Gesù e la politica

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Come tentativo di cristiano spesso mi sono interrogato sul rapporto tra Gesù di Nazareth e la Politica ( s'intende però quella con la P maiuscola).

Sarà che è appena terminata a Trieste la 50a Settimana Sociale dei Cattolici Italiani ( Cattolico= Universale) che con l'attenzione sin dal suo titolo “Al cuore della democrazia. Partecipare tra storia e futuro“ richiama immediatamente l'importanza di una presenza attiva dei cristiani in Politica e nel Sociale, ma come non mai mi sembra di ravvedere l'urgenza di tale e ineludibile dimensione.

Certo mi piacerebbe immaginare un uomo dagli inconfondibili tratti mediorientali che si presentasse oggi sulle sponde del nostro lago, come del resto quello di Genesaret, e continuasse la sua opera di evangelizzazione aiutandoci a discernere i “segni dei tempi”.

Ma noi, così costantemente presi dal nostro mondo quotidiano, lo sapremmo riconoscere e soprattutto seguire sulla sua “strada” al contempo impegnativa e liberante?

La prima cosa che mi ritorna spesso nella mente è: Se “la Politica è la forma più alta di carità” come hanno più volte ripetuto vari Papi, poteva Gesù di Nazareth, prima fonte della carità, non praticarla?

Poteva colui che “svuotò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini” non interagire con tutte le dimensioni della vita umana ed in particolare quella sociale e politica?

Percorrendo le vie non solo della Palestina poteva non imbattersi nelle positività ma anche nelle contraddizioni del suo tempo? E poteva quindi non esprimere il suo pensiero confrontandosi apertamente anche con le istituzioni religiose e politiche di quel mondo? Del resto chi ama la Comunità non può disinteressarsi di chi la amministra e la governa.

E se la Politica (quella, ripeto,con la P maiuscola, non quella di cui purtroppo troppe volte siamo testimoni) è il preoccuparsi del bene comune poteva ignorare tale dimensione? 

Certo il suo “messaggio” andava ben oltre gli aspetti sociali e collettivi e riguardava – e continua a riguardare- in primis il rapporto personale con Dio ma questo non poteva, per sua natura e secondo la sua visione, non incarnarsi nell'irrinunciabile dimensione comunitaria, il cui reciproco amore fraterno era peraltro da lui considerato il vero elemento di riconoscimento della novità del Vangelo agli occhi del mondo.

E quel suo ripetuto monito a discernere i segni dei tempi non rappresentava un esplicito invito ad affinare una capacità di lettura “critica” di ciò che ci accade intorno, più che mai attuale anche per noi? 

Di lui mi ha sempre affascinato quel saper combinare dolcezza ( verso gli altri) e rigore (verso se stessi), pazienza e denuncia, ma soprattutto amore per tutti.

Una sana e serena inquietudine verso un proprio miglioramento benevolmente legato a quello degli altri (ci si libera assieme) e la ricerca del senso della vita orientato al Giusto e al Vero e non certo solo al pedissequo rispetto di regole morali ed esteriori.

Tutto questo, come il non scendere a patti con le contraddittorie logiche sia religiose che istituzionali, non poteva non procuragli l'opposizione delle élite del suo tempo. Del resto la sua scelta preferenziale per gli “ultimi” non poteva non cozzare contro l'autoreferenzialità del Potere da cui veniva via via sempre più percepito come un sovvertitore delle credenze dominanti, arrivando addirittura a proclamarsi figlio di Dio.

Questa sua visione salvifica, insieme personale e comunitaria, quindi intima e al contempo sociale, non poteva non costruirsi che sulla promozione di ogni singolo uomo e donna (in special modo quest'ultime) nella consapevolezza di una uguale e comune dignità, in una antesignana azione reciprocamente liberatoria anche dai condizionamenti sociali tipici del suo tempo, ma purtroppo spesso ancora presenti ai giorni nostri.

Questa sua azione di quotidiana sensibilizzazione delle coscienze, a partire dagli “ultimi”, non poteva non dare fastidio al Potere come del resto avviene spesso anche oggi ( ( per dirla alla card. Martini “: Gesù ha dato la sua vita per la giustizia. Ha cercato il dialogo coi potenti oppure ha rappresentato per loro un elemento di disturbo. Si è schierato dalla parte dei poveri, dei sofferenti, dei peccatori, dei pagani, degli stranieri, degli oppressi, degli affamati, dei carcerati, degli umiliati, dei bambini e delle donne. Chi si comporta così da fastidio, chi interviene a fianco degli uomini, che sono come pecore senza pastore, e li riunisce rendendoli consapevoli, diventa pericoloso agli occhi dei potenti”).

Non è un caso che lo stesso Martini sosteneva che “Secondo la Bibbia, la giustizia è più del diritto e della carità : è l’attributo fondamentale di Dio.” Una giustizia intimamente connessa con la carità e come Vincenzo De’ Paoli era solito ricordare «non vi è carità che non sia accompagnata dalla giustizia» e che, soccorrendo i miserabili «facciamo opera di giustizia e non di elemosina”.

Significativo, a tal proposito, continua ad essere il “messaggio a tutti gli uomini” indirizzato il 20 ottobre 1962 dai vescovi, alla conclusione del Vaticano II: «La Chiesa è assolutamente necessaria al mondo odierno per denunciare le ingiustizie e le vergognose disuguaglianze, per ripristinare il vero ordine delle cose e dei beni, affinché, secondo i principi del Vangelo, la vita dell’uomo divenga più umana”.

