurazione di una scuola dedicata ad Armando Diaz". Questa intitolazione però ora non compare, il che significa che con il tempo è andata persa, ma non abbiamo testimonianze sulla motivazione. Qualche persona più anziana lo ricorda, ma a oggi non si sa perché non si chiami più così e sarebbe interessante scoprire il motivo, magari anche per restituirglielo.
Un altro documento riportava alcuni bozzetti e disegni di banchi che adesso ci immagineremmo di vedere soltanto nelle chiese, ma all'epoca erano i banchi delle scuole. Nel 1890 il Comune fece fare questi disegni, proponendoli ai falegnami di Casatenovo, per fare una gara al prezzo minore: il motivo è che aveva bisogno di arredare una stanza che aveva preso in affitto a Galgiana come scuola, e quindi diede delle indicazioni in merito. È interessante vedere la forma di queste sedute, il fatto che una certa parte di tavolo dovesse inclinarsi perché all'interno c'erano il calamaio e i libri che loro utilizzavano, insomma, legno e grandezze particolari, cose che oggi non siamo abituati a vedere.
L'ultimo atto mostrato è una testimonianza quasi privata. Una maestra di Rogoredo, Angela Sironi, nel 1916 scrisse al Sindaco chiedendo, a causa della partenza del marito in guerra avvenuta 4 mesi prima, di essere trasferita da Montecarmelo, dove insegnava lei, alla scuola di Rogoredo, poiché lì il marito si occupava delle faccende di una casa, delle quali avrebbe potuto quindi occuparsi lei nei momenti di spazio. Aggiunse, poi, che lei aveva avuto già la disponibilità di un'altra maestra, tale Maria Equini, che insegnava a Rogoredo, di trasferirsi al posto suo a Montecarmelo. Il Sindaco, che in quel periodo era Antonio Fumagalli, scrisse all'ispettorato scolastico e aspettò la risposta, la quale arrivò il 22 dicembre 1916, che diceva che "i trasferimenti dovevano avvenire col principio di anno scolastico, mentre lei aveva chiesto a metà ottobre, poi, dovevano servire alla comodità della scolaresca, non ai suoi interessi, infine, la distanza tra Rogoredo e Montecarmelo è breve", finendo quindi per rifiutare la domanda. Ci sembrano cattivi, forse, ma pensandoci, sicuramente è stato fatto l'interesse degli alunni, perché non solo la continuità didattica degli alunni di Rogoredo sarebbe venuta meno portando Maria Equini a Montecarmelo, ma la stessa cosa sarebbe avvenuta per i bambini di Montecarmelo portando Angela Sironi a Rogoredo.
Altre scuole costruite nel medesimo periodo sono state quella in via Manzoni, più o meno dove c'è la banca, e quella a Rogoredo, in via Madonnina. Insomma, alla fine, a prescindere dalle circostanze, dalle specifiche condizioni e dalle dinamiche particolari, una cosa è certa: dove il Comune di Casatenovo ha potuto costruire una scuola, lo ha sempre fatto, mettendo quindi l'educazione delle nuove generazioni sempre al primo posto.
Con questa onorevole informazione, dunque, si è conclusa la spiegazione all'ultimo tavolo, che ha anche chiuso la visita dell'archivio: un viaggio, durato meno di un'oretta, che ha regalato ai presenti una maggiore consapevolezza di che cos'è Casatenovo, e numerose curiosità sulla cittadina che, a loro modo, vivono tutti i giorni.
I documenti, accuratamente catalogati e selezionati per l'occasione, sono dei generi più vari e disparati e vanno dalle attestazioni delle commemorazioni funebri alle progettazioni delle scuole, passando per raccolte fondi, bandi lavorativi e, addirittura, notizie che sfiorano quasi il gossip. Grazie all'aiuto dei membri di CAeB, tra cui Gabriele Locatelli, all'interno della sala consiliare del Comune di Casatenovo sono state allestite quattro postazioni, ognuna delle quali, gestita da un collaboratore, era dedicata a una tematica specifica, costruita proprio a partire dai documenti conservati all'interno dell'archivio. Una sorta di "visita a stand", che ha permesso a tutti i partecipanti, divisi per gruppi, di venire a conoscenza di qualche piccola curiosità su Casatenovo, testimoniata da documenti originali e pezzi unici.
