Viaggio in Brianza/48: la chiesa di San Vito a Barzanò fra storia, curiosità ed affreschi

A pochi giorni dalla ricorrenza patronale in programma il prossimo 15 giugno, il nostro Viaggio in Brianza fa tappa quest'oggi a Barzanò per conoscere più da vicino storia e curiosità della chiesa parrocchiale di San Vito. Ad accoglierci ed accompagnarci nell'interessante visita, il parroco don Renato Cameroni ed Elena Beretta, autrice - insieme alla sorella Chiara - del libro intitolato ''Il ciclo di affreschi della Parrocchiale di Barzanò''.

LE ORIGINI DELLA PARROCCHIALE DI SAN VITO
Non è facile determinare quando venne costruita la prima chiesetta a Barzanò data la mancanza di documenti, ma ci si può aspettare, come successo in altre zone della Brianza, che venne realizzata da privati già intorno all'Undicesimo secolo, data l'assenza nelle vicinanze di un luogo in cui pregare.
Ignazio Cantù scrisse: "Vuol anche essere notata in Barzanò, la parrocchiale di San Vito, collocata alle falde della collina verso levante con facciata irregolare. Nella demolizione di una parte di questa chiesa furono trovate muraglie antiche cogli avanzi d'altre più antiche; inoltre muri di straordinaria grossezza sopra colonne di metà diametro. Perciò credesi che la chiesa attuale sia una terza ricostruzione. Anzi, che fosse già un tempio pagano lo farebbe supporre una lapide ivi trovata nel 1821 e dedicata a Giove Summano, dio dei fulmini notturni. Il campanile di questa chiesa pare del 1400 alla guglia piramidale in terracotta, somigliante a quelli di San Gottardo e di Sant'Eustorgio in Milano".
Che i ruderi murari riemersi in quella circostanza possano riferirsi a costruzioni precedenti, non c'è difficoltà ad ammetterlo; che poi in origine ci fosse in quel posto un edificio sacro al culto pagano non è inverosimile, ma non si tratta che di una congettura.

Comunque sia nel 1821, in occasione di restauri alla cappella della Beata Vergine del Rosario, si scoperse un'ara romana la cui iscrizione da cui si dedusse che la chiesa di San Vito fu davvero un luogo sacro per i pagani. Questo trova conferma anche per l'importante posizione di Barzanò, ovvero sul crocevia delle antiche strade che portavano da Milano verso Como e Bergamo.
Il primo sicuro accenno di una chiesa dedicata a San Vito in Barzanò resta tuttora quello che si può rinvenire dal Liber Notitiae  Sanctorum Mediolani di Goffredo da Bussero, in cui viene riportata la prima citazione di questa parrocchia riassalente alla fine del Tredicesimo secolo.

DALL'ELEVAZIONE A PARROCCHIA AI NECESSARI AMPLIAMENTI
Come abbiamo già citato in altri articoli, con il tempo le popolazioni non erano più disposti a doversi spostare nella chiesa pievana (che poteva essere quella di Brivio o di Missaglia) per poter essere battezzati, motivo per cui cappellani e canonici presero, a poco a poco, a risiedere presso le principali chiese dei villaggi e a funzionare come parrocchie, divenendo  rettori  ossia praticamente parroci, finché il Concilio di Trento riconobbe anche giuridicamente il fatto compiuto per inarrestabile evoluzione. Questo avvenne anche a Barzanò. Fino a quando la chiesina di San Salvatore fu mantenuta con il suo fonte battesimale, la vita religiosa di Barzanò si svolse presso la chiesa di S. Salvatore, e nel suo sagrato vi si seppellivano pure i morti, così d'avere di poi lì presso il suo ossario.
Col successivo disgregarsi della collegiata la cura d'anime venne a poco a poco esercitandosi presso San Vito, chiesa vicana comunitaria, che nel 1398 troviamo già dotata di un discreto beneficio con un proprio sacerdote cappellano, forse già rettore, popolarmente eletto.

