Episodi di violenza su donne finite poi in carcere, nello studio a cura dell'Università Bicocca presentato al Bachelet
Un interessante momento di confronto tra l'Università Milano-Bicocca e l’Istituto Vittorio Bachelet si è svolto questa mattina a Oggiono; docenti e alunni della scuola superiore si sono posti infatti all'ascolto di una preziosa esposizione informativa nell’ambito del progetto ''La violenza subita all’origine del comportamento deviante delle donne'', finanziato da Regione Lombardia.
La presentazione è stata affidata alla dott.ssa Claudia Pecorella, docente di diritto penale all’Università Bicocca che da anni si occupa del tema della violenza di genere, con il supporto e l’intervento della collega, dott.ssa Noemi Cardinale, e di un gruppo di studenti e studentesse del corso di giurisprudenza (tra i quali anche due ex-allievi del Bachelet, Lorenzo Lazzarini e Giorgia Fumagalli) che hanno preso parte al progetto.
L’incontro al Palabachelet, che ha ospitato gli studenti di due classi quinte, due quarte e due terze dell’Istituto oggionese, si è sviluppato intorno ad un tema un po’ ''insolito'' del macro-argomento della violenza di genere: le conseguenze che una violenza subita, fisica o psicologica, lascia alle donne che durante il loro percorso di vita delinquono e, eventualmente, vengono condannate a scontare una pena in carcere.
La dott.ssa Pecorella ha riferito che varie indagini hanno rilevato che un importante numero di donne detenute negli istituti carcerari hanno subito una violenza, durante l’infanzia o da adulte, e tale violenza costituisce un fattore fortemente incidente a spiegare il loro ''comportamento deviante'' che le ha condotte alla condanna; tuttavia, spesso la giurisdizione non tiene conto del contesto e dei trascorsi delle sottoposte a giudizio.
''Si tratta prevalentemente di episodi di violenza con cui la vittima non è riuscita a fare conti e per i quali tende a colpevolizzarsi - ha spiegato la docente - e tali episodi spesso comportano uno sviluppo della vita diverso da quello regolare, che può coinvolgere l’abuso di sostanze alcoliche e/o stupefacenti, l’abbandono del percorso di studi, il matrimonio forzato, per finire nei casi più gravi con il delinquere e, conseguentemente, il carcere''.
A proposito della situazione in Italia, i dati riportati dalla dott.ssa Pecorella mostrano che le donne rappresentano poco più del 4% di tutta la popolazione detenuta negli istituti carcerari italiani, in linea con la media europea, e che il numero di donne detenute è sensibilmente aumentato negli ultimi vent’anni. In Italia esistono solo quattro istituti esclusivamente femminili e sono dislocati in tutto lo stivale: tuttavia, solo un quarto delle donne condannate riesce ad ottenere un posto in questi istituti, la maggioranza restante viene smistata all’interno delle 44 sezioni femminili presenti nelle strutture maschili.
''Questo rappresenta un problema non indifferente per l’esperienza delle donne detenute. Gli istituti detentivi sono pensati per uomini, perché generalmente le donne in carcere sono pochissime'' ha aggiunto in merit la dott.ssa Noemi Cardinale. ''C’è di buono che nelle strutture esclusive per donne gli investimenti per le strutture e le iniziative interne – soprattutto quelle con funzione rieducativa – sono rivolti prettamente a loro. Negli istituti maschili, invece, la struttura e le iniziative interne vengono pensate interamente per uomini e questo disincentiva la partecipazione delle donne, nonché peggiora il modo in cui esse vivono la detenzione''.
Una parte dei finanziamenti di Regione Lombardia per il progetto è stata utilizzata per la creazione di uno ''sportello giuridico'' dedicato alle donne detenute all’interno delle sezioni femminili delle carceri di Bollate e San Vittore, nell’hinterland milanese. Questi sportelli, seppur con una disponibilità di spazi molto limitata, sono partiti grazie alla professionalità delle operatrici dello storico centro anti-violenza di Milano (Casa di Accoglienza delle Donne Maltrattate), ingaggiate grazie al contributo economico regionale, che ogni settimana dallo scorso maggio a fine settembre sono entrate negli istituti con l’obiettivo di ascoltare le donne detenute e le loro esperienze.
