Buoni fruttiferi falsificati: per l'ex direttore di Poste, il PM ha chiesto una condanna a 8 anni

Il tribunale di Lecco
Alla fine, la discussione è spettata al dottor Alessandro Gobbis, applicato temporaneamente a Lecco quale stampella di una Procura ridotta a due unità.
Per il meneghino - erede per il rotto della cuffia di un fascicolo a suo tempo aperto dal collega Paolo Del Grosso e poi passato di mano, per la trattazione in udienza, a Paolo Pietro Mazza, Flavio Ricci e Chiara Di Francesco - l'imputato è da ritenersi ''anello di congiunzione in una catena criminale più grande di lui'' e per questo suo consapevole ruolo è da condannare.
8 anni la pena complessiva richiesta al collegio giudicante (presidente Martina Beggio, a latere Gianluca Piantadosi e Giulia Barazzetta).
Una batosta per J.D.B., 38anni, ex dipendente di Poste Italiane chiamato a rispondere delle accuse di falso e peculato (in concorso con ignoti), per aver autorizzato il pagamento di una serie di buoni fruttiferi emessi negli anni Ottanta nonché, per altra vicenda estranea al contesto lavorativo, di detenzione di stupefacente (reato per il quale lo stesso titolare della pubblica accusa ha chiesto l'assoluzione dell'uomo, "per non aver commesso il fatto").
Secondo il quadro accusatorio, fra il 2015 e il 2017 l'impiegato si sarebbe reso co-responsabile di una sorta di "truffa" ai danni di Poste e di alcuni clienti, nel frattempo risarciti e non costituitisi dunque parte civile.
Dalle indagini svolte è infatti emerso che in quattro circostanze sarebbe stato proprio il moltenese a dirigere i tre uffici postali coinvolti nella vicenda giudiziaria quando - presunti complici mai individuati - avrebbero presentato all'incasso buoni falsificati. Una truffa che avrebbe fruttato a ignoti un bottino decisamente consistente: circa 770mila euro - dei quali oltre 500mila nel solo ufficio postale di Barzanò - e gli altri divisi fra le sedi di Oggiono e Annone.
Per la Procura il modus operandi, piuttosto semplice, era il seguente: i buoni postali sarebbero stati riprodotti su pezze originali rubate "in bianco" negli anni Ottanta negli uffici postali e compilati con abilità in modo da renderli identici a quelli effettivamente sottoscritti ai risparmiatori "derubati", con tanto di regolare (e corrispondente) numero di matrice ottenuto proprio grazie alla collaborazione di un "interno". Ad incassarli soggetti rimasti al momento ignoti, muniti della carta d'identità, chiaramente falsificata, dell'effettivo intestatario.
Quest'oggi, dopo l'escussione degli ultimi testi a discarico introdotti dalla difesa rappresentata dagli avvocati Giovanni e Paolo Priore, il dottor Gobbis ha chiaramente spiegato di non ritenere l'imputato così "sfortunato" di essersi trovato sempre nel luogo sbagliato al momento sbagliato, sostenendo come sì, questo tipo di raggiro in Italia sia piuttosto comune ma come per più volte in Provincia di Lecco si sia verificato proprio mentre la filiale presa di mira era diretta da J.D.B.. Quest'ultimo, secondo il PM, non sarebbe nemmeno stato incastrato da ignoti accaniti contro di lui - "sarebbe stato più difficile per questi soggetti terzi creare la coincidenza che per lui farsi trovare sempre quando un buono viene portato all'incasso" - e la prova di ciò deriverebbe da affermazioni proprie del moltenese, introdotte in dibattimento da un suo conoscente dopo aver già definito la propria posizione patteggiando per quanto attiene la vicenda dello stupefacente contestata anche al 38enne.
Nella versione dell'amico, J.D.B gli avrebbe "confessato" di aver "fregato" le Poste per denaro, indicando in 8.000 euro il guadagno. Una cifra modesta, rispetto al valore complessivo dei buoni portati all'incasso, per stessa ammissione del sostituto procuratore, parlando però di "una piccola quota data a chi ha un ruolo secondario", all'interno di un sistema ben più grande.
Dello stesso avviso anche il legale che al processo rappresenta le Poste, pronto a sottolineare come J.D.B pur anagraficamente giovane fosse un dipendente di esperienza e abbia dunque sfruttato tale sua conoscenza per "porre in essere - a copertura della sua infedeltà ndr - una serie di condotte che sono un schermo, ma del tutto inutili". Citata a tal proposito, per esempio, la consultazione del sistema "Oracolo", "pur sapendo benissimo non avrebbe comunque acceso alcun altert".
Di tutt'altra tenuta, ovviamente, l'arringa dell'avvocato Giovanni Priore, facendo leva in particolare sulla relazione a firma del "super ispettore" delle stesse Poste che, a conclusione della propria analisi del caso, ha sostenuto come a proprio avviso "non si può addebitare a J.D.B alcuna responsabilità penale". "Il fatto non sussiste" dunque per la difesa. Il 10 novembre la sentenza.
A.M.
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