Quando la chiesa da semplice oratorio o cappella, divenne rettoria o parrocchia di fatto, non ci è dato di poterlo precisare. Nel 1516 venne eletto, con votazione popolare, rettore parroco di Barzanò Giovanni Maria Panzeri. Gli contrastò l'esito Pietro Caponago, suo competitore, il quale a mano armata cercò di opporsi a tale nomina, pretendendo che i coloni del beneficio pagassero a lui l'affitto. La causa fu affidata al Capitano della Martesana e al suo vicario che riconobbe il buon diritto del Panzeri. Perciò, se San Vito era già rettoria nel primo quarto del secolo Sedicesimo, si può ben ritenere che già lo fosse nel secolo precedente.
Ci è peraltro completamente ignoto del come la chiesa fosse costruita in origine, e a quali vicende andò soggetta nei secoli anteriori a San Carlo. È col padre gesuita Leonetto Clavone, inviato dallo stesso San Carlo che abbiamo le più antiche informazioni. Il Leonetto scrive che la chiesa, situata fuori dell'abitato, era  ad un sol nave. Misurava quindici braccia in lunghezza e altrettante in larghezza (il braccio equivaleva a metri 0,595): dal che si può arguire che aveva la capienza di un oratorio, del resto più che sufficiente per una popolazione che complessivamente non raggiungeva le cinquecento anime. Scarsità demografica in quei tempi comune a tutti i nostri paesi. Conteneva tre altari sotto le rispettive cappelle a volta ed elevate dal pavimento della chiesa mediante un gradino.

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L'altar maggiore, con predella, aveva un tabernacolo di legno dipinto nel quale in una pisside-ostensorio si conservava il SS. Sacramento con altre particole e alla destra dell'altare stava acceso un lumicino rinchiuso in una lanterna che serviva da lampada.
Veniamo ora agli altri due altari minori: nella cappella dell'Assunta, con sarcofago sopra terra, avevano a che fare i nobili Nava, mentre l'altra con finestra per la quale si guardava sul sagrato o cimitero e viceversa, spettava alla confraternita di San Rocco. Il restante della chiesa non aveva né volta né soffitta, ma coperta di sole tegole, con pavimento in disordine; il battistero consisteva in un semplice vaso di pietra presso l'altar maggiore e dal campanile pendeva una sola campana per di più rotta anche quella.

La casa parrocchiale, come al presente, si addossava alla chiesa verso mezzodì, e ad essa vi si accedeva per una porta che comunicava con il campanile. Consisteva in tre locali inferiori e tre superiori, con corte, orto, e ronco contiguo.
Sulla parrocchiale barzanese veniva profilandosi un grave inconveniente, e cioè l'incapacità di contenere la aumentata popolazione. Si imponeva un ampliamento. Il parroco Ferrario ne avvertiva la necessità, ma chi condurrà in porto l'impresa sarà il suo successore, il parroco Boldrini.
Nel 1833/34, su disegno dell'architetto Biagio Magistretti, e previa autorizzazione ecclesiastica e civile, si iniziarono i lavori di allargamento a tre navi, e prolungandola a levante con altare, coro, e sacrestia nuova a mezzodì. L'interno con le cappelle venne necessariamente rimaneggiato. Dell'antica chiesa non rimase che una piccola parte. Senonché il lento ma continuo sviluppo del paese indusse, cento anni dopo, il parroco Bedoni ad eseguire un altro ampliamento col trasformare la chiesa alla forma di croce latina, prolungandola verso levante a ridosso della collina, su disegno dell'architetto bergamasco Giovanni Barboglio.
Ingrandimento di ripiego, se si vuole, ma che la rese doppiamente capace, come tutti possiamo constatare.

IL CICLO DI AFFRESCHI
Vogliamo ora soffermarci su alcune parti del ciclo di affreschi del Tagliaferri presente nella chiesa di San Vito, così da varcarne l'ingresso la prossima volta che ci passerete davanti.
Si ritrovano sull'abside due episodi raffigurati: il primo rappresenta il miracolo della manna data da Dio al popolo di Israele nel deserto. Sotto un cielo azzurro, solcato da nuvole bianche, è visibile all'ombra di una palma Mosè, anziano con una veste bianca e un lungo manto rosso. Reso riconoscibile da due raggi luminosi che emanano dalla sua testa, secondo l'iconografia tradizionale, dovuta al passo dell'Esodo in cui si dice che il suo volto era raggiante per l'incontro faccia a faccia con Dio. Il Patriarca tiene il braccio sinistro teso verso l'altro, mentre con la mano destra regge una bacchetta con la quale ordina al popolo di cibarsi. della manna. Alle sue spalle, due figure contemplano la scena, mentre altre in primo piano, si chinano a raccogliere il cibo miracoloso in canestri e anfore. Nell'angolo a destra una donna con il con in braccio un bambino osserva stupita la scena. Sullo sfondo altre figure sono intenti a meditare. Stupisce la vivacità delle pose dei personaggi che trasmettono con gesti realistici l'eccitazione del momento per inaspettato dono di Dio.

