Viaggio in Brianza/45: dalle origini fino ad oggi, la storia di S.Pietro al Monte (Civate)
DALLE ORIGINI ROMANE ALLA FONDAZIONE
Il periodo di maggiore attività in questo luogo è quello relativo alla permanenza dei Romani che ha dato il nome ed una impostazione caratteristica e particolare al territorio. Essi, infatti, stabilirono qui un tratto della linea di difesa militare che, a partire dal Castello di Lecco, controllava il territorio fino a Castelmarte presso Erba per raggiungere quindi la città fortificata di Como, porto militare per il controllo del Lario. Una serie di posti di guardia minori, situati a mezza costa sulle pendici dei monti per evitare le nebbie invernali, completava la linea di difesa trasmettendo segnali luminosi nel caso dal confine settentrionale giungesse qualche pericolo.
La stessa linea di difesa sovrastava una strada che, alle sue origini aveva la lontana città di Aquileia. Nel tratto relativo a questo territorio partiva da Bergamo, superava l'Adda al ponte in pietra d'Olginate, risaliva fino alla sella di Galbiate quindi, contornando la parte settentrionale del lago, superava la collina di Civate e si avviava ad ovest verso Castelmarte e poi Como.
Il punto di transito di questa strada sul piccolo fiume emissario del lago di Annone dove si trovava un ponte era la Clavis, cioè il punto di passaggio obbligato controllato da un posto di guardia militare. È appunto da Clavis che deriverà prima Clavate e poi, nel tempo, Civate. La vecchia torre romana era posta dove oggi si trova l'orto, a fianco della basilica, in quelle che in un secondo momento divennero le celle per i monaci che abitarono questo luogo.
Si tratta di un'antica testimone perché la Basilica di San Pietro al Monte venne fondata dai Longobardi tra l'Undicesimo e Dodicesimo secolo. Questo popolo giunse in questa zona intorno al Cinquecento dopo Cristo, dopo la conclusione della guerra tra Bizantini e Goti nell'Italia settentrionale; della presenza del popolo dei Goti si ha traccia sul Monte Barro: poco sotto l'Eremo in vetta alla montagna sono presenti degli scavi archeologici che permettono tutt'oggi di osservare i resti di un villaggio dei Goti.
Cacciati i Goti, la pace durò ben poco dato che dalla Germania giunsero i Longobardi: importante élite guerriera che giungse in Pianura Padana contando circa centomila persone ed andando a stanziarsi in un territorio vasto e disabitato date le recenti guerre. Nei decenni successivi riuscirono a conquistare gran parte dello Stivale raggiungendo anche la Calabria. Una prova della presenza del popolo longobardo in questa zona, la si ha per il nome del paese di Sala al Barro: il termine "Sala" deriva dal popolo Longobardo che definiva con questa parola il luogo in cui i diversi clan si riunivano per affrontare questioni politiche o decidere come prepararsi alla battaglia successiva.
Proprio essendo una popolazione prettamente guerriera avevano il problema di dover amministrare il territorio. Le devastazioni dei secoli precedenti, culminati nella guerra tra Goti e Bizantini, avevano fatto venir meno una classe dirigente locale, motivo per cui fecero arrivare gli unici che erano rimasti nella zona capaci di leggere, scrivere e fare i conti, quindi le competenze minime per poter gestire un territorio: i monaci benedettini.
I Longobardi iniziarono via via una politica di integrazione con la popolazione locale convertendosi al cristianesimo. In queste regioni, lontane dalle grandi città, solo i monaci potevano svolgere quest'opera di pacificazione ed i Longobardi favorirono dunque la costruzione di monasteri sulla linea di confine ai piedi delle Alpi a partire dal monastero di Non, in Trentino, sino alla Novalesa o la Sacra di San Michele in Piemonte. Fu così che, verso la fine stessa del regno Longobardo nella seconda metà dell'Ottavo secolo, sorse un primo esiguo monastero dedicato a San Pietro e Paolo di cui si occuparono dei monaci Benedettini provenienti dalla Svizzera, territorio in cui avevano vissuto lontano dalle devastanti guerre dei decenni precedenti.
