Dolzago: motoseghe e generatore alterati, per il difensore è 'falso grossolano'. Assolti
Il tribunale di Lecco
La curiosa vicenda risale al 2020, quando gli imputati erano stati fermati per un controllo a Dolzago mentre si trovavano a bordo di un veicolo. Gli operanti, notati gli strumenti di lavoro nell'abitacolo, ne avevano chiesto conto ai due, dichiaratisi venditori ''porta a porta''. Probabilmente insospettiti dal loro atteggiamento, i carabinieri avevano voluto approfondire caratteristiche e provenienza degli attrezzi. Portati in caserma per un controllo più accurato, era emerso che i loghi apposti non erano originali; dopo aver staccato gli adesivi, i militari avevano trovato sotto quelli effettivi, che si discostavano da marchi e modelli dichiarati. Una condizione questa descritta, che accomunava non soltanto le motoseghe, ma anche il generatore, seppur la presunta alterazione presentasse caratteristiche differenti.
La comparazione degli strumenti sotto ai loro occhi con i modelli reperibili su internet, avevano portato gli operanti a denunciare i due (già gravati da precedenti per vicende analoghe), finiti dunque a processo per contraffazione, alterazione o uso di segni distintivi di opere dell'ingegno o di prodotti industriali in concorso (secondo l'articolo 473 del codice penale).
L'istruttoria dibattimentale si è aperta nelle scorse settimane al cospetto del giudice Martina Beggio e dopo l'escussione dei testimoni in lista, la scorsa udienza il vice procuratore onorario Caterina Scarselli aveva chiesto la condanna dei due a un anno di reclusione, oltre al pagamento di una multa pari a 5mila euro. Si era invece battuto per la loro assoluzione l'avvocato Mauro Fontanarosa del foro di Foggia, mettendo in evidenza come i marchi fossero evidentemente non originali e proprio per questa ragione, incapaci di porre in inganno chiunque fosse eventualmente intenzionato ad acquistarli. La toga con studio a Milano ha parlato - richiamando la giurisprudenza - di ''falso grossolano'', ovvero di quello che si presenta ''così evidente da risultare inidoneo ad ingannare chicchessia'', ed è pertanto ''inoffensivo rispetto al bene della fede pubblica proprio per l'inidoneità (...) a trarre in inganno la collettività''.
Prima di pronunciare la propria sentenza, il giudice Beggio ha ritenuto di escutere (ai sensi dell'articolo 507 del codice di procedura penale) un operante all'epoca dei fatti in servizio presso la stazione carabinieri di Cremella, occupatosi delle indagini. All'appuntato sono state poste stamani ulteriori domande a precisazione, prima di passare nuovamente la parola al PM e alla difesa, con quest'ultima che ha ribadito la propria posizione.
Ritiratasi in camera di consiglio, il giudice ha infine assolto i due imputati ''perchè il fatto non sussiste''.
G. C.