Rogeno: mons. Cesena alla messa per il patrono Sant'Ippolito
Festa del patrono Sant’Ippolito, di cui la chiesa parrocchiale di Rogeno conserva le reliquie. Questa mattina, martedì 13 agosto, si sono tenute le messe di giornata: quella delle 10.30 è stata presieduta dal nuovo vicario episcopale Monsignor Gianni Cesena, concelebrata dai sacerdoti don Gianni dell’Oro e don Mario Mistry e animata dalla Corale parrocchiale.
Rogeno per la patronale si è “vestita” a festa: il paese e la chiesa sono addobbati di bianco e rosso e le numerose candele votive accese davanti all’altare di Sant’Ippolito manifestano la grande devozione che il paese nutre verso il martire.
Andiamo a ripercorrere la storia di questo martire, il cui legame con Rogeno affonda le radici indietro di qualche secolo.
Le reliquie di Ippolito arrivarono da Roma, come dono del Cardinale Federico Borromeo alla Chiesa di Santa Elisabetta, oggi non più esistente, in piazza Fontana a Milano, davanti al palazzo Arcivescovile. Nell’ottobre 1786, la chiesa venne soppressa e il corpo del Santo venne deposto nella Sacrestia Maggiore del Duomo. Intanto avanzarono le richieste per ospitare la reliquia: lo fece la chiesa di San Lorenzo di Porta Ticinese, che ha una cappella dedicata al Santo così come sembra che un cavaliere di Spagna, legato a casa Borromeo, chiese di trasferirlo a L’Avana, capitale cubana, all’epoca sotto il dominio spagnolo, dove era forte la devozione verso il Santo.
L’arcivescovo di Milano, monsignor Filippo Visconti, decise di accogliere però la richiesta proveniente dalla Brianza, in particolare dal parroco di Rogeno, don Francesco Antonio Sangalli che, nel dicembre del 1786, si recò a Milano insieme a quattro uomini per prendere il corpo di Sant’Ippolito. Dopo una sosta a Desio, ripartirono fino a giungere a destinazione: la chiesa parrocchiale di Rogeno di Cantù (Como), nell’Alta Brianza e appartenente all’antica Pieve di Incino. Il corteo venne accolto da una popolazione in festa tanto che, negli ultimi chilometri, si formò una processione di persone giunte dai paesi confinanti per assistere all’evento. La processione viene infatti riproposta ancora oggi, nel solco della tradizione.
La messa di stamane è cominciata con il rogo del pallone a evocare la totalità del sacrificio del martire e la vita vissuta nella fede e con i ringraziamenti rivolti da don Gianni dell’Oro al vicario episcopale. Quest’ultimo si è detto “affettivamente” legato a Rogeno: “Per sette anni sono parroco a Desio dove è nato papa Pio XI e, alle persone che chiedevano, ogni volta specificavo che la famiglia proveniva da Rogeno. Non ci ero mai stato, ma ho nominato più volte questo paese: la vicinanza affettiva oggi si è fatta concreta”.
Durante l’omelia, il vicario episcopale si è soffermato sulla figura del Martire. “La storia di Sant’Ippolito lo pone molto vicino a San Lorenzo. Mentre ho dato fuoco al faro, che significa una vita tutta spesa per il Signore, ho pensato che qualche giorno fa a Castello Brianza abbiamo fatto lo stesso gesto per San Lorenzo - ha detto - In quei primi secoli della chiesa c’era un modello di vita cristiana: era il martire inteso esattamente come oggi intendiamo sant’Ippolito ovvero colui che, in un contesto di opposizione e persecuzione, dona la sua vita. Agli occhi dei fedeli, queste persone sono degne di essere chiamati Santi e Martiri perchè hanno dato la vita e ora gioiscono nella gloria della compagnia del signore risorto. Questo è rimasto per qualche tempo il modello poi, nel secolo successivo, la vita della Chiesa ha preso piede e pensiamo ad esempio a sant’Ambrogio che non è morto martire”.