Gavano Fiamma, importante storico milanese, ha tramandato una leggenda sulla fondazione di questa Basilica. Adalgiso (o Adelchi in longobardo), figlio di Desiderio ultimo re longobardo, durante una battuta di caccia salì sulla costa del Cornizzolo dove oggi sorge la Basilica. Il cinghiale che stava braccando si rifugiò in una piccola cappella ma Adalgiso lo rincorse e lo uccise nella navata. Essendo la chiesa un luogo sacro sia per gli uomini che per gli animali, Adalgiso viene punito perdendo la vista. Il principe longobardo fece quindi un voto per poter espiare la propria colpa e riacquistare la vista: avrebbe lì costruito una grande chiesa. Un eremita che abitava lì a fianco della cappella, indicò ad Adalgiso una fonte dicendogli di sciacquarsi il viso: fatto questo, il guerriero riacquitò la vista.
Il monastero al tempo della sua fondazione era fortificato, quindi circondato da una cinta muraria perché era sorto su un punto di controllo romano come abbiamo avuto modo di dirvi poco sopra. Questo luogo ha vissuto altre ricostruzioni nel secolo Nono e poi tra il Decimo ed Undicesimo secolo, trasformandosi nella meravigliosa architettura romanica che ancora oggi possiamo ammirare. Fino al Decimo secolo v'era solamente la basilica ed un semplice monastero le cui costruzioni erano tutte addossate alla parete settentrionale della chiesa. Nell'Undicesimo secolo si aprì l'ingresso attuale, fu costruito lo scalone ed il pronao semicircolare e fu innalzato l'oratorio di San Benedetto.
E così è stato finché, forse dopo la sconfitta a Legnano del Barbarossa di cui l'abate era fedele vassallo i Comuni con a capo l'arcivescovo di Milano distrussero tutte le parti d'abitazione del monastero, lasciando in piedi solo la chiesa. Dopo i Benedettini questo luogo sacro venne affidato tra il Tredicesimo e Quattordicesimo secolo ad un abate accomandatario dell'ordine degli Olivetani, fino alla fondazione della Repubblica Cisalpina di Napoleone, il quale chiuse tutti gli ordini ecclesiastici e mise in vendita tutti gli immobili ed i possedimenti legati al monastero. Un esempio tra tutti è il lago di Annone i cui diritti di pesca sono tutt'oggi di proprietà delle due famiglie che li acquistarono al tempo, però la basilica non fu venduta, quindi divenne di proprietà del comune di Civate che poi la donò alla Curia, che ne è proprietaria tutt'oggi.
Purtroppo i documenti del monastero sono andati perduti perché i soldati di Napoleone si installarono nel monastero di Civate a valle e durante i periodi freddi usarono come combustibile i registri di questo monastero per scaldarsi, perdendo in questo modo la memoria scritta di questo meraviglioso luogo.
LE RELIQUIE DELLA BASILICA
Nel trascorrere degli anni questa Basilica venne dotata di diverse reliquie, facendo divenire questo luogo un'importante tappa di pellegrinaggio.
I pellegrini che giungevano qui, la prima cosa che vedevano era questa enorme basilica tutta intonacata di bianco, al contrario rispetto a quello che ci si potrebbe aspettare dalle chiese romaniche: di questo intonaco ci sono ancora delle tracce visibili sul muro della chiesa, sotto il porticato.
Giunti al portone della basilica, sopra di esso potevano apprezzare un affresco ora parzialmente conservato, rappresentante una Traditio legis et clavis. Questa opera rappresenta Dio al centro che porge una chiave a San Pietro a destra ed un libro a San Paolo a sinistra; questa raffigurazione rappresenta anche i due santi a cui, in realtà, è dedicata questa chiesa, appunto San Pietro e San Paolo al contrario di quello che comunemente si conosce. Su questo affresco si possono ancora leggere delle scritte in latino che tradotte invitano i pellegrini ad attraversare la porta di Pietro e Paolo per chiedere perdono di tutti i loro peccati.