Gabriele Locatelli della cooperativa CAeB
La prima delle quattro postazioni riguardava prevalentemente le comunicazioni fra il Comune di Casatenovo e il Ministero, declinate a seconda delle motivazioni richieste e suddivise in quattro fascicoli dell'archivio, due più legati alla storia d'Italia, quindi che si studia sui libri di scuola, e altri due legati alla storia legati alla nostra storia locale di Casatenovo.
Il primo fascicolo è dedicato alla morte di Umberto I, deceduto qui vicino, a Monza, il 29 luglio 1900. Esso raccoglie tutti gli adempimenti che il Comune dovette probabilmente fare per commemorare la morte del sovrano (i documenti sono datati più o meno tutti tra la morte e le prime due settimane di agosto, perché erano provvedimenti probabilmente che vennero fatti di fretta e furia date le circostanze). Appunto, tra i vari adempimenti, ce n'è uno - comunicato tramite un telegramma - risalente più o meno al 7 di agosto che prescrive che per sei mesi il Comune avrebbe dovuto mantenere la bandiera abbrunata, cioè con un laccio nero appoggiato all'asta. Altro adempimento era, per esempio, la sospensione delle lezioni e degli esami scolastici - agli inizi del Novecento il Comune amministrava anche le scuole, quindi questa prescrizione arrivava direttamente dal Ministero dell'Istruzione. Altro documento inerente alla morte del sovrano è un bollettino straordinario, che arrivò comune in tutta l'Italia, in cui viene spiegata la dinamica dei fatti che riguardano la morte del sovrano: secondo il bollettino, Umberto I stava partecipando a una manifestazione di ginnastica alla Forti e Liberi e mentre stava andando verso la carrozza viene raggiunto da dei colpi di rivoltella - qualcuno dice tre, qualcuno dice cinque, insomma, almeno tre colpi lo intercettano. Questo avviene alle 22.25 e alle 22.40 spira. È una testimonianza, ma deve comunque essere letta in maniera critica, poiché comunque fu scritta per commemorare il sovrano: tanto è vero, infatti, che riporta un'esaltazione massima di Umberto I, perché c'è tutta la sua storia raccontata nelle pagine successive, mentre dell'omicida non viene mai detto niente, probabilmente per evitare passasse per una cronaca giornalistica.
Altro documento mostrato in questa postazione è stato un telegramma del 7 agosto (quasi una settimana dopo l'uccisione del Re) in cui il sottoprefetto di Lecco comunica al Sindaco e a una delegazione del Comune come si devono comportare per poter partecipare al funerale. Tra le varie prescrizioni, molto carino è il fatto che la delegazione del Comune avrebbe dovuto portare con sé una copia della delibera comunale in cui si comunicava la partecipazione da conservare nell'archivio del Ministero, perché indica che si dava già una certa importanza al documento - probabilmente dal punto amministrativo visto il contesto, ma sicuramente anche da quello storico, perché mettere in archivio voleva comunque dire lasciare una certa testimonianza di partecipazione.
Altro documento mostrato in questa postazione è stato un telegramma del 7 agosto (quasi una settimana dopo l'uccisione del Re) in cui il sottoprefetto di Lecco comunica al Sindaco e a una delegazione del Comune come si devono comportare per poter partecipare al funerale. Tra le varie prescrizioni, molto carino è il fatto che la delegazione del Comune avrebbe dovuto portare con sé una copia della delibera comunale in cui si comunicava la partecipazione da conservare nell'archivio del Ministero, perché indica che si dava già una certa importanza al documento - probabilmente dal punto amministrativo visto il contesto, ma sicuramente anche da quello storico, perché mettere in archivio voleva comunque dire lasciare una certa testimonianza di partecipazione.
