Greppi: l'ex direttore del carcere di San Vittore incontra i ragazzi

Il tema delle carceri, con tutta la sua valenza e l'importanza per il dibattito che sta avvenendo nel nostro paese, è entrato in maniera importante tra le mura dell'Istituto Alessandro Greppi di Monticello, grazie ad ospiti importanti ed autorevoli. Invitati dalla professoressa di diritto Daniela Ferrario, a parlare con gli studenti del biennio delle Scienze Umane si sono stati Romano Limonta, dell'associazione "Sulle Regole", fondata tra gli altri dall'ex magistrato Gherardo Colombo, e il dottor Luigi Pagano, per anni direttore del penitenziario del carcere di San Vittore a Milano, con esperienze in molti altri istituti carcerari, dall'Asinara a Taranto, e poi titolare di importanti incarichi nell'ambito sia in regione che a livello nazionale. Un incontro a suo modo storico, dato che per la prima volta, dopo molte altre iniziative di sensibilizzazione alla legalità, per la prima volta l'associazione ha portato tra le mura di una scuola il tema della vita in carcere e della funzione delle carceri.

Luigi Pagano, ospite della mattinata al Greppi

Un incontro che ha esordito con l'introduzione di Limonta ai concetti di corruzione e illegalità come rottura di un equilibrio di integrità sociale, che falsa i rapporti tra le persone, violando le regole morali e amministrative che stanno alla base di una convivenza sana e produttiva. Un impegno, quello del rispetto delle norme, che riguarda ogni cittadino, a prescindere dalla giovane età degli uditori. Fondamentale, quindi, l'educazione civica, per apprendere l'importanza del vivere secondo le regole ed evitare anche solo di rischiare di aprire a se stessi le porte del sistema penitenziario: un mondo, ricorda Limonta a studenti e studentesse, che non è il caso di sperimentare.
Un mondo che Luigi Pagano ha voluto descrivere a partire dall'Art. 27 della Costituzione Italiana, che ricorda come la pena abbia la funzione di contribuire al reinserimento sociale e come non siano ammessi trattamenti contrari al senso di umanità, assicurando in teoria rispetto e dignità a chi è condannato e paga il proprio debito con la società nelle carceri dello stato. Che però, spiega Pagano, in troppi casi non sono adeguate, a partire dalla loro struttura architettonica, a garantire la fattibilità delle iniziative che realmente sarebbero utili e preziose al riavvicinamento degli ospiti del penitenziario nel tessuto sociale, in maniera produttiva e consapevole.

Edifici troppo datati, che si sviluppano troppo spesso in verticale e su più piani, che non consentono di mettere in pratica il modello di "carcere aperto" che davvero consentirebbe a chi sta dentro di entrare in relazione con un mondo che sta fuori e con cui dovrebbe entrare in osmosi. Pagano non ha taciuto nessuno dei problemi del sistema carcerario del nostro paese, da quelli edilizi a quelli organizzativi, riconoscendo che la riforma delle carceri resa necessaria dalla nostra Costituzione può essere considerata attuata al massimo al 50%. Esempio meritorio, che però dovrebbe essere la regola invece dell'eccellenza, il carcere di Bollate, anche in questi giorni al centro delle cronache per il caso Cospito. Pagano ha illustrato alle classi convenute la vita all'interno del penitenziario, i ritmi previsti dall'organizzazione delle giornate di chi vive in quello spazio fuori dall'ordinario, le attività trattamentali che consentono ai detenuti di reinserirsi nel mondo del lavoro, tramite lo studio, la formazione, la collaborazione con imprese e associazioni esterne. Tutte attività volte a scongiurare la vera sconfitta del sistema penitenziario: trasformare i criminali e i colpevoli in persone che hanno ancora meno scelte rispetto a quelle a disposizione all'atto della loro entrata in carcere.

Romano Limonta dell'associazione ''Sulle Regole''

Rispondendo alle tante domande, Pagano ammette che il sistema carcerario attuale non è realmente utile, nella maggior parte dei casi, a reinserire nella società, non riesce a svolgere quindi la propria missione: applica troppo spesso principi contraddittori con quelli di un vero recupero del detenuto. Bene, quindi, tutte le pene alternative al carcere, quando possibile applicarle, ma i problemi veri che si frappongono all'integrazione e al recupero di chi è condannato sono troppo spesso precedenti alla sentenza e alla vita nel penitenziario. Finché non si affrontano i problemi economici, i divari sociali e culturali che rendono troppi dei carcerati irrecuperabili, il lavoro svolto nel penitenziario non potrà che essere estremamente complesso e, in troppi casi, non abbastanza incisivo.

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