Oggiono: il nipote del professor Bachelet racconta agli studenti la storia del nonno
"Dare un nome ad un edificio pubblico, così come ad una persona, significa avere ben presente un'identità. È importante per voi che siete in prima conoscere questa persona". È riassunto qui, in queste parole pronunciate dalla dirigente Anna Panzeri, il significato dell'incontro svoltosi questa mattina presso il Palabachelet.
Vittorio Bachelet
Classe 1985, Vittorio Bachelet è ricercatore di diritto privato presso l'università Cattolica. "Sono cresciuto a Roma ma ormai vivo da tanti anni a Milano e vado spesso sul Cornizzolo, oggi imbiancato" ha esordito sorridendo il trentasettenne. "L'approssimarsi di questo incontro ormai tradizionale mi costringe a mettere in pausa tutte le mie attività per concentrarmi anche solo qualche ora sui ricordi di famiglia, sulla mia identità e sulla memoria di un nonno che non ho mai conosciuto personalmente purtroppo". Nei successivi sessanta minuti Vittorio Bachelet ha raccontato la storia di quel nonno di cui porta orgogliosamente il nome. Una storia che inevitabilmente si intreccia con le fasi più importanti della vita del nostro paese nel secondo dopo guerra.
L'assessore Giovanni Corti e la dirigente Anna Panzeri
Nel fare ciò, il giovane ricercatore si è avvalso dell'ausilio di una serie di foto d'epoca nonché di alcuni spezzoni del documentario "Italiani con Paolo Mieli - Vittorio Bachelet, testimone del dialogo", visibile su Rai Play. La laurea in giurisprudenza, conseguita nel 1947 con una tesi sul rapporto tra lo stato e le organizzazioni sindacali, fu il punto di avvio di un percorso che portò Vittorio Bachelet a divenire uno dei più noti esperti di diritto amministrativo in Italia nella seconda metà del Novecento. "Mio nonno si occupò di elaborare soluzioni utili ad ancorare il diritto amministrativo alla Costituzione. Fu qualcosa di molto simile a ciò che fece Stefano Rodotà nel diritto civile" ha spiegato il nipote del professore. Accanto all'impegno accademico, che portò Bachelet ad insegnare a Pavia, Trieste e Roma, ci fu l'attività nella Federazione Universitaria Cattolica Italiana e nell'Azione Cattolica. Di quest'ultima, che all'epoca contava tre milioni e mezzo di iscritti, Bachelet divenne prima vicepresidente nel 1959 e poi presidente nel 1964. "Bachelet concepiva l'Azione Cattolica come un modo per attuare gli ideali del Concilio così come il diritto amministrativo era un modo per concretizzare i contenuti della Costituzione" ha sottolineato il giovane Bachelet. Quello fu un periodo di grande cambiamento sia nel mondo ecclesiastico che in quello laico.
Da un lato, con il Concilio Vaticano II la Chiesa si riunì nel tentativo di introdurre quelle riforme necessarie a rimanere fedele ai tempi che cambiavano. Dall'altro lato, il 68 vide l'esplodere delle contestazioni operaie e studentesche. Negli anni Settanta, mentre queste istanze di rinnovamento assunsero dei contorni sempre più violenti, il percorso di Vittorio Bachelet ebbe un ulteriore importante sviluppo con l'elezione del professore a vicepresidente del CSM, datata 1976. "Vittorio Bachelet, come Aldo Moro, era un uomo di dialogo. Credeva in un rinnovamento da perseguire non attraverso la violenza ma attraverso la persuasione e il compromesso. Le dinamiche che lo hanno portato a diventare vicepresidente del CSM lo dimostrano" ha spiegato il nipote del giurista ai ragazzi. Della violenza terroristica di quegli anni, però, Bachelet, così come Aldo Moro, rimase vittima. Il professore fu infatti assassinato il 12 febbraio 1980 alla Sapienza di Roma subito dopo la fine di una lezione. Accanto a lui c'era la sua assistente, Rosy Bindi.
"Vogliamo pregare anche per quelli che hanno colpito il mio papà perché, senza nulla togliere alla giustizia che deve trionfare, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri". Queste parole, rimaste nella storia, furono pronunciate da Giovanni, figlio di Vittorio, durante i funerali che si celebrarono due giorni dopo nella chiesa di san Roberto Bellarmino a Roma. "Quel giorno mio padre ha preso la parola a nome di tutti. Le sue parole di perdono rappresentarono un appello alla comunità affinché si reagisse a quanto accaduto senza coltivare sentimenti di odio e di vendetta nei confronti dei responsabili della morte di quel riformatore così autentico che il nonno" ha evidenziato il nipote di Vittorio Bachelet, figlio di Giovanni.
La mattinata è terminata con le accorate parole di Giovanni Corti, assessore alla cultura di Oggiono. "Negli anni Settanta io ero un giovane studente che, come tanti, andava alle manifestazioni. Volevamo un cambiamento che noi stessi facevamo fatica a definire nel dettaglio. Quando hanno ucciso Moro pensai che si sarebbe andati verso la guerra civile. Persone come Bachelet hanno contribuito a calmare gli animi e a mantenere la discussione all'interno dei confini tracciati dalla Costituzione. Vi invito davvero a fare vostra la storia di Bachelet e a portare avanti i valori che questa incarna".
Andrea Besati