Gli altri due fascicoli, poi, sono dedicati, come già detto, a Casatenovo in senso stretto. Il primo parla di una banda sociale, creata per volere del Comune nel 1883, che si finanziava grazie all'aiuto dei cittadini. Era una banda sociale, ma ciò che risulta interessante dal fascicolo in realtà è una corrispondenza che c'è per l'organizzazione di una pesca di beneficenza, che deve aver avuto luogo il 23 settembre 1893 (dieci anni dopo!). Tutto è scaturito dal fatto che il sottoprefetto probabilmente aveva visto i figurini della divisa della banda (che noi non abbiamo, purtroppo), si era accorto che la fascia di decorazione dei pantaloni era troppo larga e somigliava molto a quella dell'esercito, e quindi comunica che dovevano farla più piccola. Il Comune e i membri della banda, quindi, che non avevano i soldi per finanziare l'acquisto di nuove divise crearono questo evento, cioè la pesca, il cui primo premio della lotteria doveva essere una giovenca: il risultato è che ora abbiamo tutta la descrizione di come era stata organizzata, perché il comitato della banda aveva scritto al Comune come sarebbero state gestite le varie postazioni, quindi dove sarebbe stata fatta la corsa dei sacchi, dove sarebbe stata posizionata la banda a suonare, la lavagna con i punteggi della lotteria... insomma, anche una bella testimonianza di com'era organizzata probabilmente la piazza davanti al Comune al tempo, cioè 1893, anche da un punto di vista topografico.
L'ultimo fascicolo, dedicato a una certa contessa dal cognome straniero, è il più curioso. In realtà il carteggio al suo interno non è tantissimo: si capisce che c'è un problema con lei, perché sembra non potesse soggiornare a Casatenovo, ma non si capisce il motivo. Per esempio, è stato trovato un "soggiorno degli stranieri", documento compilato probabilmente da lei, su cui però c'è scritto che lei è di nazionalità italiana, e perché poi ci fossero, nel fascicolo, diversi documenti che venivano mandati per cacciarti dal paese (per motivazioni piuttosto gravi). Un lavoro esterno, tuttavia, basato sulla sua biografia, ha permesso di comprendere un po' di cose: lei aveva sposato un conte principe di Sassonia, tedesco quindi, agli inizi del Novecento - lei era nata nel 1884, quindi aveva più o meno vent'anni -, ma poco dopo i due divorziano, e lei vuole tornare in Italia. Il problema, però, è che in Italia il divorzio non è riconosciuto, e inoltre, lei era considerata non solo di nazionalità straniera, ma specificamente tedesca, ovvero, per i periodi della Prima Guerra Mondiale, nemica. Quindi lei non è ben accetta né a Casatenovo né, in realtà, nel resto d'Italia, e ci sono diverse testimonianze di lei che vaga per il Nord Italia senza però trovare residenza.
