Annone, crollo del ponte: a quasi due anni dalla sentenza lecchese, fissato il giudizio di Appello
A distanza di poco più di due anni dalla sentenza pronunciata dal giudice in ruolo monocratico Enrico Manzi - allora presidente della sezione penale del tribunale di Lecco - si tornerà a parlare del crollo del ponte di Annone che il 28 ottobre 2016 era costato la vita a Claudio Bertini. Il 65enne stava facendo ritorno nella sua casa di Civate percorrendo la SS36 quando il cedimento del manufatto, finito sull'Audi di cui era alla guida, non gli aveva lasciato scampo.
Nella sentenza erano stati riqualificati in omicidio stradale e lesioni stradali, due dei capi d'imputazione contestati agli imputati (ai quali si aggiungeva il disastro colposo e il crollo di costruzione ndr). Una scelta, quella del giudice, che di fatto ha consentito di raddoppiare i termini di prescrizione dei reati, rischio che incombeva sin dall'avvio del procedimento penale in primo grado.
Nel pronunciare la sentenza nei confronti di Valsecchi, Sesana e Salvatore - condannati altresì all'intedizione dai pubblici uffici ciascuno per la durata della pena inflittagli, con la misura che potrebbe eventualmente scattare soltanto al termine dei tre gradi processuali - il dottor Manzi aveva spiegato che la concessione delle attenuanti generiche derivava dal buon comportamento tenuto durante il processo dai due funzionari lecchesi (rappresentati rispettivamente dagli avvocati Edoardo Fumagalli e Stefano Pelizzari) e dal dirigente di Anas.
Prima che il fascicolo approdasse sulla scrivania del dottor Manzi per il dibattimento, erano usciti di scena due indagati: un dirigente della Provincia di Bergamo (la cui posizione era stata stralciata dal Gup Paolo Salvatore su richiesta della Procura) e un professionista incaricato nel 2013 di progettare la manutenzione dell'infrastruttura. Quest'ultimo aveva patteggiato un anno e due mesi (pena sospesa).
Fra quattro mesi il secondo round di una vicenda di cronaca che aveva scosso il territorio.
In queste ore è stata resa nota infatti la data dell'udienza di Appello, in programma il prossimo 17 ottobre davanti alla V sezione della Corte d'Appello di Milano.
L'ex giudice del tribunale lecchese Enrico Manzi
Un'indagine lunga e complessa, passata di mano diverse volte. Il fascicolo penale inizialmente al vaglio del compianto PM Nicola Preteroti - affiancato dal procuratore capo Antonio Angelo Chiappani - fu successivamente ereditato dalla collega Cinzia Citterio e in ultimo da Andrea Figoni chiamato a sostenere l'accusa nel corso dell'istruttoria dibattimentale che aveva occupato l'aula al primo piano del palazzo di giustizia di Corso Promessi Sposi ma anche la sede della Camera di Commercio e il tribunale di Como. In pieno periodo Covid servivano infatti spazi ampi per ospitare le numerose parti (fra difese e parti civili) coinvolte nel procedimento, chiusosi appunto (in circa un anno di udienze) con tre condanne e un'assoluzione.Tre anni e otto mesi la pena inflitta ad Angelo Valsecchi, già responsabile del settore viabilità e lavori pubblici della Provincia di Lecco; tre anni al collega Andrea Sesana, dipendente del medesimo ufficio e tre anni e sei mesi a Giovanni Salvatore, dirigente di Anas, titolare dell'arteria scenario del drammatico incidente che costò la vita al civatese Bertini. Era stata assolta invece - perchè il fatto non costituisce reato - Silvia Garbelli, dirigente della Provincia di Bergamo che rilasciò, una manciata di settimane prima del crollo, l'autorizzazione all'azienda Nicoli, proprietaria dell'autoarticolato sotto il peso del quale il cavalcavia annonese collassò.
Nel pronunciare la sentenza nei confronti di Valsecchi, Sesana e Salvatore - condannati altresì all'intedizione dai pubblici uffici ciascuno per la durata della pena inflittagli, con la misura che potrebbe eventualmente scattare soltanto al termine dei tre gradi processuali - il dottor Manzi aveva spiegato che la concessione delle attenuanti generiche derivava dal buon comportamento tenuto durante il processo dai due funzionari lecchesi (rappresentati rispettivamente dagli avvocati Edoardo Fumagalli e Stefano Pelizzari) e dal dirigente di Anas.
Trasmessi poi gli atti alla Procura - come era stato chiesto dalle difese e dalla parte civile Codacons - per valutare l'eventuale responsabilità penale di altri soggetti. A questo proposito il giudice, a margine del pronunciamento della sentenza, aveva stigmatizzato il comportamento tenuto in aula durante la loro deposizione, dai referenti della ditta di autotrasporti bergamasca, escussi in qualità di testimoni. Come si ricorderà nè i vertici dell'impresa, nè l'autista (costituitosi parte civile per i danni patiti nel sinistro ndr) erano finiti nell'indagine condotta dalla Procura lecchese.
Era stata rigettata infine, la richiesta di risarcimento danni avanzata dal Codacons, unica parte civile rimasta nel processo, dopo la scelta dei feriti e della vedova Bertini di sfilarsi, avendo definito gli indennizzi spettanti loro per i danni fisici e morali patiti a seguito della tragedia.
Prima che il fascicolo approdasse sulla scrivania del dottor Manzi per il dibattimento, erano usciti di scena due indagati: un dirigente della Provincia di Bergamo (la cui posizione era stata stralciata dal Gup Paolo Salvatore su richiesta della Procura) e un professionista incaricato nel 2013 di progettare la manutenzione dell'infrastruttura. Quest'ultimo aveva patteggiato un anno e due mesi (pena sospesa).
Fra quattro mesi il secondo round di una vicenda di cronaca che aveva scosso il territorio.