Sono arrivati altri modelli: “Il martire ha perso attrazione perché non c’erano più quei persecutori. Verso la fine del primo millennio il modello è stato incarnato dal monaco, ovvero colui che rinuncia al mondo, entra in comunità e canta le lodi di Dio - ha proseguito Monsignor Gianni Cesena - La vita cristiana conosciuta a poco fa aveva come modello il parroco, la parrocchia e i fedeli di Dio. Questo modello, che è durato per 450 anni, sta per essere completamente demolito. Demoliremo il modello non perché sia stato sbagliato, ma perché attraverso i tempi il Signore parla in maniera diversa”. Il vicario episcopale si è quindi domandato qual è il modello di oggi e se, come all’epoca di San’Ippolito, esistano ancora dei persecutori. Una domanda che trova risposta affermativa nel contesto mondiale della chiesa cattolica. “Ci sono ancora persecutori laddove tanti fedeli come noi non hanno la libertà di vivere la vita cristiana e a volte nemmeno di vivere la vita perché i loro diritti sono limitati perché appartengono a una confessione religiosa minoritaria o perché appartengono a un gruppo non sostenuto dal governo - ha riferito - Queste sono le persecuzioni visibili poi ci sono quelle più sottili, delle persone che dicono che queste sono credenze, superstizioni, modi del passato. Oppure, ancora, persecutori seminano la contrarietà o l’indifferenza”.
Proprio da qui deriva il modello del cristiano dell’era contemporanea, quello del martire. “Non il martire che desiderava la morte a imitazione del Signore, ma quello nel senso più vero del termine, ovvero il testimone - ha aggiunto Monsignor Cesena - Il martire di oggi non deve rinunciare alla sua vita, ai suoi beni, ma deve rinunciare a vedere i frutti della sua azione: deve essere colui che con i suoi sguardi, la sua carità, attira a sé tutti e non esclude nessuno. È fondamentale che veniamo nel luogo, nell’edificio della chiesa ad ascoltare una parola, quella del Signore, che ci incoraggia, ci orienta e ci sveglia. É uscendo da chiesa che il modello del cristiano si realizza. Ovvero il nuovo martirio, quello della testimonianza che non ha bisogno di parlare e studiare ma può comunicare”.
I riferimenti a Sant’Ippolito all’interno della chiesa sono molteplici: oltre all’altare contente la reliquia, il Martire è rappresentato in una vetrata absidale (così come l’altro patrono, San Cassiano) e nella tela di Luigi Morgari che, posta sul lato sinistro del presbiterio, raffigura la morte di Ippolito.
Dicevamo che a Rogeno la festa per il patrono prosegue per l’intera giornata: la chiesa rimarrà aperta per momenti di devozione (sono disponibili ceri e oggetti votivi e anche le imaginette stampate con la figura del Santo) così come l’oratorio, dove ci si può recare per occasioni di incontro e di ristoro. Infine, questa sera alle 20 è attesa la cerimonia conclusiva: una messa a cui farà seguito la processione con l’urna del Santo per le vie del paese, accompagnata dal corpo musicale di Annone Brianza. Una processione che, come dicevamo sopra, ha un forte richiamo storico riguardante l’arrivo in paese della reliquia.
Rogeno per la patronale si è “vestita” a festa: il paese e la chiesa sono addobbati di bianco e rosso e le numerose candele votive accese davanti all’altare di Sant’Ippolito manifestano la grande devozione che il paese nutre verso il martire.
Andiamo a ripercorrere la storia di questo martire, il cui legame con Rogeno affonda le radici indietro di qualche secolo.
Le reliquie di Ippolito arrivarono da Roma, come dono del Cardinale Federico Borromeo alla Chiesa di Santa Elisabetta, oggi non più esistente, in piazza Fontana a Milano, davanti al palazzo Arcivescovile. Nell’ottobre 1786, la chiesa venne soppressa e il corpo del Santo venne deposto nella Sacrestia Maggiore del Duomo. Intanto avanzarono le richieste per ospitare la reliquia: lo fece la chiesa di San Lorenzo di Porta Ticinese, che ha una cappella dedicata al Santo così come sembra che un cavaliere di Spagna, legato a casa Borromeo, chiese di trasferirlo a L’Avana, capitale cubana, all’epoca sotto il dominio spagnolo, dove era forte la devozione verso il Santo.
L’arcivescovo di Milano, monsignor Filippo Visconti, decise di accogliere però la richiesta proveniente dalla Brianza, in particolare dal parroco di Rogeno, don Francesco Antonio Sangalli che, nel dicembre del 1786, si recò a Milano insieme a quattro uomini per prendere il corpo di Sant’Ippolito. Dopo una sosta a Desio, ripartirono fino a giungere a destinazione: la chiesa parrocchiale di Rogeno di Cantù (Como), nell’Alta Brianza e appartenente all’antica Pieve di Incino. Il corteo venne accolto da una popolazione in festa tanto che, negli ultimi chilometri, si formò una processione di persone giunte dai paesi confinanti per assistere all’evento. La processione viene infatti riproposta ancora oggi, nel solco della tradizione.