Il secondo stand, gestito da Giusy Galatà di CAeB, ha selezionato invece tematiche di tipo più amministrativo, raccogliendo testimonianze avvenute, si potrebbe dire, "a palazzo". Il primo dei fascicoli selezionati riassumevano la storia della concessione dello stemma di Casatenovo, la cui storia comincia nel 1929, con una circolare ministeriale: essa diceva che per permettere a un Comune di utilizzare lo stemma in un evento pubblico era necessario che venisse prima di tutto approvato, quindi bisognava preparare tutta un'istruttoria che non solo andasse a supportare tutta la storia del comune ma anche la funzione per cui veniva utilizzato lo stemma. A dire il vero, lo stemma del Comune in realtà si usava già da tempo, ma mancava la parte del riconoscimento. Nel 1932 poi la dottoressa Santoro, che era una giovane assistente della sovrintendenza di Milano, si autocandidò per preparare lei stessa questa pratica, dal momento che lo aveva già fatto per altri comuni, ella ottenne l'incarico e decise non solo di raccontare tutta quella che è la storia del comune di Casatenovo, ma cercò anche di trovare un collegamento ufficiale con il Comune e quello che era lo stemma della famiglia Casati - la storia vuole che don Apollonio avesse scacciato i conti da Casate Vecchio, vi fosse insediato e, prendendo il nome di Casati, diede vita a Casatenovo. Quindi la famiglia Casati aveva uno stemma simile a quello del Comune, la differenza stava nel fatto che lo sfondo fosse argento e il castello fosse rosso, c'erano inoltre le trecce a tre punte che simboleggiavano le tre famiglie, ovvero i Casati, i Giussani e i Vighizzoli. In araldica, naturalmente, tutto ha un significato, sia il colore che il simbolo: il colore rosso è un colore che richiama sangue, battaglia e valore, il castello - in questo caso la torre dorata - ricorda la famiglia Casati, fu cambiato il colore da rosso a oro perché essendo un metallo prezioso enfatizzava l'importanza della famiglia; inoltre, abbiamo già citato le trecce a tre punte, e infine, troviamo i rami, a sinistra l'alloro che simboleggia la virtù e a destra la quercia, legata al coraggio, alla durevolezza.
L'istruttoria venne così completata e nel 1933 il podestà inviò tutto alla prefettura di Como, che faceva da tramite. Non abbiamo, a ora, notizie di cosa successe fra il '33 e il '35, perché la burocrazia, già al tempo, non era proprio velocissima, bisogna quindi aspettare il '36, anno in cui arriva la notizia che non era stata accolta la concessione dello stemma. La motivazione recita: "Mancanza di documentazione atta a trovare il legittimo possesso o il lungo uso dello stemma". Ma il podestà di allora, che era Meregalli, decise comunque di scrivere direttamente a Vittorio Emanuele III, richiedendo che lo stemma venisse riconosciuto, ovviamente punteggiando quanto era stato detto dalla dott. ssa Santoro. Solo il 7 febbraio 1938, due anni dopo, arrivò la comunicazione, a oggi pervenuta, che attesta che veniva concesso ufficialmente l'utilizzo dello stemma. Non si sa per quale motivo, poi, tra il '38 e il '48 si perse memoria di questa concessione, e nel '48 lo studio araldico di consulenza legale di Genova scrisse dicendo che prima della Guerra il Comune aveva chiesto di fare la pratica per il riconoscimento dello stemma, e che quindi, ora che era finita, ci si poteva mettere a disposizione per portarla a termine, dimenticandosi che, in realtà, il riconoscimento era già avvenuto. Dal '48 al '50, però, non si ebbero più notizie, e cominciarono a nascere sollecitazioni da parte dello studio araldico. Nel 1950, allora, il sindaco rispose che la pratica non era stata inoltrata al Capo del Governo perché risultava che il comune in questione era già in possesso di un araldo, e la pratica quindi sarebbe rimasta chiusa. Un discorso diverso invece va fatto per il gonfalone, per il quale venne mandato e approvato il bozzetto: nel '58, infatti, arrivò un decreto ufficiale grazie al quale si concesse il gonfalone allegando quello che era il bozzetto su cui poi verrà ricreato il gonfalone esposto in sala. Nel 1959 venne quindi realizzato, mentre nel '61 fu realizzato anche uno stemma in bronzo.
