Casatenovo: sistema carcerario, per l'ex pm Colombo ''serve un cambiamento''

''Mi sono dimesso con 14 anni di anticipo dalla magistratura e la ragione preponderante è legata al carcere: più vado avanti, più penso che sia un assurdo''. Un'affermazione forte, allo stesso tempo una riflessione profonda, con la quale l’ex magistrato Gherardo Colombo ha aperto il suo intervento presso i locali dell’oratorio di Campofiorenzo durante un incontro organizzato lunedì 15 aprile da Romano Limonta e dall’associazione Sulle Regole.
Una presa di posizione, quella dell’ex pubblico ministero, non certo nuova. Nel 2007, anno in cui lasciò il Consiglio Superiore della Magistratura e ogni incarico nel mondo della giustizia, spiegò come non sopportasse più l’idea di mandare persone in carcere.
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L'ex pm Gherardo Colombo

Perché le carceri italiane - secondo Colombo - hanno perso ogni funzione rieducativa. Aspetto che ha premesso fin dalle prime fasi nell’incontro di Casatenovo. Logica conseguenza di questa presa d’atto è stata la scelta dell’ex magistrato di dedicarsi proprio all’educazione e alla rieducazione. Da un lato incontrando i giovani nelle scuole, parlando loro di legalità. Dall’altro lato incontrando i detenuti nelle carceri italiane.
''Il carcere – ha spiegato – costituisce la legittimazione a far male alle persone, un aspetto che deve fare riflettere sull’indole delle persone stesse''. Venuta meno la funzione rieducativa, il carcere diviene una semplice manifestazione della capacità repressiva della società e dello stato, riassumibile dalla formula: ''Ti faccio vedere che la conseguenza di far male è far male''. Uno schema nel quale, ''a far male'' nei confronti di chi ha commesso dei reati, è il sistema carcerario italiano. ''L’imposizione di sofferenza'' come risposta a chi ha commesso un crimine.
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A destra il promotore dell'incontro, Romano Limonta

La dimensione repressiva che prende il posto del processo rieducativo del detenuto. Uno schema da rompere, un modello da superare. Dato che non esiste alternativa alla funzione rieducativa di chi delinque, nell’ottica di reinserimento nella società come cittadino libero, allora è necessario superare l’attuale condizione presente nelle carceri italiane. Testimonianza ultima di una situazione critica è l’altissimo numero di suicidi che avvengono negli istituti penitenziari italiani. 
Un incontro rivelatosi particolarmente interessante perché si è instaurato un dialogo continuo fra i presenti e l’ex pubblico ministero. Per promuovere la funzione rieducativa, Colombo ha preso ad esempio quanto avviene nella ''nave'', ovvero al quarto piano del terzo raggio della casa circondariale di San Vittore. Luogo nel quale i detenuti in attesa di giudizio, al termine di un percorso di impegno personale, vivono in uno spazio carcerario più umano. Rimanendo impegnati tutto il giorno in attività, portando avanti una condizione di vita quanto più simile a quella che condurrebbero nella società esterna al carcere.
Perché – come spiega Colombo - se l’obbiettivo del carcere, come prevedono le leggi italiane, deve essere la rieducazione del detenuto per il suo ritorno in società, ciò che il detenuto deve sperimentare in carcere, durante il suo percorso di riabilitazione, deve essere ''quanto più possibile simile alla società esterna'' nella quale tornerà a vivere terminata la detenzione.
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La ''nave'' di San Vittore resta un caso a parte nel sistema carcerario. Un ambiente la cui organizzazione ricade sotto la responsabilità dell’azienda di tutela della salute territoriale e non del sistema penitenziario.
Come modello di carcere alternativo e innovativo, l’ex magistrato ha citato il caso dei penitenziari scandinavi. Ad Oslo, in Norvegia, i detenuti vivono nei corridoi delle carceri, attrezzati come se fossero abitazioni.
Un forte cambiamento quello proposto da Colombo, che ha scuscitato dubbi e perplessità fra i presenti. Non sono mancati interventi critici da parte del pubblico.
''Non credo nell’indole violenta delle persone, ma credo che esistano delle persone con delle problematiche che devono essere curate'' ha risposto l'ospite a chi ha avanzato la critica sulla cattiveria e violenza innata che sarebbe presente in alcuni soggetti, i quali, per conseguenza, sarebbero da escludere dalla società.
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In prima fila il vicesindaco Marta Comi, don Eusebio Stefanoni e il consigliere Francesco Sironi

Un percorso di cura e riabilitazione mirato al singolo rappresenta uno dei fattori principali del processo di riabilitazione del detenuto per Colombo. Dati alla mano, un terzo dei detenuti presenti nelle carceri italiane è tossicodipendente. Se non curato, tornerà a commettere gli stessi reati e, forse, tornerà di nuovo dietro le sbarre. Servirebbero percorsi di cura che oggi raramente vengono messi in atto. ''Pensate che le risorse spese per il settore carcerario sono in larghissima parte destinate al mantenimento delle strutture agli stipendi del personale, a favore dei detenuti non va praticamente nulla'' ha precisato.
Un secondo elemento fondamentale è la necessità di ''lavorare sulle denunce'' come ha ricordato l’ex pm. ''Dopo le denunce devono seguire delle verifiche, prima che le persone finiscano per commettere un reato''. La casistica che Colombo ha portato all’attenzione è quella dei femminicidi. Una tipologia di reato, che molto spesso, è preceduto da una o più denunce da parte delle donne che divengono poi vittime. Le verifiche condotte a seguito di una denuncia, secondo l’ex pm, dovrebbero anche portare, se necessario, al ''preventivo'' allontanamento delle persone violente.
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L’attenzione è anche andata ad alcune percezioni distorte che le persone anno rispetto al fenomeno della criminalità. All’atto pratico, in Italia alcuni reati come gli omicidi sono ai livelli minimi da oltre quarant’anni a questa parte e fra i più bassi d’Europa.
''Il carcere rappresenta oggi una esasperazione della cultura che sta fuori dal carcere, nella società esterna. L’idea che si stia insieme attraverso rapporti di potere e non di comprensione reciproca'' ha aggiunto Colombo nelle fasi conclusive dell’incontro. Unitamente a una preoccupazione. Quella del possibile aumento dei fenomeni di criminalità in seguito all’emergenza della pandemia, alla frattura sociale, e all’ ''incattivimento'' che si è generato.
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L.A.
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