Castello B.za: Chiara Bonfanti racconta i dieci mesi tra i migranti della rotta balcanica

"Quando ho visto la bandiera europea sui cancelli del campo profughi di Kavala ho provato una profonda vergogna". È iniziata così, con parole taglienti, la testimonianza di Chiara Bonfanti. Ieri sera in tanti erano accorsi all'area feste di Prestabbio per ascoltare le parole della ventiquattrenne, volto noto nella piccola comunità. Organizzata dalla biblioteca comunale di Castello di Brianza, in collaborazione con l'associazione culturale San Donato, l'iniziativa si è svolta a pochi giorni dalla tragedia di Cutro, costata la vita a 67 persone.

Chiara Bonfanti, protagonista della serata a Castello di Brianza

A dieci anni dal naufragio di Lampedusa, quando i morti furono 368, le immagini dei corpi adagiati sulla spiaggia, tra oggetti di vita quotidiana e travi di legno intrise di speranze ormai perdute, sono tornate ad affollare i tv e giornali. Quello dei migranti, però, è un dramma che si consuma nell'ombra ogni giorno ed è con quella straziante quotidianità che Chiara Bonfanti è entrata in contatto nei dieci mesi trascorsi tra Grecia e Serbia. "Per tutto il mio percorso scolastico mi sono sempre identificata con i valori dell'Europa unita e solidale. Quando ho visto la bandiera europea su quei cancelli mi sono vergognata. Le condizioni di vita tra quei container sono pessime" ha spiegato la giovane volontaria. "Tutti coloro che entrano nel campo ogni giorno vengono perquisiti. Anche i bambini subiscono perquisizione quotidiane. Non ci sono programmi che possano facilitare l'integrazione delle persone nella società greca. I profughi rimangono lì per un tempo indefinito senza alcuna certezza sul loro futuro".

Solo l'inaspettato ingresso di don Giorgio Salati, l'ex parroco di Castello di Brianza e Dolzago, è riuscito per un attimo a rompere l'assoluto silenzio che regnava tra il pubblico. "Vivere in condizioni così disumane per tanto tempo devasta le persone. Con gli altri volontari di Open cultural center, una piccola ONG, cercavamo di regalare loro dei momenti di convivialità fuori dai confini del campo. Organizzavamo progetti di giardinaggio o altri lavoretti e celebravamo tutti insieme le ricorrenze" ha proseguito Chiara Bonfanti. Mentre parlava, dietro di lei venivano proiettate delle istantanee di quei momenti di felicità in mezzo al deserto morale creato dall'assenza degli stati. "Sembrano cose banali ma in una situazione simile anche poter festeggiare una ricorrenza è qualcosa che restituisce la dignità. Serviva a far sentire quegli uomini e quelle donne di nuovo esseri umani" ha concluso la volontaria.

L'assessore Elena Formenti

Tra i migranti, chi può abbandona le coste greche e intraprende la rotta balcanica, un nuovo viaggio della speranza verso la tanto agognata Europa. Anche la giovane abitante di Castello di Brianza si è spostata dalla Grecia a Subotica, in Serbia. Nuova organizzazione, dramma ancora più straziante. "Con gli altri ragazzi di No name kitchen ci occupavamo di realizzare dei report sui respingimenti. Il passaggio tra Serbia e Ungheria è costantemente sorvegliato dalla polizia. Quando trovano dei migranti che cercano di attraversare il confine, li picchiano, distruggono i loro cellulari e i loro beni e poi li rimandano indietro a forza" ha spiegato Chiara Bonfanti. "Alcuni ci hanno raccontato che i poliziotti li avevano obbligati a mangiare del cibo dopo averlo calpestato. Parliamo di quotidiane violazioni di quelle convenzioni internazionali secondo le quali la possibilità di chiedere asilo deve essere garantita sempre a tutti senza distinzione".