Giusy Galatà
Tra gli altri fascicoli selezionati al tavolo ce n'è uno che riguarda il terremoto calabro-siculo, conosciuto anche come terremoto di Messina, del 1908. Si parla di un disastro senza precedenti: se la città in questione allora contava 150 mila abitanti, si pensi che 80 mila di essi morirono in questa tragedia, e oltre al terremoto, poi, vi era stato anche, in contemporanea, un maremoto, a causa di un crollo di una faglia sotterranea. Venuti a sapere di ciò che era successo in meridione, a Casatenovo venne fondato un comitato per il supporto delle vittime del terremoto e i promotori del comitato chiesero al sindaco non solo la possibilità di mandare dei volontari per supportare Messina, ma anche di organizzare una raccolta fondi, per la quale vengono creati tanti piccoli registri a seconda delle zone all'interno dei quali venivano annotate tutte le persone con nome, cognome e l'ammontare della donazione. Il 14 gennaio 1909 il Comune di Casatenovo elargì 1525 lire, raccolte in appena 10 giorni, e mandò a Messina numerosi volontari. Si trova nell'archivio una lettera dal comitato ai casatesi in cui li si ringrazia per la prontezza e la generosità, oltre che per il loro supporto umano.
Una curiosità legata a questo terremoto, infine, è il modo di dire di "non fare una mazza". Ebbene, in seguito al terremoto, il sindaco di Messina scappò, abbandonando il comune e rifugiandosi altrove. Vittorio Emanuele III, indignato, si recò a Messina per accertarsi della situazione e nominò come commissario onorario il generale Francesco Mazza, il quale, però, durante il suo mandato, non fece altro che "starsene a bordo della propria nave", impartendo ordini che non puntavano a salvaguardare i civili, bensì i beni materiali. Il malcontento generale dei messinesi e non solo, quindi, ha dato vita all'attuale modo di dire di "non fare una mazza".
Il terzo tavolo, il cui relatore era Gabriele Locatelli di CAeB, era invece composto da documenti di vario stampo, tutti pezzi unici. Il primo mostrato risale al 1860, in piena Seconda Guerra di Indipendenza, quando Casatenovo partecipò alla campagna di raccolta per i fucili che avrebbero poi armato i volontari di Garibaldi, un milione per l'esattezza. All'Italia mancavano ancora Roma, il Veneto e Trieste; il Comune, quindi, aderì formando un comitato e stilando un elenco di tutti donatori e le relative famiglie. Si è quindi fatto un salto temporale fino al 1904, quando la segheria locale prese fuoco, portando innumerevoli casatesi a perdere il lavoro: anche in questa occasione venne fondato un comitato per la raccolta dei fondi, riuscendo a ricostruirla in brevissimo tempo e dando così una fiera dimostrazione di cittadinanza attiva.
Cambiando completamente tema, Locatelli ha poi mostrato un documento datato 10 novembre 1815, nel quale viene proibito il gioco delle carte e della morra durante le funzioni militari notturne. Essendo il documento immediatamente successivo alla caduta di Napoleone, questo è probabilmente dovuto al fatto che i soldati italiani giocassero molto in compagnia dei francesi. L'ultimo elemento del tavolo, infine, ha una storia travagliata: nel 1825 vennero istituite delle guardie comunali a Casatenovo e il documento ne spiega l'utilità e le modalità di istituzione. La particolarità del documento è che lo si trova nell'archivio accompagnato da un biglietto, indirizzato al sindaco, firmato dal parroco Angelo Rossi, in servizio nel 1971. Il bigliettino recita: "Egregio signor sindaco, nell'archivio parrocchiale ho trovato questo documento di ben 146 anni fa che riguarda il piano di istituzione delle guardie comunali". Il motivo di questo ritrovamento oggi lo si può solo immaginare, ma è probabile che fosse dovuto a un tentativo di spionaggio da parte del parroco del 1825 sulle attività del Comune.
