Oggiono: oltre 80 docenti al seminario di Agostino Burberi su Don Lorenzo Milani
Agostino Burberi e la dirigente Anna Panzeri
Agostino Burberi, presidente della fondazione e allievo di Don Milani, lo ha conosciuto sin da quando era piccolo e ha raccontato della sua vita. "Lui era un giovane tormentato: per lui l'uomo non deriva dalle scimmie e pensava che la differenza tra ricchi e poveri è la cultura. Non c'è un fatto, un evento straordinario per cui è diventato prete. La sua è stata una maturazione. Finisce il liceo ma, durante gli studi, si sentiva superiore rispetto agli insegnanti: questo atteggiamento lo avrà anche in seminario, dove si farà odiare. Il direttore del seminario lo difese perché aveva capito che aveva doti straordinarie" ha detto Burberi.
Terminato il liceo, aveva detto alla sua facoltosa famiglia di non voler fare l'università ma il pittore. Frequenterà l'accademia di Brera e poi tornerà a Firenze, dove incontrerà un prete che diventerà il suo confessore. Entrerà in seminario e, al termine del percorso, verrà inviato in una zona dove la sua famiglia aveva tutti i possedimenti. "Lui si dedica subito agli ultimi. Propone a tutti di andare nella sua scuola in canonica alla sera: la scuola dell'obbligo finiva in quinta elementare ma molti si erano fermati in terza. A Calenzano c'erano ragazzi che andavano a lavorare nelle fabbriche di Prato. Lui dava gli strumenti perché ciascuno fosse in grado di trovare la propria abilità". A questa scuola si iscrivono 150 giovani ma, con la morte del parroco che lo proteggeva, si scatenano i risentimenti e il cardinale decide di inviarlo a Barbiana. "Ha saputo resistere non rinunciando alle sue idee, ma facendo le sue battaglie dall'interno".
A Barbiana arriverà il 7 dicembre 1954: "Io sono stato il primo a incontrarlo perché facevo il chierichetto del parroco - prosegue il presidente della fondazione - a Barbiana non c'era corrente elettrica, acqua e nemmeno la strada". Il giorno successivo ha fatto il giro delle venti case che erano presenti, per un totale di circa 120 abitanti. Ai genitori dei ragazzi dirà che avrebbe fatto il doposcuola ai figli. "Il salotto della canonica, dal suo arrivo, venne aperto alla popolazione e divenne la nostra scuola: c'erano 3 tavoli portati da lui. Al mattino andavamo alla scuola elementare e al pomeriggio da lui. Era il 1954 e io avevo 8 anni in una classe di soli 6 maschi".
In merito all'insegnamento ha aggiunto importanti riflessioni: "I ragazzi percepiscono se gli insegnanti sono interessati a loro, se sono appassionati, se hanno una motivazione. Don Milani diceva: "Non è importate come fare scuola, ma come bisogna essere per fare scuola". La cosa importante è il ruolo. Se non abbiamo la capacità di mettere al centro di esempi da seguire, come pensiamo che i giovani costruiscano una società diversa?".
Secondo Don Milani, la vita va spesa per dedicarsi agli altri, al prossimo. "La scuola è il luogo preposto all'elevazione della mente umana. Un altro tema è il tempo: è un dono di Dio e non va sciupato. Va dedicato agli altri per costruire una società migliore, soprattutto da giovani. Il bene fa bene: in Italia abbiamo tanto volontariato, ma non viene valorizzato. L'amore era il segreto della scuola di Barbiano".
La dirigente scolastica dell'istituto Bachelet ha concluso l'intervento con parole di apprezzamento: "Avevamo bisogno di questo messaggio e del fatto di ricordarci che la nostra è una professione è anche una missione. Mi piace ricordarlo perché c'è una componente anche religiosa in senso lato che fa la differenza nello stare in classe per insegnare e insegnare matematica o formare i ragazzi, insegnando matematica".
Le riflessioni di Don Milani sono ancora attuali e saranno una valida bussola per tutti gli insegnanti di ogni ordine e grado.