Annone: incontro sulla violenza di genere. Lavorare sulle emozioni

Rendere consapevoli ed educare alle emozioni le nuove generazioni. È in estrema sintesi quanto emerso dall’incontro promosso dal Comune di Annone Brianza in occasione del 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne istituita dall’Onu nel 1999, in ricordo delle tre sorelle Mirabal, deportate, violentate e uccise il 25 novembre 1960 nella Repubblica Dominicana.
Lo scorso mercoledì sera in sala consiliare sono stati ospiti Carmen Leccardi, professoressa emerita di Sociologia della Cultura presso l'Università degli Studi di Milano-Bicocca e Lorenzo Lazzarini, cittadino di Annone, dottore in Scienze dei Servizi Giuridici presso il medesimo ateneo.
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''Il tema della violenza di genere purtroppo è molto sentito e i fatti più recenti hanno scosso gli animi di tanti – ha detto la consigliera Laura Bartesaghi - Credo che oggi ci sia una maggiore consapevolezza della disparità della donna. Un passo avanti si sta facendo, ma ci sono ancora contraddizioni evidenti oggi. Il problema della disparità di salario, per esempio, è ancora una questione attuale perché il retaggio dice che il lavoro dell’uomo è più importante di quello della donna, ma non solo: anche i maggiori ruoli apicali sono oggi ricoperti da uomini. C’è un substrato che si sta muovendo ma non siamo arrivati ancora alla parificazione dei ruoli''.
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Lorenzo Lazzarini, ex studente dell’istituto Bachelet di Oggiono, ha presentato al pubblico alcuni risultati della sua tesi sperimentale sulla percezione dei giovani di alcuni temi. ''C’è poca informazione attorno al tema del consenso – ha detto, rendendo noti i risultati della ricerca condotta tra i ragazzi degli istituti Bachelet di Oggiono e Bertacchi di Lecco - Ho chiesto se non esprimere il dissenso equivale ad acconsentire: per il 20% delle donne quest’affermazione è sbagliata, mentre per il 70% dei maschi la mancanza di espressione di dissenso equivale a dire . Bisognerebbe lavorare sui giovani per sapere cos’è il consenso: se riconosco il no di una ragazza, riconosco la sua autodeterminazione e il suo essere persona. Nei giovani manca anche il fatto che il consenso è revocabile e per questo va sempre chiesto. Un altro concetto è quello del consenso viziato: il consenso di una persona alterata mentalmente non è un consenso valido. Nel 2022 Corte di cassazione ha affermato questo principio pieno. Nella nostra società, il concetto di stereotipo è pervasivo nella realtà: descrive quello che vedo e penso, dà standard sociali che ci portano a giustificare certi comportamenti e crea problemi di vittimizzazione secondaria''.
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La professoressa Leccardi, sociologa, ha individuato due momenti storici come radici della violenza: la gerarchizzazione della società nel periodo fascista e la rivoluzione bloccata degli anni Novanta.
''Le donne vengono uccise in quanto donne e per questo si parla di femminicidio. La grande parte di questi assassini avvengono all’interno di relazioni interpersonali fondate – ha affermato - Da 30 anni mi occupo di dinamiche culturali e vedo che nel nord globale, nelle aree più sviluppate del pianeta, il mondo, le relazioni, le aspettative verso il futuro sono diventate sempre più opache: abbiamo paura del futuro, non ci aspettiamo un miglioramento della situazione sociale, politica ed economica. Anche le relazioni tra soggetti, uomini e donne, sono diventate più complesse. Manca una sorta di filo conduttore che ci aiuti a capire perché queste relazioni possono sfociare nella volontà di annientare la persona più importante della vita dei soggetti maschili. La difficoltà di relazione tra generi si colloca all’interno di una realtà più ampia. Le donne in questa fase storica, dentro un’incertezza globale, dentro una sensazione di incontrollabilità del mondo, riescono a mantenere la rotta, più della parte maschile''.