Ora sul telo scorrevano foto drammatiche. Tende disposte qua e là in edifici diroccati. Uomini e donne che mangiavano e dormivano in mezzo al bosco. Un video realizzato all'interno del campo profughi di Subotica ha suscitato i mormorii di disapprovazione del pubblico. "Le condizioni nei campi governativi sono così terribili che le persone preferiscono vivere all'addiaccio. Con le poche risorse che avevamo a disposizione cercavamo di portare loro un pasto caldo, prodotti per l'igiene. Li facevamo fare una doccia. Ho visto punture di zanzara infettarsi perché il ragazzo non si lavava da settimane e viveva in un ambiente molto sporco" ha sottolineato la volontaria ventiquattrenne, prossima alla laurea magistrale in scienze politiche dopo la triennale in filosofia. "Come in Grecia, infine, cercavamo di passare del tempo con i migranti, giocare insieme. Si tratta di qualcosa ancora più importante del cibo quando ci si trova in condizioni così traumatiche".

L'incontro stava volgendo al termine. Seduto tra il pubblico anche Luca Perego, meglio conosciuto come Lucake, ascoltava in silenzio. "Voglio raccontarvi la storia di una delle persone che ho conosciuto, un curdo - siriano scappato dal proprio paese con la famiglia dopo aver visto esplodere la propria casa durante la guerra civile. Per anni l'uomo ha vissuto in Turchia ma quando il figlio più grande non è potuto andare a scuola perché curdo ha deciso di partire per l'Europa. Voleva andare in Svezia". La voce della giovane ragazza si è incrinata. Le emozioni diventavano difficili trattenere. "Sono arrivati in Grecia a marzo 2016. I confini erano ormai chiusi ma lui e la sua famiglia sono rientrati in un programma di ricollocamento. Poi però, il giorno prima di partire per la Svezia, quest'uomo è stato arrestato per spaccio di droga. Un'accusa assolutamente falsa ma non gli è stata data la possibilità di provarlo". Il racconto si faceva sempre più teso. "Dopo due anni e mezzo è riuscito a raggiungere la sua famiglia in Svezia. Passato un anno, le autorità svedesi lo hanno obbligato a tornare in Grecia perché la procedura di asilo che lo riguardava era ancora aperta. Nell'attesa di una risposta faceva il volontario nell'organizzazione che mi ospitava. È così che l'ho conosciuto. Ho avuto alcuni momenti di forte difficoltà mentre ero lì e lui è stato quasi un padre per me in certe occasioni". Lo sguardo della volontaria rimaneva basso sul monitor davanti a lei, forse intento a trattener con fatica la commozione. La parte più straziante della vicenda doveva ancora arrivare. "Il giorno in cui io me ne sono andata dalla Grecia gli hanno comunicato che per via dei suoi precedenti penali la sua richiesta di asilo era stata rifiutata. Lui, quindi, ha scelto di intraprendere la rotta balcanica. L'ho ritrovato in Serbia. È stato respinto cinque volte, in alcuni casi in modo violento. Vedere una persona che si conosce a cui si vuole bene attraversare quell'inferno, doverlo andare a prendere in mezzo al bosco per dargli un po' di conforto è stato straziante".

La pausa ha cementificato la tensione emotiva che si respirava nella sala. Il volto della giovane volontaria celava un animo immerso nei ricordi. "Oggi il mio amico ce l'ha fatta. È in Svezia con sua moglie e i suoi quattro figli. Certo, la sua procedura di asilo è ancora aperta e non può programmare il suo futuro ma almeno è con la sua famiglia".
Il lieto fine è stato celebrato dall'applauso del pubblico. Dopo aver bevuto un sorso d'acqua, Chiara Bonfanti ha concluso la serata con un ultimo messaggio: "I volontari che si sono attivati dal 2015 in poi per cercare di dare supporto ai migranti sono stati così tanti da costituire, secondo alcuni studiosi, il più grande movimento di volontariato civile dalla fine della Seconda guerra mondiale. Sia in Grecia sia in Serbia mi sono sentita sempre parte di una grande famiglia, formata da persone che difendono il rispetto dei diritti umani mentre l'Europa costruisce muri".
Andrea Besati
Invia un messaggio alla redazione

Il tuo indirizzo email ed eventuali dati personali non verranno pubblicati.