In seguito a queste testimonianze si passa a documenti di stampo scolastico, dove si è potuto vedere come l'archivio storico sia in grado di dare voce anche agli individui che non godono di fama storica: un sindaco, un contadino, un casatese qualsiasi o un maestra. È proprio una maestra il fulcro di un documento, risalente al 1903, della scuola elementare di Cassina de Bracchi, alla ricerca disperata di un insegnante donna per l'istituto femminile: si può vedere come nel documento venga richiesto un certo "certificato di moralità" - documento, solitamente rilasciato dal parroco - che testimoniava il corretto comportamento dell'individuo all'interno della società nell'ultimo triennio. Un altro documento scolastico, di circa 50 anni prima, racconta l'ennesima ricerca per una maestra, nonostante sia poi stato trovato un uomo, e testimonia la necessità di un certificato medico, comprovante che l'insegnante fosse in grado di sostenere le fatiche dovute all'insegnamento. L'ultimo documento scolastico è del 1907 e si tratta di una raccolta delle impressioni degli studenti su una passeggiata, scritte dalla loro maestra. Quella che nella raccolta è definita come "passeggiata" si è rivelata poi essere un marcia, che vedeva gli alunni camminare dalla scuola di Casatenovo al castello Bellavista di Ello.
Gabriele Locatelli mostra altri documenti
E legato alle scuole, per rimanere in tema, è stato il quarto e ultimo tavolo, gestito dal professor Luigi Capraro, insegnante alle scuole medie di Casatenovo e collaboratore dell'associazione Pro Loco del paese. Il primo dei documenti mostrati è stato una planimetria della scuola di Campofiorenzo, che poi è la sala civica attuale di Campofiorenzo, risalente al 1894, e che si trova adesso in via della Somaglia: la costruzione di questa scuola, infatti, è dovuta a Conte Gian Luca Cavazzi della Somaglia, che la realizzò quasi come "atto di beneficienza". Il Comune, infatti, non aveva i soldi per poterlo fare autonomamente, e allora diede la disponibilità a Gian Luca Cavazzi di costruirla lui, dicendo che, se poi il Comune avrebbe voluto acquistarla, o se avesse voluto prenderla in affitto, gliel'avrebbe venduta o affittata tranquillamente. Quindi la scuola venne costruita, il Comune mandò un ingegnere per verificarne l'integrità e la qualità, decise infine di acquistarla, a un costo di 7000 lire suddivise in tre rate, l'ultima delle quali però non viene acquisita da Gian Luca Cavazzi della Somaglia, che era senatore del Regno, poiché nel frattempo era morto, ma dal figlio. Per quale motivo, in particolare, fu costruita quella scuola? In quel periodo, ovvero nel 1894, c'erano solo una scuola a Capoluogo e una in affitto a Cascina Grassi, le quali, però, erano sovraffollate e ospitavano dai 70 ai 90 alunni in una stessa stanza, e creando un'altra scuola sicuramente si poteva decongestionare queste due precedenti già esistenti. All'interno di questa planimetria sono presenti 35 posti, che però sono doppi, per un totale quindi di 70 posti per 70 alunni. Questo poi era il limite massimo, anche se in una scuola, sempre in affitto, presa a Cascina Bracchi, c'è stata un'aula contenente addirittura 112 alunni, quindi un numero elevatissimo.
L'altra parte interessante è quella che riguarda l'inaugurazione della scuola di Cascina Bracchi, il cui fronte è ancora uguale. Insieme a questa poi c'era una scuola a Galgiana, che ora è stata abbattuta, che si trovava prima della scuola di musica. In realtà i progetti di entrambe risalgono al 1914, solo che all'inizio della Prima Guerra Mondiale vennero interrotti, nel 1924 iniziarono i lavori per quella di Galgiana, che terminano nel 1926, e nel 1927 quelli di Cascina Bracchi, che terminano nel 1928. Il 28 ottobre 1928 venne fatta l'inaugurazione: il Comune scrisse al Generale Giuseppe Sirtori perché un'aula all'interno doveva essere dedicata a lui, definito gloria del nostro Casate, e l'altra aula doveva essere dedicata a Gian Carlo Castelbarco, medaglia d'oro al valor militare. La cosa strana è che nessun atto comunale cita il fatto che tutta la scuola era invece dedicata al generale Armando Diaz: in una relazione che una maestra di Modromeno aveva fatto in merito a questa inaugurazione, che si trova nell'archivio dell'Istituto Comprensivo, lei dice che "con i bambini in divisa e con i canti patriottici [...] - bisogna pensare che siamo in epoca fascista - si va a Cascina Bracchi perché c'è l'inaugurazione di una scuola dedicata ad Armando Diaz". Questa intitolazione però ora non compare, il che significa che con il tempo è andata persa, ma non abbiamo testimonianze sulla motivazione. Qualche persona più anziana lo ricorda, ma a oggi non si sa perché non si chiami più così e sarebbe interessante scoprire il motivo, magari anche per restituirglielo.