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Insomma, le ragazze di oggi, secondo la docente, hanno una marcia in più e le motivazioni vanno ricercate nel passato. ''La Costituzione dice che siamo tutti uguali, al di là del genere, della razza e delle differenze. Questa premessa ha dato il via al processo di scolarizzazione superiore delle ragazze dalla fine degli anni Sessanta che è stato importante per cambiare la mentalità collettiva sui rapporti di genere. Questo processo di scolarizzazione non è però sfociato in una parità di genere, che è rimasto tra i desiderata. L’Italia uscita dal ventennio fascista, era un’Italia dove c’era gerarchia di genere data per scontata che vede a un piano superiore gli uomini e sotto le donne. Nonostante gli sforzi di democratizzare l’Italia, c’è questa base gerarchica, quindi c’è una tradizione di maschilismo, di sessismo che le generazioni più anziane hanno interiorizzato''.
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Le donne sono cambiate molto negli ultimi 50-60 anni, assumendo una presa di coscienza di sé come persone. ''Fino agli anni Sessanta, la posizione femminile era legata allo stereotipo della donna come angelo del focolare, al servizio della famiglia. Nella tipica famiglia anni Sessanta, l’uomo lavorava e la donna era casalinga e si occupava del lavoro familiare e domestico. Questo ha costruito una serie di stereotipi sulla figura femminile. Negli anni Settanta, quando le donne sono scese in piazza, dicevano “io sono mia” per andare contro lo stereotipo dell’epoca. Da quegli anni c’è stato un percorso di emancipazione, che noi chiamavamo percorso di liberazione dalla subordinazione. Noi ragazze istruite non accettavamo l’idea di essere subordinate. Ci siamo trovate davanti a una grande speranza di cambiamento. Gli anni Ottanta sono stati anni complessi dal punto di vista sociale, ma dagli anni Novanta ha iniziato a girare il termine di rivoluzione bloccata. Anche nel nord Europa questa rivoluzione si è bloccata, però il welfare è stato abbastanza forte da garantire alle donne nel mercato del lavoro e nei servizi per l’infanzia degli spazi di autonomia. L’Italia, invece, è rimasta un fanalino di coda: siamo arrivati a una situazione bloccata e non abbiamo fatto nulla''. 
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Al centro Laura Bartesaghi fra i due ospiti e relatori

Nella conferenza di Lisbona del nuovo Millennio, si auspicava che gli stati europei, entro il 2010, raggiungessero il 60% di occupazione femminile. In Italia siamo ancora al 48%, segno che questa spinta al cambiamento non è avvenuta in maniera completa. ''Le donne sono andate dalla sfera privata verso il pubblico, nel lavoro remunerato e nella politica, usando i nuovi livelli di istruzione. La rivoluzione si è bloccata perché il passaggio inverso dal pubblico a privato non c’è stato per gli uomini. Con le nuove generazioni sembra che qualcosa stia cambiando ma stiamo andando a passo di lumaca. Per superare la rivoluzione bloccata, dobbiamo avere una rivoluzione sociale, che è prima di tutto culturale''. 
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Un commento poi sugli episodi di attualità: ''Le radici della violenza sulle donne stanno nella volontà di controllare le donne, ancora pensate sulla base dello stereotipo come subordinate, ma loro non lo sono più. Le indennità femminili sono mutate in breve tempo, in 40 anni, ma quelle maschili sono bloccate. Questo produce un desiderio di controllo maschile sulla vita delle donne e il timore che questo è destinato a fallire'' è il pensiero della sociologa. ''I nostri figli si abituano all’idea che questa gerarchia c’è sempre perché i ragazzi vedono che le donne in casa si danno da fare più della parte maschile. Andrebbe bene se tutte le famiglie andassero nella stessa direzione, ma non è così. Dobbiamo lavorare sugli uomini e far capire loro che le emozioni sono qualcosa di bellissimo nella vita umana. Cerchiamo di costruire la possibilità che le emozioni, i sentimenti non vadano nella direzione di chi è più forte tra me e te, ma che ci possa essere un riconoscimento della diversità come portatore di sapienza''.
M.Mau.
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