Il ritrovamento dello zaino rosso ha qualcosa di poetico, è significativo anche per chi non ha mai conosciuto Lorenzo

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Il ritrovamento dello zaino rosso di Lorenzo Mazzoleni morto nel 1996 sul K2 all’età di ventinove anni ha qualcosa di poetico, di malinconico perché è carico di significati, emozioni anche per chi non l’ha conosciuto. Non importa. Ciò che è importante è il significante simbolico che avvicina tutti e apre delle riflessioni come dice il poeta: «Ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera.» - Salvatore Quasimodo-.

È la stessa emozione che si prova quando si entra nella chiesetta a Pian dei Resinelli e, ai lati dell’altare, trovi tante icone di alpinisti, camminatori, amici della montagna, rocciatori, che per mano dell’ineffabile e dell’imponderabile, sono caduti. Ogni piccola icona racconta una vita, un sogno, un raggio interrotto.

Vari sono i luoghi della memoria che richiamano l’accaduto e avvisano il viandante di godere della bellezza della montagna ma di stare sempre attento a mettere lo scarpone nella giusta posizione. Salire verso l’alto o immergersi verso il basso, tra gli stupendi e colorati fondali dell’acqua, lo zaino o la bombola sono una protesi protettiva.

Lo zaino per chi va in montagna è come il guscio della chiocciola che racchiude in sé tutto quello che serve per affrontare l’avventura, la passeggiata, la camminata tra sentieri, rocce, cieli e fauna, ma è anche lo scrigno della persona. Lo zaino è una parte di sé, ritrovarlo dopo anni di silenzio glaciale è come ritrovare l’ombra della persona e va custodito, conservato.  In quello zaino c’è la memoria.

In una società che continua a costruire muri, barriere, solchi, scontri c’è bisogno di scoprire dei significanti che mettano di lato il misero particulare – Francesco Guicciardini- che si occupa solo del proprio ombelico e mette al centro l’ipertrofico e riduzionistico interesse.

Nello zaino stanno tante cose da condividere con gli altri: lo zaino è un simbolo altruistico di condivisione.
In questa società post globale, la condivisione riguarda soltanto l’appartenenza, chi è fuori, è un barbaro, uno che va tenuto lontano, un predatore, uno che va deportato, rigettato: in questo modo prevale la logica hobbesiana di homo homini lupus.  Il candidato alla presidenza di uno degli stati più influenti del capitalismo contemporaneo, nel suo discorso di accettazione a Milwaukee, ha parlato di ripristino di dazi, di chiusura dei confini, di autosufficienza energetica, di difesa dei confini, mettendo al centro una politica isolazionistica in un mondo multipolare. Paradossalmente, il giorno dopo succede che, per un errore tecnologico di una potenza tecnologica multinazionale Microsoft, si determina un down informatico che blocca aeroporti, banche, ospedali in tutto il mondo; è bastato un errore di metodo, da parte degli informatici, per far saltare il sistema cyberspaziale globale. Il blocco ha dimostrato quanto sia fragile la politica e la governance del cyberspazio. Il candidato del Milwaukee propone invece una politica del particulare ipertrofico.

Con il down informatico ha prevalso il cyberspazio globalizzato con tutte le sue implicazioni politiche e sociali. Il down informatico è un sintomo di una malattia che può degenerare e mettere a rischio miliardi di persone. Non è opportuno delegare a queste società tecnologiche le dinamiche del cyber: basta un non nulla perché succeda l’irreparabile. I sintomi vanno curati. Non si può far finta di niente e rintanarsi come delle talpe nelle proprie tane.

Soltanto una politica della condivisione, pur nelle differenze, può prevenire danni disastrosi. Una guerra cyberspaziale è pericolosa. Il ritrovamento dello zaino è il risultato di una storia condivisa.
Dr.Enrico Magni, psicologo e giornalista
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