Ma non solo, anche alcune studentesse di vari corsi di laurea, in seguito ad un periodo di formazione ad hoc, hanno dato la loro disponibilità per assistere allo sportello giuridico. ''Le parole chiave per chiunque presta servizio allo sportello sono riservatezza, ascolto empatico e vicinanza. A mio avviso è stato un progetto molto utile, effettivamente ho potuto riscontrare che in molti casi gli episodi di violenza sono stati di fatto all’origine del comportamento deviante di queste donne'' ha raccontato Federica, una delle studentesse presenti all’incontro. ''Molte donne usufruenti dello sportello erano nigeriane, tutte vittime di tratta. Ho potuto constatare una profonda sfiducia verso il prossimo da parte loro, che le rende diffidenti anche all’interno dello stesso carcere, sia con gli operatori che con le compagne''.
''Nel mio caso non subito le donne con cui mi sono interfacciata hanno menzionato di aver subito violenza: era come se faticassero a riconoscere il fatto e l’influenza che questo ha avuto sui loro percorsi. Lo sportello giuridico aiuta proprio in questo senso. Ho apprezzato molto anche il percorso di formazione che è stato dedicato a noi studentesse prima di intraprendere l’esperienza, in cui abbiamo appreso molto su background culturali diversi da quello italiano, dato che le detenute sono anche straniere'' ha riferito Alice, altra studentessa che ha preso parte al progetto. ''Anche la lingua è una barriera importante da considerare in questi ambienti. Io sono egiziana e ho avuto modo di parlare in arabo con alcune detenute, che hanno condiviso con me la loro storia privata. La loro diffidenza deriva dalla paura che le loro storie possano essere riferite a chissà chi'' ha concluso Mirna, studentessa che ha partecipato ad uno sportello specifico per le detenute di origine straniera.
Lo scopo principale dell’incontro, oltre a quello divulgativo, è stato di sensibilizzare gli studenti di scuola superiore sul tema delle conseguenze delle violenze subite dalle donne, che possono riguardare anche il mondo della delinquenza e delle carceri. In questo senso, come ha sottolineato la dott.ssa Pecorella, il ruolo dell’istruzione scolastica è fondamentale in un’ottica preventiva, in quanto ''l’educazione ricevuta nelle scuole può capovolgere la comprensione di modelli di comportamento all’interno del nucleo familiare che sia donne che uomini, per mera abitudine, possono percepire come ‘normali’, ma che in realtà non lo sono affatto''.
Per finire, è stato posto l’accento anche sulla necessità di istituire percorsi validi di formazione sul tema della violenza di genere a tutti gli operatori del settore della giustizia, poiché si presenta spesso il problema del mancato riconoscimento della violenza da parte di magistrati e funzionari.
La presentazione è stata affidata alla dott.ssa Claudia Pecorella, docente di diritto penale all’Università Bicocca che da anni si occupa del tema della violenza di genere, con il supporto e l’intervento della collega, dott.ssa Noemi Cardinale, e di un gruppo di studenti e studentesse del corso di giurisprudenza (tra i quali anche due ex-allievi del Bachelet, Lorenzo Lazzarini e Giorgia Fumagalli) che hanno preso parte al progetto.
L’incontro al Palabachelet, che ha ospitato gli studenti di due classi quinte, due quarte e due terze dell’Istituto oggionese, si è sviluppato intorno ad un tema un po’ ''insolito'' del macro-argomento della violenza di genere: le conseguenze che una violenza subita, fisica o psicologica, lascia alle donne che durante il loro percorso di vita delinquono e, eventualmente, vengono condannate a scontare una pena in carcere.
La dott.ssa Pecorella ha riferito che varie indagini hanno rilevato che un importante numero di donne detenute negli istituti carcerari hanno subito una violenza, durante l’infanzia o da adulte, e tale violenza costituisce un fattore fortemente incidente a spiegare il loro ''comportamento deviante'' che le ha condotte alla condanna; tuttavia, spesso la giurisdizione non tiene conto del contesto e dei trascorsi delle sottoposte a giudizio.
''Si tratta prevalentemente di episodi di violenza con cui la vittima non è riuscita a fare conti e per i quali tende a colpevolizzarsi - ha spiegato la docente - e tali episodi spesso comportano uno sviluppo della vita diverso da quello regolare, che può coinvolgere l’abuso di sostanze alcoliche e/o stupefacenti, l’abbandono del percorso di studi, il matrimonio forzato, per finire nei casi più gravi con il delinquere e, conseguentemente, il carcere''.