Ed allora a chi, cristiano e non, avverte l'esigenza di una partecipazione attiva nella vita sociale e politica come ineludibile componente del proprio “credo” chiedo sommessamente di lasciarsi interrogare dalla parola di papa Francesco nell'omelia di chiusura della 50a Settimana Sociale a Trieste che richiama a tutti la coerenza tra scelte e parole, sottolinea il rischio di uno scandalo di una religione chiusa in se stessa e invece del bisogno di una fede inquieta che non ci renda insensibili alle ingiustizie del mondo e così pure il suo specifico monito sull'indifferenza come cancro della democrazia.

Del resto come dimenticare quell' “I care” (mi rigurda, mi sta a cuore...l'esatto opposto del motto non solo fascista “me ne frego”) di donmilaniana memoria?

Riguardo alla prima esigenza “politica” che ci dovrebbe connaturare e cioè il saper discernere i “segni dei tempi” mi limito a riportare alcuni stralci dell'esortazione apostolica di papa Francesco “Evangelii gaudium” (una vera e propria esortazione “programmatica” in cui il Santo Padre ha posto al centro della pastorale “L'annuncio del Vangelo del mondo attuale”) del 2013 ma più che mai attuale. 




Dall'Evangelii gaudium cap. 2 e 4:

P.to 53 : Così come il comandamento “non uccidere” pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire “no a un ‘economia dell’esclusione e dell’inequità”. Questa economia uccide. Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada , mentre lo sia il ribasso di due punti di borsa … oggi tutto entra nel gioco della competitività e della legge del più forte , dove il potente mangia il più debole … Abbiamo dato inizio alla cultura dello scarto che , addirittura, viene promossa. Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo ….

P.to 54 : In questo contesto, alcuni ancora difendono le teorie della “ricaduta favorevole”, che presuppongono che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggior equità e inclusione sociale nel mondo. Questa opinione, che non è mai stata confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante. Nel frattempo gli esclusi continuano ad aspettare. Per poter sostenere uno stile di vita che esclude gli altri, o per potersi entusiasmare con questo ideale egoistico, si è sviluppata una globalizzazione dell’indifferenza.

P.to 55 : …. La crisi finanziaria che attraversiamo ci fa dimenticare che alla sua origine vi è una profonda crisi antropologica : la negazione del primato dell’essere umano. Abbiamo creato nuovi idoli. L’adorazione dell’antico vitello d’oro (cfr Es 32,1-35) ha trovato una nuova e spietata versione nel feticismo del denaro e nella dittatura di una economia senza volto e senza scopo veramente umano …

P.to 56 : Mentre i guadagni di pochi crescono esponenzialmente, quelli della maggioranza si collocano sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice. Tale squilibrio procede da ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria ….

P.to 59 : Oggi da molte parti si reclama maggior sicurezza. Ma fino a quando non si eliminano esclusione e l’inequità nella società e tra i diversi popoli sarà impossibile sradicare la violenza… Quando la società – locale, nazionale o mondiale – abbandona nella periferia una parte di sé, non vi saranno programmi politici, né forze dell’ordine o di intelligence che possano assicurare illimitatamente la tranquillità. Ciò non accade soltanto perché l’inequità provoca la reazione violenta di quanti sono esclusi dal sistema, bensì perché il sistema sociale ed economico è ingiusto alla radice. Come il bene tende a comunicarsi, così il male a cui si acconsente, cioè l’ingiustizia, tende ad espandere la sua forza nociva e a scardinare silenziosamente le basi di qualsiasi sistema politico e sociale, per quanto solido possa apparire. Se ogni azione ha delle conseguenze, un male annidato nelle strutture di una società contiene sempre un potenziale di dissoluzione e di morte. E’ il male cristallizzato nelle strutture sociali ingiuste, a partire dal quale non ci si può attendere un futuro migliore …

p.to 202 La necessità di risolvere le cause strutturali della povertà non può attendere …. I piani assistenziali, che fanno fronte ad alcune urgenze, si dovrebbero considerare solo come risposte provvisorie. Finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali della inequità, non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema. L’inequità è la radice dei mali sociali.

p.to 203 …Quante parole sono diventate scomode per questo sistema ! Dà fastidio che si parli di etica, dà fastidio che si parli di solidarietà mondiale, dà fastidio che si parli di distribuzione dei beni, dà fastidio che si parli di difendere i posti di lavoro, da fastidio che si parli della dignità dei deboli, da fastidio che si parli di un Dio che esige un impegno per la giustizia …. La comoda indifferenza di fronte a queste questioni svuota la nostra vita e le nostre parole di ogni significato ….

p.to 204 Non possiamo più confidare nelle forze cieche e nella mano invisibile del mercato. La crescita in equità esige qualcosa di più della crescita economica, benché la presupponga, richiede decisioni, programmi, meccanismi e processi specificatamente orientati a una miglior distribuzione delle entrate, alla creazione di opportunità di lavoro, a una promozione integrale dei poveri che superi il mero assistenzialismo. Lungi da me il proporre un populismo irresponsabile, ma l’economia non può più ricorrere a rimedi che sono un nuovo veleno, come quando si pretende di aumentare la redditività riducendo il mercato del lavoro e creando in tal modo nuovi esclusi.

Tutto questo può, e forse deve, spingerci tutti ad interrogarci e confrontarci a fondo su quel metodo d'analisi comunitario che trova una sua strutturazione concreta, perlomeno per chi crede in quel Gesù di Nazareth conoscitore dell'animo umano, nell'attenta lettura della sua Parola traendone elementi di discernimento della realtà attuale, sia micro che macro, e traducendoli in azioni concrete per una società più giusta e solidale in convergenza con tutti gli uomini di buona volontà.
Germano Bosisio
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