Suicidi e depressione in ascesa. La solitudine ha bisogno di una politica che costruisca relazioni
La fine dell’anno ormai è alle porte e inevitabilmente scattano delle fotografie che coinvolgono la dimensione personale, sociale, collettiva, comunitaria. Sfogliando le pagine della quotidianità, un dato ricorrente è l’incremento dei suicidi dal ponte di Paderno, della Vittoria in Valsassina, di quelli mascherati e nascosti, tenuti all’oscuro all’opinione pubblica. È difficile recuperare dati attuali; quelli che compaiono sulla stampa locale sono solo la punta di un iceberg.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ogni anno perdono la vita nel mondo ottocentomila persone, ma il numero reale è molto più alto. Il suicidio, come rileva l’OMS, non è circoscritto ai paesi ad alto reddito, ma è un fenomeno globale che coinvolge tutte le regioni del mondo. Infatti, oltre il settanta-ottanta per cento dei suicidi globali, avviene nei paesi a basso e medio reddito.
Nella terra del sole e dei mandolini sono circa diecimila i suicidi l’anno.
Nel paese dei fiori, la dinamica dei suicidi cambia per aree geografiche: se ne registrano di più nel nord, meno nel centro e ancor meno nel sud e nelle isole. Si stima che circa l’ottanta percento sia di genere maschile. Più alto è il tasso di benessere e più alto è il conflitto esistenziale e sociale: la morfologia geofisica ed economica del territorio gioca la sua parte.
In Gran Bretagna, il governo conservatore aveva istituito un ministero specifico sulla solitudine proprio partendo dai dati in ascesa dei suicidi e della depressione Questo fenomeno sociale ha costretto la politica a farsene carico.
Ci sono bisogni sociali, psicologici che si intrecciano con l’economia, ma sono indipendenti e hanno bisogno di essere assunti in carico.
Nella provincia lecchese, le associazioni pubbliche e private di terzo settore, pur essendo molto attive e propositive, tendono a rispondere sostanzialmente a dei bisogni sociali primari di prima necessità occupandosi di ceti medio-bassi e della povertà. Tuttavia, la solitudine è interclasse, intergenerazionale, è trasversale, è verticale e coinvolge indistintamente tutti i ceti e le professioni: può essere la porta del vicino, l’anticamera del medico o un confessionale vuoto.
La solitudine va guardata in faccia, va ascoltata.
Basterebbe stare una mattinata su un vagone della metropolitana per accorgersi quante molecole umane si schermano con i loro auricolari tappanti, ascoltando una voce che li tiene in un guscio, per proteggersi dallo sguardo dell’altro che sta accanto.
Passeggiando per le stradette dei piccoli paesi arrampicati della Valsassina, durante la settimana, ci si impatta con il vuoto, il silenzio: villette e abitazioni chiuse, aperte in parte in estate, mancanza di negozi di vicinato, serrande abbassate, pochi bar, assenza di luoghi di socializzazione, eccessive strutture di campetti da calcio.
Basta aggirarsi per le sale d’attesa dell’ospedale di Merate, di Lecco per incontrare il mutismo, il silenzio della rassegnazione: c’è una generazione accantonata in un limbo che ha timore di chiedere e attende con pazienza l’appuntamento procrastinato nel tempo.
Anche nei nuovi caffè eleganti di Piazza Eroi, si percepisce una malinconia lontana che un dolce cappuccino non riesce a dissolvere, per poi uscire e trovare una piazza vuota, animata solo il martedì mattina con il suo bel mercato (è il più bello di questa provincia).
Camminando per le vie ai bordi del centro di Lecco, nei vicoli dei quartieri di Chiuso, Pescarenico, Laorca si percepisce la solitudine che sta dietro alle persiane: prima, in quei vicoli la vita era ravvivata dal profumo del pane, dal battito del macellaio, dall’odore del latte, dalla puzza del pesce.
Una pista di ghiaccio, delle luminarie, che colorano il centro, non bastano a colmare il vuoto esistenziale. C’è bisogno d’altro.
La solitudine ha bisogno di un assessorato o di una delega consiliare che metta in atto politiche di vicinato che costruiscano relazioni.