Un altro documento riportava alcuni bozzetti e disegni di banchi che adesso ci immagineremmo di vedere soltanto nelle chiese, ma all'epoca erano i banchi delle scuole. Nel 1890 il Comune fece fare questi disegni, proponendoli ai falegnami di Casatenovo, per fare una gara al prezzo minore: il motivo è che aveva bisogno di arredare una stanza che aveva preso in affitto a Galgiana come scuola, e quindi diede delle indicazioni in merito. È interessante vedere la forma di queste sedute, il fatto che una certa parte di tavolo dovesse inclinarsi perché all'interno c'erano il calamaio e i libri che loro utilizzavano, insomma, legno e grandezze particolari, cose che oggi non siamo abituati a vedere.
Luigi Capraro, docente della scuola media di Casatenovo
L'ultimo atto mostrato è una testimonianza quasi privata. Una maestra di Rogoredo, Angela Sironi, nel 1916 scrisse al Sindaco chiedendo, a causa della partenza del marito in guerra avvenuta 4 mesi prima, di essere trasferita da Montecarmelo, dove insegnava lei, alla scuola di Rogoredo, poiché lì il marito si occupava delle faccende di una casa, delle quali avrebbe potuto quindi occuparsi lei nei momenti di spazio. Aggiunse, poi, che lei aveva avuto già la disponibilità di un'altra maestra, tale Maria Equini, che insegnava a Rogoredo, di trasferirsi al posto suo a Montecarmelo. Il Sindaco, che in quel periodo era Antonio Fumagalli, scrisse all'ispettorato scolastico e aspettò la risposta, la quale arrivò il 22 dicembre 1916, che diceva che "i trasferimenti dovevano avvenire col principio di anno scolastico, mentre lei aveva chiesto a metà ottobre, poi, dovevano servire alla comodità della scolaresca, non ai suoi interessi, infine, la distanza tra Rogoredo e Montecarmelo è breve", finendo quindi per rifiutare la domanda. Ci sembrano cattivi, forse, ma pensandoci, sicuramente è stato fatto l'interesse degli alunni, perché non solo la continuità didattica degli alunni di Rogoredo sarebbe venuta meno portando Maria Equini a Montecarmelo, ma la stessa cosa sarebbe avvenuta per i bambini di Montecarmelo portando Angela Sironi a Rogoredo.
Altre scuole costruite nel medesimo periodo sono state quella in via Manzoni, più o meno dove c'è la banca, e quella a Rogoredo, in via Madonnina. Insomma, alla fine, a prescindere dalle circostanze, dalle specifiche condizioni e dalle dinamiche particolari, una cosa è certa: dove il Comune di Casatenovo ha potuto costruire una scuola, lo ha sempre fatto, mettendo quindi l'educazione delle nuove generazioni sempre al primo posto.
Con questa onorevole informazione, dunque, si è conclusa la spiegazione all'ultimo tavolo, che ha anche chiuso la visita dell'archivio: un viaggio, durato meno di un'oretta, che ha regalato ai presenti una maggiore consapevolezza di che cos'è Casatenovo, e numerose curiosità sulla cittadina che, a loro modo, vivono tutti i giorni.
Giulia Guddemi