Monticello: ''Brianza Faber'', una raccolta di sonetti di Renato Ornaghi
Brianza Faber è il titolo dell'ultima silloge poetica di Renato Ornaghi, che sarà pubblicata il prossimo 29 giugno dall’Opificio Monzese delle Pietre Dure. È una raccolta di venticinque sonetti minori ideata per rendere omaggio al "saper fare" brianzolo. ''Faber'' è parola latina che in italiano si può tradurre in "abile artigiano", Brianza Faber è quindi un libro pensato per celebrare la più evidente dote dei brianzoli: quella del "saper fare", per l'appunto.
L'abitante della Brianza è alquanto peculiare, dato che egli - pur avendo profonde origini ben radicate in una cultura rurale - nelle ultime quattro generazioni si è tanto inspiegabilmente quanto prepotentemente affermato a livello mondiale quale campione indiscusso del saper "fare bene". Ciò in particolare nell’ambito del design, del mobile, dell’arredo, del tessile e più in generale delle molteplici Arti applicate.L’autore Renato Ornaghi ama affermarlo spesso, senza giri di parole: "Troppe volte la Brianza è rappresentata in maniera caricaturale, come ambito sociale in cui il valore etico del lavoro è un mero limite se non pure un difetto, mai certo motivo di encomio. Se ci va bene e siamo fortunati, questa nostra indefessa e un po’ folle attitudine al lavoro 'ottimo e abbondante' è oggetto di simpatiche prese in giro, che per carità ci stanno e che ci facciamo pure noi, dato che è sempre opportuno non prendersi troppo sul serio. Come fa ad esempio e assai bene l'amico erbese Konrad il Brianzolo, che nei suoi video su YouTube sintetizza il karma lavorativo di noi indigeni con la stringata espressione ‘fà ‘nà i man!’ [tieni attive le mani!]”.
In realtà, il lavoro artigianale in Brianza è materia troppo seria e culturalmente trasversale per essere presa sottogamba, dato che spesso negli opifici locali felicemente declina nelle cosiddette Arti minori (la falegnameria, l’arredo, l’arte tessile, la manifattura di pregio, la decorazione, il design industriale, solo per citarne alcune). In Brianza, il lavoro sovente diventa Arte: è quindi nel ''manu-facto'' che secondo Renato Ornaghi va trovato il primo elemento identitario del faber brianzolo. I raffinati cultori delle Arti maggiori magari storceranno il naso, ma se nelle case degli abitanti del pianeta entrano oggetti d’arredo ben fatti ed esteticamente affascinanti, un gran merito l’hanno di sicuro gli artigiani brianzoli, che con la loro istintiva capacità di produrre ''il bello'' hanno imposto il proprio distintivo paradigma di qualità (mix d’altissimo livello estetico-artigianale) a tutto il mondo.
La copertina di Brianza Faber è il celebre quadro di Rubens ove è ritratto il dio greco Efesto, al lavoro nella sua officina a produrre i fulmini di Zeus. Il perché di questa scelta lo spiega ancora Ornaghi: ''L’opificio è il centro dell’universo, per il faber brianzolo: là dentro egli può davvero tutto. E c’è poco da fare, noi brianzoli non siamo apollinei e men che meno dionisiaci, giusto per far riferimento ai due estremi identitari in cui il filosofo Friedrich Nietzsche ha incasellato le pulsioni dell’umanità. Tra quei due poli mitologico-filosofici fondativi della cultura umana, Il brianzolo sceglie invece una terza divinità: Efesto, colui che con le sue unghie nere lavora in officina dalla mattina alla sera a sfidare la materia e da cui estrarre l’opera perfetta. E come dalle mani di Efesto, così dalle mani del faber brianzolo prende la vita il prodotto-bello-fatto-bene, quello che sopravviverà al suo creatore e che ricorderà al mondo la sua grande perizia artigianale. È questo, davvero, il modo originale e tutto brianzolo per sopravvivere ai posteri e che in sostanza riassume la filosofia di vita aleggiante nella Brianza manifatturiera: la propria identità profonda la si afferma esclusivamente attraverso il fare le cose alla perfezione. Altre scorciatoie di gratificazione umana, nell'etica di questo territorio, non sono contemplate''.
Leggendo le venticinque poesie di Brianza Faber emergono immagini vivide, quasi ''lampi dal territorio'' per la brevità dei componimenti: inquadrature in primo piano cinematografico di una terra sempre raffigurata col metro poetico del ''sonetto minore''. Un metro che è definito da Renato Ornaghi quale metafora di tutta la Brianza, come egli spiega nella prefazione. Lo stile poetico adottato porta sovente a un confronto impietoso tra presente e passato, con un giudizio morale sempre in favore di quest’ultimo. Ma non è, quello di Ornaghi, un mero e scontato elogio del buon tempo antico, è anzi la presa di coscienza del fatto che in questo terzo millennio, in cui sta prepotentemente emergendo il ruolo creativo della cosiddetta IA, il ''saper far bene'' brianzolo è destinato a finire nel museo degli attrezzi tanto belli da ricordare, quanto inutili oggi e men che meno in futuro. L’abile artigiano brianzolo lo ha ormai già capito: a realizzare le cose belle ci penseranno a breve le macchine: sotto il freddo, efficiente e preciso coordinamento della nuova intelligenza artificiale.