Al di sotto di questo affresco si può vedere traccia di quello che potrebbe essere ricondotto ad un "pentagramma" gregoriano; purtroppo essendone rimasto solo una minima parte, non è possibile avere alcuna certezza sulla sua origine.
LE ABSIDI MINORI E LA NAVATA
Gli affreschi presenti sulle parete della navata, ad eccezione dei quadrotti chiaramente postumi, sono dell'Undicesimo secolo, realizzati quando in questa basilica venne esiliato Arnolfo III. Vescovo milanese imprigionato in questo luogo perché era un pataro, ovvero un affiliato ad una corrente teologica che predicava il ritorno all'umiltà e alla cessazione del potere temporale della chiesa, una linea completamente in contrasto con il pensiero del Papa di allora, pertanto dichiarata come eresia della chiesa meneghina. Arnolfo III giunto in quella che sarebbe divenuta la sua prigione, volle ingrandire la chiesa dell'Ottavo secolo realizzata dai Longobardi per i benedettini, facendole raggiungere le dimensioni che si possono osservare oggi; inoltre volle dotare questa chiesa di un ciclo di affreschi che le rendesse onore.
Il tema della decorazione interna è l'Apocalisse di San Giovanni. Sulla parete interna, sopra la porta, si può osservare Abramo che fa un gesto di accoglienza, mentre sui lati della piccola anticamera d'ingresso si hanno due riquadri: a sinistra (dando le spalle alla porta) si riconosce Papa Gregorio Magno, primo benedettino che diviene pontefice, capace di convertire i Longobardi dalla eresia Ariana al Cattolicesimo, insieme alla regina Teodolinda. A destra, invece, troviamo l'affresco di Papa Marcello rappresentato qui sia perché in questa basilica era conservata la lingua di questo papa come reliquia, sia perché è il papa che arriva alla morte di Diocleziano, imperatore romano che aveva cercato di estirpare il cristianesimo, motivo per cui in molti lasciarono il cristianesimo. Papa Marcello dovette trovare un modo per permettere a coloro che avevano smesso di professare il cristianesimo di rientrare nonostante l'opposizione di quei cristiani che non avevano mai cessato di avere fede nonostante le terribili persecuzioni; per il vescovo Arnolfo III qui esiliato, quel gesto di riunificazione della chiesa, di perdono per coloro che per paura si erano allontanati dalla Croce, fu importante, tanto da dipingere questa scena.
Al di sotto di queste scene si ha un nastro affrescato con delle iscrizioni in esametro ed in rima, interpretate da una studiosa dell'arte tedesca, Monica Muller: la storica dell'arte ha compreso che le iscrizioni descrivono il percorso verso il perdono di questo vescovo da parte della Chiesa di Roma. Purtroppo Arnolfo III non venne mai perdonato dai pontefici e venne sepolto qui insieme agli altri monaci intorno alla chiesetta di San Benedetto realizzata proprio per essere la cappella funebre del monastero.
Sulla volta a botte dell'ingresso si può osservare la Gerusalemme Celeste, meta finale, la terra promessa a cui deve tendere ogni fedele che si rivolge alla chiesa. Agli angoli si leggono i nomi delle quattro virtù cardinali: Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza; Cristo è rappresentato al centro della volta, ha ai suoi piedi l'Agnell, simbolo del sacrificio. Dai piedi dell'Agnello sgorga dell'acqua che si divide in quattro ruscelli che diventano i quattro fiumi del Paradiso Terrestre: Fison, Gehon, Tigri ed Eufrate, questi sono rappresentati in modo che appaiano scendere fino a noi lungo le colonne decorate in stucco.
