Casatenovo: don Andrea scrive dal Brasile e racconta le difficoltà della vita nella favela

''Vi chiedo di continuare ad accompagnarmi con il vostro affetto e con la preghiera''. Si chiude con questo appello la lettera che don Andrea Perego, già vicario per la pastorale giovanile a Casatenovo, ha inviato ai suoi ex fedeli per raccontare la realtà che si respira in Brasile, dove è stato inviato negli scorsi mesi come ''fidei donum''. Un contesto sicuramente difficile, nel quale il sacerdote originario di Lecco si sta ambientando, grazie anche all'aiuto degli altri religiosi con i quali sta condividendo questa importante esperienza. ''La favela è un microcosmo complesso e affascinante: tutto quello che si pensa non possa esistere qua si trova, e tutto quello che si pensa non possa accadere qua accade. Mi riservo di osservare, rielaborare, cercare di comprendere, conoscere: impegno faticoso ma promettente'' scrive don Andrea. ''Ringrazio il Signore che ha pensato per me di poter vivere la mia vocazione con entusiasmo nella bellezza di questa umanità così bisognosa di Cristo e del suo Vangelo, e che ricorda prima di tutto a me la profonda verità del cristianesimo: incontro di storie che fanno la Chiesa e che decidono di lasciarsi educare dall'amore crocefisso e risorto''.

Di seguito la lettera completa del sacerdote:
Salvador de Bahia, 7 febbraio 2023

Carissimi amici,
in molti mi state chiedendo di raccontare quello che sto facendo e come sto iniziando a muovermi; molti di più continuate a chiedermi come sto: percepisco un reale interesse e una seria preoccupazione (un po’ esagerata quest’ultima, a dire il vero).

Grazie a questo “pressing” sto capendo quanto sia impegnativo dare risposte che non siano frettolose o superficiali, e quanto sia importante prendersi il tempo necessario sia per ascoltare sia per parlare. La bellezza delle relazioni sta anche nella fatica del tempo che occorre per poterle percorrere…

Inizio col dire che sto bene e che mi sono adattato al clima senza problemi (adesso siamo in piena estate e la temperatura si aggira attorno ai 37 gradi).

Vivo nella casa dei padri insieme a don Davide, il parroco, e a Marco, un giovane di Cremona che sta vivendo un anno di esperienza missionaria nella nostra realtà.

Anche grazie alla loro accoglienza mi sono ambientato senza problemi nella comunità, che è molto vivace, presente e con un’età media sorprendentemente molto bassa.

Avrei mille episodi da raccontare e immagino che ciascuno di voi abbia mille domande da porre, ma attraverso due immagini voglio provare a mettere in risalto alcune schegge di vita della favela, per come la sto conoscendo, e consapevole del fatto che ciascuna delle tematiche che affronterò meriterebbe un’attenzione maggiore e un’analisi più precisa. Lasciamo il resto per il futuro, anche perché poi diventerebbe troppo impegnativo per me scrivere subito tutto a tutti.

Tento comunque di rendervi parte di quello che sto vedendo e ascoltando, cercando di essere il più oggettivo possibile.

La prima immagine che voglio condividere è quella della bimba che ha prestato il volto per i miei auguri natalizi, una bambina di qualche settimana appena, che non poteva che diventare il volto perfetto del “Gesù Bambino” di un’ideale presepe vivente (anche se non l’ho potuto organizzate come da tradizione con le pecore e con le cornamuse).

Più che della bambina vorrei raccontarvi qualcosa della sua mamma. O meglio, della storia comune e fin troppo quotidiana di tante donne della favela. Una storia uguale a tante altre storie di bambine (sì, perché la mamma della bimba ha tredici anni e a tredici anni si è ancora bambine).

Donne abusate sin da piccole - soprattutto nell’ambito domestico - e mamme non solo troppo presto, ma proprio fuori da ogni tipo di immaginazione e di logica civile, senza nessun tipo di preparazione e inconsapevoli promotrici di un eterno ritorno del problema, di generazione in generazione.