I nuovi sindaci, soprattutto i più giovani come quello di Merate, dovrebbero pensare a questi nuovi bisogni immateriali. La solitudine non ha bisogno di baracconate o intromissioni. La solitudine va rispettata, è come una bianca orchidea.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ogni anno perdono la vita nel mondo ottocentomila persone, ma il numero reale è molto più alto. Il suicidio, come rileva l’OMS, non è circoscritto ai paesi ad alto reddito, ma è un fenomeno globale che coinvolge tutte le regioni del mondo. Infatti, oltre il settanta-ottanta per cento dei suicidi globali, avviene nei paesi a basso e medio reddito.
Nella terra del sole e dei mandolini sono circa diecimila i suicidi l’anno.
Nel paese dei fiori, la dinamica dei suicidi cambia per aree geografiche: se ne registrano di più nel nord, meno nel centro e ancor meno nel sud e nelle isole. Si stima che circa l’ottanta percento sia di genere maschile. Più alto è il tasso di benessere e più alto è il conflitto esistenziale e sociale: la morfologia geofisica ed economica del territorio gioca la sua parte.
In Gran Bretagna, il governo conservatore aveva istituito un ministero specifico sulla solitudine proprio partendo dai dati in ascesa dei suicidi e della depressione Questo fenomeno sociale ha costretto la politica a farsene carico.
Ci sono bisogni sociali, psicologici che si intrecciano con l’economia, ma sono indipendenti e hanno bisogno di essere assunti in carico.
Nella provincia lecchese, le associazioni pubbliche e private di terzo settore, pur essendo molto attive e propositive, tendono a rispondere sostanzialmente a dei bisogni sociali primari di prima necessità occupandosi di ceti medio-bassi e della povertà. Tuttavia, la solitudine è interclasse, intergenerazionale, è trasversale, è verticale e coinvolge indistintamente tutti i ceti e le professioni: può essere la porta del vicino, l’anticamera del medico o un confessionale vuoto.
La solitudine va guardata in faccia, va ascoltata.
Basterebbe stare una mattinata su un vagone della metropolitana per accorgersi quante molecole umane si schermano con i loro auricolari tappanti, ascoltando una voce che li tiene in un guscio, per proteggersi dallo sguardo dell’altro che sta accanto.
Passeggiando per le stradette dei piccoli paesi arrampicati della Valsassina, durante la settimana, ci si impatta con il vuoto, il silenzio: villette e abitazioni chiuse, aperte in parte in estate, mancanza di negozi di vicinato, serrande abbassate, pochi bar, assenza di luoghi di socializzazione, eccessive strutture di campetti da calcio.
Basta aggirarsi per le sale d’attesa dell’ospedale di Merate, di Lecco per incontrare il mutismo, il silenzio della rassegnazione: c’è una generazione accantonata in un limbo che ha timore di chiedere e attende con pazienza l’appuntamento procrastinato nel tempo.
Anche nei nuovi caffè eleganti di Piazza Eroi, si percepisce una malinconia lontana che un dolce cappuccino non riesce a dissolvere, per poi uscire e trovare una piazza vuota, animata solo il martedì mattina con il suo bel mercato (è il più bello di questa provincia).
Camminando per le vie ai bordi del centro di Lecco, nei vicoli dei quartieri di Chiuso, Pescarenico, Laorca si percepisce la solitudine che sta dietro alle persiane: prima, in quei vicoli la vita era ravvivata dal profumo del pane, dal battito del macellaio, dall’odore del latte, dalla puzza del pesce.
Una pista di ghiaccio, delle luminarie, che colorano il centro, non bastano a colmare il vuoto esistenziale. C’è bisogno d’altro.
La solitudine ha bisogno di un assessorato o di una delega consiliare che metta in atto politiche di vicinato che costruiscano relazioni.
I nuovi sindaci, soprattutto i più giovani come quello di Merate, dovrebbero pensare a questi nuovi bisogni immateriali. La solitudine non ha bisogno di baracconate o intromissioni. La solitudine va rispettata, è come una bianca orchidea.
Dr. Enrico Magni, Psicologo, giornalista