Buoni fruttiferi falsificati: l'ex dipendente di Poste è condannato a sei anni e otto mesi

Il tribunale di Lecco
Pur essendo inferiore a quella chiesta la scorsa udienza dal sostituto procuratore Alessandro Gobbis, la condanna inflitta pochi minuti fa in tribunale a Lecco resta comunque pesante: sei anni e otto mesi.
Si è pronunciato così il collegio giudicante presieduto da Martina Beggio - con a latere Giulia Barazzetta e Gianluca Piantadosi - nei confronti di J.D.B., 38anni, ex dipendente di Poste Italiane chiamato a rispondere delle accuse di falso e peculato (in concorso con ignoti), per aver autorizzato il pagamento di una serie di buoni fruttiferi emessi negli anni Ottanta.
Secondo il quadro accusatorio, fra il 2015 e il 2017 l'impiegato si sarebbe reso co-responsabile di una sorta di "truffa" ai danni di Poste e di alcuni clienti, nel frattempo risarciti e non costituitisi dunque parte civile. Dalle indagini svolte era infatti emerso che in quattro circostanze sarebbe stato proprio lui a dirigere i tre uffici postali coinvolti nella vicenda giudiziaria quando - presunti complici mai individuati - avrebbero presentato all'incasso buoni falsificati. Una truffa che avrebbe fruttato a ignoti un bottino decisamente consistente: circa 770mila euro - dei quali oltre 500mila nel solo ufficio postale di Barzanò - e gli altri divisi fra le sedi di Oggiono e Annone.
Per la Procura il modus operandi, piuttosto semplice, era il seguente: i buoni postali sarebbero stati riprodotti su pezze originali rubate "in bianco" negli anni Ottanta negli uffici postali e compilati con abilità in modo da renderli identici a quelli effettivamente sottoscritti ai risparmiatori "derubati", con tanto di regolare (e corrispondente) numero di matrice ottenuto proprio grazie alla collaborazione di un "interno". Ad incassarli soggetti rimasti al momento ignoti, muniti della carta d'identità, chiaramente falsificata, dell'effettivo intestatario.
Nella sua requisitoria, culminata in una richiesta di condanna a 8 anni, il dr.Gobbis aveva ritenuto provata la penale responsabilità dell'imputato, sostenendo come sì, questo tipo di raggiro in Italia sia piuttosto comune ma come per più volte in provincia di Lecco si sia verificato proprio mentre la filiale presa di mira era diretta da J.D.B.. Quest'ultimo, secondo il PM, non sarebbe nemmeno stato incastrato da ignoti accaniti contro di lui.
Nel corso dell'istruttoria dibattimentale, si sono alternati sul banco dei testimoni, forze dell'ordine, vittime del raggiro e dipendenti di Poste Italiane, ma anche lo stesso imputato. In un lungo racconto il moltenese aveva rivendicato la buona fede del proprio operato, sia al servizio di Poste Italiane (costituitasi parte civile tramite un legale del foro di Roma) sia degli utenti, tentando di smontare l'impianto accusatorio sostenuto dalla Procura lecchese. ''Ho sempre operato e agito in buona fede: non mai nutrito sospetti che queste operazioni potessero essere delle truffe. Lavoravo per Poste di cui ero anche un azionista e miravo a fare carriera'' aveva detto, riferendo di aver subito anche una rapina mentre si trovava allo sportello. ''Se solo avessi avuto qualche dubbio non avrei mai autorizzato quelle operazioni''.
Una posizione di estraneità ai fatti che la scorsa udienza era stata messa in risalto anche dal suo legale, l'avvocato Giovanni Priore (difensore insieme al figlio Paolo ndr), facendo leva in particolare sulla relazione a firma del "super ispettore" delle stesse Poste che, a conclusione della propria analisi del caso, aveva sostenuto come a proprio avviso "non si può addebitare a J.D.B alcuna responsabilità penale".
Il collegio giudicante stamani si è espresso con una pesante condanna nei confronti del 38enne, riconoscendolo colpevole dei capi d'imputazione relativi al peculato (in un caso con la riqualificazione in falsità materiale e ideologica, secondo gli articoli 476-479 c.p.), con la condanna in continuazione alla pena di 6 anni e 8 mesi di reclusione. Disposto altresì un risarcimento a Poste Italiane da quantificare in separata sede, oltre ad una provvisionale di oltre 700mila euro quale risarcimento del danno, con sequestro preventivo di quanto nelle disponibilità del soggetto. Assoluzione invece (per particolare tenuità del fatto), per il capo d'imputazione relativo alla detenzione di sostanza stupefacente.
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