Gli stucchi decorano due muretti che dividono le due cappelle sul fondo della chiesa dalla piccola anticamera d'ingresso. Anche questi dell'Undicesimo secolo, rappresentano un grifone ed una chimera che scappano verso la porta. La funzione rappresentativa di questi stucchi è quella di simboleggiare il male che fugge dalla chiesa, espediente artistico ripreso anche nelle chiese gotiche con i gargoyle. Le colonne stuccate che rappresentano lo scorrere delle acque dei fiumi del paradiso terrestre non sono tutte uguali: tre sono decorate con un cordone che scende arrotolandosi su di esse in senso orario, mentre una in senso antiorario: questo dettaglio è probabilmente dovuto ad una rappresentazione simbolica dei quattro vangeli, i tre sinottici i quali sono pressoché simili, mentre il quarto si differenzia, quello di Giovanni.
Un dettaglio che si nota subito quando si accede alla chiesa e la si osserva nella sua architettura è il fatto che sia bi-absidata, ovvero presenta delle absidi su entrambi i lati: sia dietro l'altare, sia sulla parete d'ingresso. Questa caratteristica ha dato origine a molte discussioni riguardo al fatto che l'altare fosse stato spostato da un capo all'altro della navata perché attualmente si trova ad ovest e non ad est come normalmente accade; purtroppo l'assenza di documenti non permette di avere alcuna certezza riguardo a questo dettaglio, ma gli archeologi sostengono che sia stata costruita così perché sono stati rinvenuti in monasteri della medesima epoca dei progetti di chiese simili, ovvero con l'abside principale ad ovest e ad est le absidi minori.
Le absidi minori della basilica avevano la funzione di ospitare le famiglie nobili durante le celebrazioni. Queste due cappelle sono dedicate una ai Santi, rappresentati all'interno di essa divisi tra apostoli, profeti ed altre categorie, mentre l'altra è dedicata agli Angeli, sette dei quali impugnano delle trombe, richiamando all'Apocalisse in cui è scritto che, quando l'ultimo dei sette angeli smetterà di suonare la tromba, i tempi saranno compiuti e vi sarà la venuta finale di Cristo. Sulle cupole delle due cappelle, sopra alle schiere di Angeli e Santi, Cristo Pantacreato che benedice è rappresentato al centro di quattro cerchi di colori differenti a rappresentare quattro elementi di cui si pensava fosse composto l'universo: terra, fuoco, acqua ed aria.
Le pareti della navata erano originariamente affrescate, ad oggi rimangono soltanto alcune parti della cornice in stucco che circondava le scene rappresentate. Nel Quindicesimo secolo gli affreschi vengono rimossi, il motivo non si sa, ma ottomila lacerti di affreschi, ovvero frammenti delle rappresentazioni murarie ora sono conservati alla soprintendenza di Milano dopo essere stati ritrovati durante i lavori di restauro. Al posto degli affreschi vennero realizzati i quadri votivi che si possono trovare sulle pareti e vennero aperti dei finestroni, oggi murati, che si possono riconoscere da delle cornici in laterizio realizzate dai restauratori che per primi vennero ad intervenire su questo sito.
IL CIBORIO
Il ciborio è anch'esso dell'Undicesimo secolo, nelle fattezze assomiglia molto a quello presente a Sant'Ambrogio a Milano; si pensa che probabilmente il vescovo Arnolfo III abbia portato degli architetti milanesi per realizzare la decorazione di questa chiesa. Le scene stuccate sui quattro lati del ciborio sono quelle che vengono ripetute nella preghiera della consacrazione dell'eucarestia: l'annuncio della morte, la proclamazione della resurrezione, l'attesa e la venuta finale di Cristo.