La messa di stamane è cominciata con il rogo del pallone a evocare la totalità del sacrificio del martire e la vita vissuta nella fede e con i ringraziamenti rivolti da don Gianni dell’Oro al vicario episcopale. Quest’ultimo si è detto “affettivamente” legato a Rogeno: “Per sette anni sono parroco a Desio dove è nato papa Pio XI e, alle persone che chiedevano, ogni volta specificavo che la famiglia proveniva da Rogeno. Non ci ero mai stato, ma ho nominato più volte questo paese: la vicinanza affettiva oggi si è fatta concreta”.
Durante l’omelia, il vicario episcopale si è soffermato sulla figura del Martire. “La storia di Sant’Ippolito lo pone molto vicino a San Lorenzo. Mentre ho dato fuoco al faro, che significa una vita tutta spesa per il Signore, ho pensato che qualche giorno fa a Castello Brianza abbiamo fatto lo stesso gesto per San Lorenzo - ha detto - In quei primi secoli della chiesa c’era un modello di vita cristiana: era il martire inteso esattamente come oggi intendiamo sant’Ippolito ovvero colui che, in un contesto di opposizione e persecuzione, dona la sua vita. Agli occhi dei fedeli, queste persone sono degne di essere chiamati Santi e Martiri perchè hanno dato la vita e ora gioiscono nella gloria della compagnia del signore risorto. Questo è rimasto per qualche tempo il modello poi, nel secolo successivo, la vita della Chiesa ha preso piede e pensiamo ad esempio a sant’Ambrogio che non è morto martire”.
Sono arrivati altri modelli: “Il martire ha perso attrazione perché non c’erano più quei persecutori. Verso la fine del primo millennio il modello è stato incarnato dal monaco, ovvero colui che rinuncia al mondo, entra in comunità e canta le lodi di Dio - ha proseguito Monsignor Gianni Cesena - La vita cristiana conosciuta a poco fa aveva come modello il parroco, la parrocchia e i fedeli di Dio. Questo modello, che è durato per 450 anni, sta per essere completamente demolito. Demoliremo il modello non perché sia stato sbagliato, ma perché attraverso i tempi il Signore parla in maniera diversa”. Il vicario episcopale si è quindi domandato qual è il modello di oggi e se, come all’epoca di San’Ippolito, esistano ancora dei persecutori. Una domanda che trova risposta affermativa nel contesto mondiale della chiesa cattolica. “Ci sono ancora persecutori laddove tanti fedeli come noi non hanno la libertà di vivere la vita cristiana e a volte nemmeno di vivere la vita perché i loro diritti sono limitati perché appartengono a una confessione religiosa minoritaria o perché appartengono a un gruppo non sostenuto dal governo - ha riferito - Queste sono le persecuzioni visibili poi ci sono quelle più sottili, delle persone che dicono che queste sono credenze, superstizioni, modi del passato. Oppure, ancora, persecutori seminano la contrarietà o l’indifferenza”.
Proprio da qui deriva il modello del cristiano dell’era contemporanea, quello del martire. “Non il martire che desiderava la morte a imitazione del Signore, ma quello nel senso più vero del termine, ovvero il testimone - ha aggiunto Monsignor Cesena - Il martire di oggi non deve rinunciare alla sua vita, ai suoi beni, ma deve rinunciare a vedere i frutti della sua azione: deve essere colui che con i suoi sguardi, la sua carità, attira a sé tutti e non esclude nessuno. È fondamentale che veniamo nel luogo, nell’edificio della chiesa ad ascoltare una parola, quella del Signore, che ci incoraggia, ci orienta e ci sveglia. É uscendo da chiesa che il modello del cristiano si realizza. Ovvero il nuovo martirio, quello della testimonianza che non ha bisogno di parlare e studiare ma può comunicare”.
I riferimenti a Sant’Ippolito all’interno della chiesa sono molteplici: oltre all’altare contente la reliquia, il Martire è rappresentato in una vetrata absidale (così come l’altro patrono, San Cassiano) e nella tela di Luigi Morgari che, posta sul lato sinistro del presbiterio, raffigura la morte di Ippolito.
Dicevamo che a Rogeno la festa per il patrono prosegue per l’intera giornata: la chiesa rimarrà aperta per momenti di devozione (sono disponibili ceri e oggetti votivi e anche le imaginette stampate con la figura del Santo) così come l’oratorio, dove ci si può recare per occasioni di incontro e di ristoro. Infine, questa sera alle 20 è attesa la cerimonia conclusiva: una messa a cui farà seguito la processione con l’urna del Santo per le vie del paese, accompagnata dal corpo musicale di Annone Brianza. Una processione che, come dicevamo sopra, ha un forte richiamo storico riguardante l’arrivo in paese della reliquia.
M.Mau.