Castello B.za: il presepe in chiesa parrocchiale è un richiamo alla pace in terra

"Pace in terra": è la scritta che campeggia sotto un presepe molto particolare. In un clima da vigilia d’estate e non di fine anno, la voce corre svelta tra le vie che si snodano all’ombra di un antico castello. "Anche i bambini durante la novena ne sono rimasti colpiti. Bisogna andare a vederlo!" è il messaggio. Parole che non riescono a racchiudere la realtà, come spesso accade di fronte a piccoli gesti, quelli più significativi. Come la scelta di allestire un presepe ambientato in una Terra Santa sconvolta dalla guerra.
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Ed è così che, entrando nella chiesa di San Lorenzo di Cologna, a Castello di Brianza, ci si imbatte in una sacra rappresentazione allestita tra le macerie con a fianco due grandi poster raffiguranti i danni delle bombe. Sotto, quella scritta: Pace in terra. Superato il primo impatto, che lascia senza parole, quell’immagine stimola tante riflessioni, quasi quanti sono i fedeli che entrano per una preghiera in chiesa a pochi giorni dal Natale.

"Perché Gaza?" ci si chiede innanzitutto. Forse per ricordare che noi, in procinto di passare il Natale al caldo in famiglia nelle nostre case, siamo dei privilegiati, soprattutto nei confronti di chi passerà sotto le bombe anche questi giorni di festa. Forse per ricordare che noi e loro, le persone sotto le bombe, facciamo parte della stessa umanità, dello stesso mondo. Avremmo diritto alla stessa pace.
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Che immagine straziante, quella allestita dall’anziano prete della comunità. Un uomo che nei suoi 85 anni di vita, di cui 55 trascorsi da sacerdote, ha assistito ai feroci dibattiti sviluppati intorno alle tante guerre susseguitesi negli anni.
Ecco, la combinazione tra quell’immagine, la natività sotto le bombe, e quella scritta, pace in terra, può essere letta anche così: iniziamo a fare pace tra noi. Perché, come ben sa chi è nato e cresciuto in una terra di imprenditori e artigiani, i grandi risultati, le grandi imprese, si costruiscono attraverso i piccoli gesti quotidiani, quelli potenti e quelli rivelatori.

E allora, in questi giorni di festa, forse vale la pena partire proprio da un piccolo gesto: iniziare a fare la pace tra noi, smetterla di dibattere di guerra come si discute di una partita di calcio. È un passaggio fondamentale per poter arrivare alla pace, quella vera, quella a cui tutti avremmo diritto. Probabilmente noi non potremo godere di questo risultato. Lo faranno i nostri figli e i figli di chi oggi è sotto le bombe ma non ne sarà comunque valsa la pena. Loro, del resto, non sono solo i principali protagonisti di questi giorni di festa. Sono il nostro futuro. È per loro che, forse, vale la pena smettere di urlare e iniziare a lavorare per la pace. Sarebbe un modo sicuramente migliore di festeggiare il Natale, la festa della "vita che nasce".
A.Bes.
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