Al di sotto del ciborio si trova l'altare costruito sopra al reliquiario. Qui trovavano posto le reliquie adorate dai pellegrini. Oggi quella che rimane è stata riportata durante la pandemia: si tratta di chiavi che al loro interno custodiscono della limatura di ferro appartenente alle catene che hanno legato Pietro nelle carceri del Mamertino di Roma; per quanto non sia certo che la reliquia sia autentica, le chiavi in sé risalgono all'epoca di Desiderio, quindi all'Ottavo secolo dopo Cristo.
Nell'altare originario vi era un foro attraverso il quale i pellegrini potevano infilare il proprio mantello per toccare in questo modo le reliquie, un gesto oggi impensabile, ma che al tempo era il motivo per cui i fedeli si mettevano in viaggio.
IL DRAGO DELL'APOCALISSE
Sulla controfacciata della basilica si trova il più suggestivo degli affreschi che fortunatamente si è conservato dall'Undicesimo secolo. In questa rappresentazione di una donna vestita della luce del sole come descrive il capitolo dodicesimo dell'Apocalisse, con ai piedi la Luna, che partorisce un bimbo. Al momento del parto appare un drago con sette teste, chiamato Satana, che ghermisce il pargolo, ma intervengono gli angeli che, sotto il comando di Michele Arcangelo sconfiggono il demone. Nella lotta contro Satana questo con la sua coda fa cadere due terzi delle stelle del firmamento, dettaglio che si può riconoscere nei piccoli asterischi tracciati proprio sotto la coda del drago. Il bimbo salvato viene offerto a Dio. Nell'affresco della controfacciata, purtroppo non si è salvato il volto di Dio che con il trascorrere del tempo si è gravemente deteriorato.
LA CRIPTA ED I RESTI DELLA CHIESA LONGOBARDA
Un tempo per raggiungere la cripta erano presenti due scalinate, poiché solo di una di esse si è conservata la balaustra, si è deciso di chiudere l'altra. La meravigliosa balaustra stuccata dell'Undicesimo secolo è complessa da interpretare data la probabile influenza mediorientale dell'artista che le ha realizzate. La balaustra si divide in quattro parti che narrano quattro fasi di una storia: nella prima fase (riquadro rivolto verso la porta d'ingresso) è rappresentato un grifone ed un leone che si cibano di arbusti che escono da una coppa; in questo modo si vuole rappresentare l'origine del mondo con una natura ancora selvaggia. Nel secondo riquadro (seguendo la balaustra verso l'altare) si ritrovano le medesime bestie che si cibano di tralci d'uva che escono da una maschera; quest'ultima simboleggia l'umanità che è scesa sulla terra portando l'agricoltura. Nel terzo riquadro si ritrova al centro un albero attorcigliato che simboleggia il peccato originale. Nell'ultimo riquadro si riconoscono nuovamente il grifone ed il leone che al posto di cibarsi di arbusti o uva mangiano dei pesci ed essi stessi si tramutano in esseri marini; questo ultimo elemento rappresenta l'Eucarestia che, assunta dagli esseri viventi, li farà ritornare a lui.
Questi stucchi rappresentano come i benedettini che hanno abitato questo monastero si immaginavano l'evoluzione della storia dalle origini al ritorno a Dio.
Scesa la scalinata si entra in una piccola cappella dedicata a Maria Assunta utilizzata principalmente per le funzioni invernale. Un tempo era tutta stuccata, comprese le colonne, della cui decorazione sono giunti sino ad oggi soltanto i capitelli. Dietro all'altare si riconosce una raffigurazione in stucco dell'Assunzione di Maria purtroppo rovinato come altri elementi decorativi; il motivo della scarsa conservazione è il fatto che venne utilizzato come stalla durante il periodo di abbandono, subendo anche un incendio che ha lasciato purtroppo il segno del suo passaggio distruggendo parte del ciclo di affreschi che un tempo decorava questo spazio.