A proposito della situazione in Italia, i dati riportati dalla dott.ssa Pecorella mostrano che le donne rappresentano poco più del 4% di tutta la popolazione detenuta negli istituti carcerari italiani, in linea con la media europea, e che il numero di donne detenute è sensibilmente aumentato negli ultimi vent’anni. In Italia esistono solo quattro istituti esclusivamente femminili e sono dislocati in tutto lo stivale: tuttavia, solo un quarto delle donne condannate riesce ad ottenere un posto in questi istituti, la maggioranza restante viene smistata all’interno delle 44 sezioni femminili presenti nelle strutture maschili.
''Questo rappresenta un problema non indifferente per l’esperienza delle donne detenute. Gli istituti detentivi sono pensati per uomini, perché generalmente le donne in carcere sono pochissime'' ha aggiunto in merit la dott.ssa Noemi Cardinale. ''C’è di buono che nelle strutture esclusive per donne gli investimenti per le strutture e le iniziative interne – soprattutto quelle con funzione rieducativa – sono rivolti prettamente a loro. Negli istituti maschili, invece, la struttura e le iniziative interne vengono pensate interamente per uomini e questo disincentiva la partecipazione delle donne, nonché peggiora il modo in cui esse vivono la detenzione''.
Una parte dei finanziamenti di Regione Lombardia per il progetto è stata utilizzata per la creazione di uno ''sportello giuridico'' dedicato alle donne detenute all’interno delle sezioni femminili delle carceri di Bollate e San Vittore, nell’hinterland milanese. Questi sportelli, seppur con una disponibilità di spazi molto limitata, sono partiti grazie alla professionalità delle operatrici dello storico centro anti-violenza di Milano (Casa di Accoglienza delle Donne Maltrattate), ingaggiate grazie al contributo economico regionale, che ogni settimana dallo scorso maggio a fine settembre sono entrate negli istituti con l’obiettivo di ascoltare le donne detenute e le loro esperienze.
Ma non solo, anche alcune studentesse di vari corsi di laurea, in seguito ad un periodo di formazione ad hoc, hanno dato la loro disponibilità per assistere allo sportello giuridico. ''Le parole chiave per chiunque presta servizio allo sportello sono riservatezza, ascolto empatico e vicinanza. A mio avviso è stato un progetto molto utile, effettivamente ho potuto riscontrare che in molti casi gli episodi di violenza sono stati di fatto all’origine del comportamento deviante di queste donne'' ha raccontato Federica, una delle studentesse presenti all’incontro. ''Molte donne usufruenti dello sportello erano nigeriane, tutte vittime di tratta. Ho potuto constatare una profonda sfiducia verso il prossimo da parte loro, che le rende diffidenti anche all’interno dello stesso carcere, sia con gli operatori che con le compagne''.
''Nel mio caso non subito le donne con cui mi sono interfacciata hanno menzionato di aver subito violenza: era come se faticassero a riconoscere il fatto e l’influenza che questo ha avuto sui loro percorsi. Lo sportello giuridico aiuta proprio in questo senso. Ho apprezzato molto anche il percorso di formazione che è stato dedicato a noi studentesse prima di intraprendere l’esperienza, in cui abbiamo appreso molto su background culturali diversi da quello italiano, dato che le detenute sono anche straniere'' ha riferito Alice, altra studentessa che ha preso parte al progetto. ''Anche la lingua è una barriera importante da considerare in questi ambienti. Io sono egiziana e ho avuto modo di parlare in arabo con alcune detenute, che hanno condiviso con me la loro storia privata. La loro diffidenza deriva dalla paura che le loro storie possano essere riferite a chissà chi'' ha concluso Mirna, studentessa che ha partecipato ad uno sportello specifico per le detenute di origine straniera.
Lo scopo principale dell’incontro, oltre a quello divulgativo, è stato di sensibilizzare gli studenti di scuola superiore sul tema delle conseguenze delle violenze subite dalle donne, che possono riguardare anche il mondo della delinquenza e delle carceri. In questo senso, come ha sottolineato la dott.ssa Pecorella, il ruolo dell’istruzione scolastica è fondamentale in un’ottica preventiva, in quanto ''l’educazione ricevuta nelle scuole può capovolgere la comprensione di modelli di comportamento all’interno del nucleo familiare che sia donne che uomini, per mera abitudine, possono percepire come ‘normali’, ma che in realtà non lo sono affatto''.
Per finire, è stato posto l’accento anche sulla necessità di istituire percorsi validi di formazione sul tema della violenza di genere a tutti gli operatori del settore della giustizia, poiché si presenta spesso il problema del mancato riconoscimento della violenza da parte di magistrati e funzionari.
Federica Falbo