Barzanò: Italia Romanica, la Canonica unico bene lecchese della manifestazione

A partire dal prossimo sabato 16 settembre prenderà il via la manifestazione ''Italia Romanica''. Un’iniziativa - alla sua prima edizione - volta a far conoscere l’architettura medievale italiana e realizzata in Lombardia, Sicilia e Sardegna. All’interno del territorio provinciale lecchese, l’unico bene architettonico medievale visitabile sarà la Canonica di San Salvatore a Barzanò.
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L’edificio, situato in Via Castello, è una testimonianza dello stile romanico in Brianza. E’ particolarmente antico, risale a un periodo storico precedente il X secolo. Al suo interno è presente una cripta interrata, realizzata anche grazie al fatto che la costruzione della chiesa ha sfruttato il terreno declivio non pianeggiante e terrazzato. Sempre all’interno è presente anche un’antica vasca battesimale ottagonale. Un elemento riscontrabile solo nelle chiese più antiche.

San Salvatore è stata più volte modificata e ampliata nel corso dei secoli. La sacrestia, ad esempio, è stata realizzata nel Cinquecento. Dal punto di vista architettonico e artistico ad essere particolarmente importante è la cupola interna alla chiesa, avente un diametro di cinque metri. Un’ampiezza notevole considerate le modalità costruttive dell’epoca ed essendo la cupola autoportante. A suscitare particolare interesse sono anche i suoi affreschi, anche per il fatto che fra di essi è osservabile una delle prime icone bizantine del territorio lombardo.

La chiesa sarà visitabile nei fine settimana fino a domenica 1°ottobre dalle ore 10 alle ore 12 del mattino e dalle ore 15.30 alle ore 17. Non è necessaria la prenotazione.

Di seguito qualche cenno storico:
La storia della piccola e antichissima chiesa si perde nei secoli, a testimonianza di ciò vi sono i diversi rimaneggiamenti architettonici e artistici dell’edificio. Sulle sue vicende si tramandano ricostruzioni storiche, anche differenti fra loro.

Alcuni fatti storici sono peculiari ed è possibile ricostruirli facendo affidamento ad opere letterarie. Una di queste è “Barzanò Antica” di Don Rinaldo Beretta che riporta, riguardo l’edificazione di Salvatore, l’ipotesi che “fosse in origine un delubro [santuario ndr] pagano, ridotto a chiesa cristiana contemporaneamente all’edificazione del castello da un conte Rothefort nel secolo VIII, ossia poco dopo il 754, durante la dominazione longobarda”.

La storia della chiesa di San Salvatore è stata a lungo legata a quella del castello di Barzanò. Per più di quattro secoli e mezzo l’edificio religioso rimase inglobato nelle mura del fortilizio. Fino alla distruzione di quest’ultimo avvenuta nel 1222 ad opera dei milanesi e del podestà Ardigotto Marcellino.

Le motivazioni di questo atto sono rintracciabili nelle conflittualità politiche del milanese fra la nobiltà dei Capitanei, i valvassori e il Popolo. Un conflitto vero e proprio, a tratti armato, iniziato alla fine del XII secolo. Durante una delle fasi di riacutizzazione degli scontri – nel 1221 – l’arcivescovo di Milano Enrico da Settala scomunicò Marcellino, all’epoca podestà di Monza. Per tutta risposta Marcellino, mobilitando le autorità comunali, fece bandire l’arcivescovo. Quest’ultimo si rifugiò a Cantù ottenendo il supporto delle famiglie signorili della Brianza. Nel 1222 Marcellino, in rappresentanza del Popolo, reagì. Alla guida di alcuni soldati distrusse il castello di Vaprio d’Adda appartenente al prelato. Da lì i suoi uomini si mossero per distruggere gli altri castelli dell’aristocrazia brianzola, fra questi anche la fortezza di Barzanò. La chiesa venne però risparmiata, nonostante fosse inglobata nelle mura del castello. San Salvatore venne risparmiata, forse, perché nell’intorno del 1180 era stata promossa a collegiata dall’arcivescovo Algiso Pirovano.

Si hanno nuovamente notizie della Chiesa di San Salvatore nel 1400, quando contava una decina di canonici, e nel XV secolo quando poteva contare su numerose rendite. Salvo poi entrare in una fase di declino e venir derubata di alcuni beni con situazioni a dir poco traumatiche, come la conflittualità fra gli stessi prelati. “Non mancavano talora disordini fra i canonici di San Salvatore […]. Il prete Gaspare Pirovano ed il prete Battista Ripamonti si presero ad archibugiate, rimanendo ucciso il Ripamonti e l’altro condannato alla galera” si legge in “Barzanò Antica”.

Negli anni Dieci del Seicento la storia di San Salvatore si interseca con la storia della parrocchia di San Pietro a Lomagna. L’arcivescovo Borromeo – già ordinato cardinale – conferisce nel 1608 alla parrocchia lomagnese alcuni beni e benefici, fra cui quello di prevosto, appartenuti a San Salvatore. Un passaggio che è stato rinvenuto in un atto notarile del mese di luglio dello stesso anno quando Claudio Mandello - prevosto della collegiata di San Salvatore – conferisce il proprio assenso affinché la prepositura barzanese venisse abolita e venissero trasferite le relative rendite a San Pietro. Quest’ultima, da un punto di vista formale, non era una vera e propria parrocchia, ma lo divenne proprio a seguito del trasferimento dei diritti della collegiata di Sal Salvatore.

Ciò che è certo e che la collegiata di Barzanò, a quell’epoca, aveva da tempo perso il suo splendore e visto compromesse le capacità di sostentamento. Una pagina interessante di questa fase della storia di San Salvatore è rinvenibile in uno scritto del 1611 ad opera dell’arcivescovo di Milano Federico Borromeo. “Nella – si legge - nostra visita pastorale dell’antica Collegiata del Santo Salvatore a Barzanò, abbiamo trovato per la negligenza dei popoli, del prevosto, canonici e cappellani,  esser col suo campanile rovinata, le case per l’abitazione dei Beneficiati in parte distrutte e in parte ridotte a usi sordidi e in parte occupate; il pavimento della chiesa già fabbricato di marmi di vari colori, disfatto, e levate di chiesa le tavole di marmo con i legnami del soffitto e del tetto; i beni dei quali questa chiesa era competentemente dotata […] usurpati e occultati”. Dalla lettera dell’arcivescovo è possibile comprendere che i possedimenti terrieri collegati alla Collegiata non erano certo in condizioni migliori. A tal punto che Federico Borromeo commenta con toni accesi, parlando di “danno evidentissimo, ingiuria della chiesa, perdizione delle anime, usurpatori e occultatori”. A questo punto il cardinale fa emettere un’ingiunzione concedendo nove giorni di tempo per restituire i beni usurpati dalla collegiata pena la scomunica. L’esito di tale atto è sconosciuto.
Un’ampia ricostruzione di queste vicende narrate è rinvenibile in ''Liber Chronicus'' a cura dell’architetto Umberto Carozzi e del professor Alessandro Panzeri.
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