L'abitante della Brianza è alquanto peculiare, dato che egli - pur avendo profonde origini ben radicate in una cultura rurale - nelle ultime quattro generazioni si è tanto inspiegabilmente quanto prepotentemente affermato a livello mondiale quale campione indiscusso del saper "fare bene". Ciò in particolare nell’ambito del design, del mobile, dell’arredo, del tessile e più in generale delle molteplici Arti applicate.L’autore Renato Ornaghi ama affermarlo spesso, senza giri di parole: "Troppe volte la Brianza è rappresentata in maniera caricaturale, come ambito sociale in cui il valore etico del lavoro è un mero limite se non pure un difetto, mai certo motivo di encomio. Se ci va bene e siamo fortunati, questa nostra indefessa e un po’ folle attitudine al lavoro 'ottimo e abbondante' è oggetto di simpatiche prese in giro, che per carità ci stanno e che ci facciamo pure noi, dato che è sempre opportuno non prendersi troppo sul serio. Come fa ad esempio e assai bene l'amico erbese Konrad il Brianzolo, che nei suoi video su YouTube sintetizza il karma lavorativo di noi indigeni con la stringata espressione ‘fà ‘nà i man!’ [tieni attive le mani!]”.
In realtà, il lavoro artigianale in Brianza è materia troppo seria e culturalmente trasversale per essere presa sottogamba, dato che spesso negli opifici locali felicemente declina nelle cosiddette Arti minori (la falegnameria, l’arredo, l’arte tessile, la manifattura di pregio, la decorazione, il design industriale, solo per citarne alcune). In Brianza, il lavoro sovente diventa Arte: è quindi nel ''manu-facto'' che secondo Renato Ornaghi va trovato il primo elemento identitario del faber brianzolo. I raffinati cultori delle Arti maggiori magari storceranno il naso, ma se nelle case degli abitanti del pianeta entrano oggetti d’arredo ben fatti ed esteticamente affascinanti, un gran merito l’hanno di sicuro gli artigiani brianzoli, che con la loro istintiva capacità di produrre ''il bello'' hanno imposto il proprio distintivo paradigma di qualità (mix d’altissimo livello estetico-artigianale) a tutto il mondo.
La copertina di Brianza Faber è il celebre quadro di Rubens ove è ritratto il dio greco Efesto, al lavoro nella sua officina a produrre i fulmini di Zeus. Il perché di questa scelta lo spiega ancora Ornaghi: ''L’opificio è il centro dell’universo, per il faber brianzolo: là dentro egli può davvero tutto. E c’è poco da fare, noi brianzoli non siamo apollinei e men che meno dionisiaci, giusto per far riferimento ai due estremi identitari in cui il filosofo Friedrich Nietzsche ha incasellato le pulsioni dell’umanità. Tra quei due poli mitologico-filosofici fondativi della cultura umana, Il brianzolo sceglie invece una terza divinità: Efesto, colui che con le sue unghie nere lavora in officina dalla mattina alla sera a sfidare la materia e da cui estrarre l’opera perfetta. E come dalle mani di Efesto, così dalle mani del faber brianzolo prende la vita il prodotto-bello-fatto-bene, quello che sopravviverà al suo creatore e che ricorderà al mondo la sua grande perizia artigianale. È questo, davvero, il modo originale e tutto brianzolo per sopravvivere ai posteri e che in sostanza riassume la filosofia di vita aleggiante nella Brianza manifatturiera: la propria identità profonda la si afferma esclusivamente attraverso il fare le cose alla perfezione. Altre scorciatoie di gratificazione umana, nell'etica di questo territorio, non sono contemplate''.
Leggendo le venticinque poesie di Brianza Faber emergono immagini vivide, quasi ''lampi dal territorio'' per la brevità dei componimenti: inquadrature in primo piano cinematografico di una terra sempre raffigurata col metro poetico del ''sonetto minore''. Un metro che è definito da Renato Ornaghi quale metafora di tutta la Brianza, come egli spiega nella prefazione. Lo stile poetico adottato porta sovente a un confronto impietoso tra presente e passato, con un giudizio morale sempre in favore di quest’ultimo. Ma non è, quello di Ornaghi, un mero e scontato elogio del buon tempo antico, è anzi la presa di coscienza del fatto che in questo terzo millennio, in cui sta prepotentemente emergendo il ruolo creativo della cosiddetta IA, il ''saper far bene'' brianzolo è destinato a finire nel museo degli attrezzi tanto belli da ricordare, quanto inutili oggi e men che meno in futuro. L’abile artigiano brianzolo lo ha ormai già capito: a realizzare le cose belle ci penseranno a breve le macchine: sotto il freddo, efficiente e preciso coordinamento della nuova intelligenza artificiale.