Nel secondo episodio si osserva Gesù discutere con i discepoli sul pane vero disceso dal cielo che gli uomini ricevono da Dio e si definisce ''il pane della vita, perché chi ne mangia non morirà''. Al centro della scena, Gesù si rivolge con fare calmo e paziente a un discepolo che sta discutendo con lui e che lo addita confare aggressivo. Attorno alle due figure principali si dispongono di diversi personaggi che assistono al dialogo e meditano sulle parole dette. Da notare il gesto assai realistico dell'anziano nella parte sinistra dell'affresco che incrocia le mani dietro la schiena, si svolge in avanti per sentire meglio. Sulla destra del dipinto, sono riconoscibili gli Apostoli Pietro e Giovanni, il primo a rappresentato anziano, con un abito verde e un manto rosso, il secondo giovane imberbe e con i capelli lunghi. A differenza dei discepoli, resi compose ed espressioni giornalistiche, la figura di Gesù, posta di profilo, rappresenta forme classiche ed equilibrate, sottolineate dallo splendido bando celeste che lo avvolge. Alle spalle dei personaggi, lo spazio della sinagoga è simboleggiato da quello che sembra essere un tempio dorico dotato di colonne, capitelli, architravi e un fregio di metope e triglifi.

Altro importante elemento su cui ci vogliamo soffermare è la decorazione artistica della cupola. Questa si presenta piuttosto sbilanciata: i personaggi si trovano collocati principalmente nel settore visibile della navata centrale, mentre le altre porzioni risultano decorate solo con coppie di angeli totalmente spogli.
Protagonista della scena è la Beata Vergine del Rosario: assisa su un trono di nubi, con il velo mosso dal vento, reca tra le braccia Gesù Bambino. Seguendo l'iconografia tradizionale della Madonna del Rosario nel santuario di Pompei, Madre e figlio affidano il rosario a Santa Caterina da Siena e a San Domenico, non conoscibile dal saio bianco e nero oltre che dalla tradizionale stella posta sopra il suo capo. Questi santi nella loro vita avevano praticato e diffuso la preghiera del rosario contro le eresie presso il popolo.

È possibile dividere i personaggi che compaiono nella parte bassa della cupola tra diversi gruppi. Sotto la figura di Santa Caterina si trovano San Pio V, che ha istituito la festa della Madonna del Rosario il 7 ottobre 1571 a seguito della vittoriosa battaglia di Lepanto contro i turchi, e San Carlo Borromeo, compatrono della nostra diocesi, riconoscibile della caratteristica fisionomia. Il cardinale, posto al di sotto del Papa, lo guarda con umiltà e rispetto ad indicare la fedeltà della diocesi ambrosiana alla Chiesa cattolica Romana. Alle spalle di San Domenico compare invece la figura isolata di San Francesco da Paola, riconoscibile grazie al saio e al cartiglio con la scritta "Charitas". Il santo, inginocchiato, volge lo sguardo direttamente alla Vergine e l'addita alla contemplazione dei fedeli. Al centro e in posizione più bassa rispetto alle figure principali, compaiono tre santi riconoscibili come San Vito al centro, Modesto, suo precettore a destra, e Crescenzia, sua nutrice a sinistra.

In questa breve visita vi abbiamo solo accennato la storia e le meraviglie di questa chiesa, motivo per cui vi invitiamo a visitarla e scoprirla anche attraverso le nostre fonti: il già citato volume di Chiara ed Elena Beretta, oltre che ''L'opera omnia'' di don Rinaldo Beretta, sacerdote originario di Barzanò.
A conclusione di questa puntata, un ringraziamento speciale lo rivolgiamo a don Renato e ad Elena Beretta per averci consentito di visitare questo splendido luogo.

Rubrica a cura di Giovanni Pennati e Alessandro Vergani
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