Donne che non trovano lavoro, donne che prestissimo si rifugiano nella droga e nell’alcool (forse per rendere meno dolorosa la giornata) e che, in molti casi, vedono la propria vita trasformarsi in stati depressivi permanenti o addirittura psichiatrici.

Per questo la Parrocchia, tra le tante attività, ha un programma di danza classica per le ragazze, con insegnanti professionisti, per educare alla consapevolezza del proprio corpo, alla bellezza dell’ordine e al rigore. Abbiamo aperto le iscrizioni per il nuovo anno questa settimana e siamo già intorno ai centottanta iscritti!

La seconda immagine è un fotogramma di un dialogo avuto con una donna anziana (a sessant’anni si è già considerati anziani) di una delle comunità della favela (il Cabrito), poco prima di una S. Messa del sabato sera.

Era il periodo del viaggio del papa in Africa, di cui la donna aveva visto qualche notizia in televisione, e mi chiedeva con apprensione di pregare per il popolo africano che non ha “nemmeno” la corrente elettrica. Potrebbe sembrare la nostra classica e banale consolazione del “c’è chi sta messo peggio di noi”, in realtà era la richiesta sincera di chi percepisce che c’è chi realmente sta peggio e sa apprezzare quello che ha, anche se consapevole della disparità tra i mondi.

Non rassegnata accettazione di quello che non c’è (e probabilmente non ci sarà mai) ma reale sentimento di gratitudine per ciò che c’è. Questa è forse una delle dinamiche che mi stanno provocando maggiormente.

Nella favela sembra realmente di essere in Africa e la corrente elettrica (rigorosamente abusiva) è forse l’unico barlume di civiltà; nel centro città (che dista solo trenta minuti di auto, e in cui molti "faveladi" lavorano negli impieghi più umili e sottopagati) sembra di essere in Europa, anzi negli USA. È lo stridore delle grandi città del Brasile, una realtà urbana ben diversa da quella rurale che magari siamo più portati ad immaginare e a comprendere e in cui, forse, uno stato di povertà è più comprensibile e condiviso da tutta la popolazione.

La gente della favela sa bene ciò che non ha e sperimenta quotidianamente una diseguaglianza sociale in tutto: retribuzione, istruzione, sanità, aspettativa di vita… Tutto è portato agli estremi.

La gente della favela sa benissimo di essere "lo scarto" della città, eppure anche in questa condizione miserabile della vita si fa spazio la bellezza delle relazioni autentiche, il desiderio forte di Dio e dell'eternità, la condivisione, l'essere comunità unita e in cammino... Quanti nomi e volti potrei già elencarvi, in un catalogo concreto di uomini e donne "santi", che vivono la propria fede con decisione e con convinzione genuina in mezzo alle fatiche - e che fatiche! - del quotidiano.

Per ora penso di fermarmi qua nel racconto, perché sarebbero tante le cose da dire o i ragionamenti da fare ma sto solo muovendo i primi passi, anche con la lingua portoghese…

La favela è un microcosmo complesso e affascinante: tutto quello che si pensa non possa esistere qua si trova, e tutto quello che si pensa non possa accadere qua accade.

Mi riservo di osservare, rielaborare, cercare di comprendere, conoscere: impegno faticoso ma promettente!

Ringrazio il Signore che ha pensato per me di poter vivere la mia vocazione con entusiasmo nella bellezza di questa umanità così bisognosa di Cristo e del suo Vangelo, e che ricorda prima di tutto a me la profonda verità del cristianesimo: incontro di storie che fanno la Chiesa e che decidono di lasciarsi educare dall’amore crocefisso e risorto.

Vi chiedo di continuare ad accompagnarmi con il vostro affetto e con la preghiera,

don Andrea

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