Dietro ad una porta, sul fondo della cripta, è possibile osservare i resti della chiesa realizzata dai Longobardi tra l'Ottavo ed il Nono secolo dopo Cristo. Ad inizio degli anni Settanta del secolo scorso, venne rimossa tutta la pavimentazione della chiesa e vennero scoperte le fondamenta della chiesa altomedievale; per proteggere queste fondamenta fu fatta una colata di cemento che sostituisce il pavimento della chiesa realizzata da Arnolfo III, sotto il quale è quindi custodita quella che potremmo definire una pianta della chiesa longobarda.
LA CAPPELLA FUNEBRE DI SAN BENEDETTO
Di fronte alla grande basilica si trova una piccola cappella dedicata a San Benedetto e utilizzata dai monaci benedettini come cappella funebre; infatti intorno ad essa sono stati sepolti i monaci che sono trapassati. Unica decorazione la si trova sull'altare che è stato affrescato sul suo basamento. Si hanno tre scene affrescate: la Crocefissione; San Benedetto, poichè si tratta di un monastero benedettino; Sant'Andrea perché quando si invocano i Santi perché preghino per il defunto, dopo San Pietro e San Paolo, si invoca la preghiera di Sant'Andrea.
Una caratteristica particolare di questa cappella è l'alternarsi del tufo e della pietra per poter rendere più leggera la struttura; questo lo si può notare in vari punti anche nella basilica, ad esempio nell'arco della porta sulla parete destra della navata (guardando l'altare).
IL RESTAURO CONTINUO E L'ASSOCIAZIONE DEGLI AMICI DI SAN PIETRO
I primi interventi di indagine e restauro vennero svolti da Monsignor Barelli a fine 800, inviato dal cardinal Schuster a studiare la chiesa sul monte e a restaurare quel che restava di un complesso che faceva appena intuire la bellezza e la grandezza che noi apprezziamo ora.
Durante il lungo periodo di decadenza, il portico antistante l'ingresso della basilica crollò e data la scarsa disponibilità di fonti rispetto a come fosse questo spazio, è stato ricostruito sulla base delle poche informazioni ritrovate da Monsignor Polvara nei primi decenni del Novecento. Un'altra aggiunta svolta nei restauri è la lunga scalinata che in origine non esisteva: i pellegrini per accedere alla chiesa dovevano passare da una scaletta laterale e giungere nel portico da una porta ancora oggi presente sulla sinistra. Negli anni Settanta del secolo scorso i lavori di restauro e ripristino vengono portati avanti da don Vincenzo Gatti che fonda l'associazione "Amici di San Pietro" che riunisce operosi volontari che da allora sino ad oggi si prendono cura della basilica e di tutte le sue pertinenze, compreso il meraviglioso sentiero che si percorre per raggiungerla.
Abbiamo avuto l'onore di essere guidati in questa visita immersiva da tre volontari che ci hanno fatto innamorare di questo luogo: Piergiorgio, Gianni e Fulvio, ai quali abbiamo fatto qualche domanda sull'associazione e sulle loro esperienze a San Pietro al Monte: "L'associazione conta circa un centinaio di soci che tengono aperto il sito tutto l'anno: si ha un gruppo per ogni giorno che si occupa di una funzione diversa, come badare all'orto oppure curare il sentiero. Siamo tutti innamorati di questo posto, motivo per cui salire fin qui e prendersi cura di questo pezzo di storia non ci pesa affatto".
Forse non tutti sanno che questo luogo fu uno dei primi ad essere sottoposto a vincolo per le belle arti dal ministero dell'istruzione perché nel 1912 non esisteva ancora il ministero della cultura o dei beni culturali. Probabilmente partendo da questo dato non ci stupisce che oggi questo sito sia candidato a divenire patrimonio UNESCO tra otto insediamenti benedettini altomedievali appartenenti a sei regioni d'Italia. Presto si saprà se verrà scelto San Pietro al Monte, ma per il momento non perdete occasione di andarlo a visitare, basta prenotare la vostra visita per email (info@amicidisanpietro.it) oppure per telefono (346.3066590).