Retesalute: un danno notevole, economico e di immagine, che i sindaci avrebbero potuto evitare

L’intervista all’avvocato Fortuna Riva di Lecco, un’autorità in materia di diritto del lavoro, chiarisce una volta per tutte il quadro davvero tribolato che ha visto Retesalute sull’orlo della chiusura.
La vicenda inizia a gennaio 2020 con il nuovo Consiglio di Amministrazione presieduto dall’avvocata Alessandra Colombo. La quale, anche lei attiva nel diritto del lavoro spesso in affiancamento al sindacato, con una serie di appunti forniti da chissà chi, denuncia perdite e ammanchi. Nel volgere di pochi mesi uno tsunami si abbatte sull’azienda: fuga in massa di dipendenti, comuni allo sbando, denunce incrociate. Fino alla deliberazione assunta dai Comuni Soci di liquidazione volontaria. Di lì, perizie, consulenze, collegio dei liquidatori un giro vorticoso di incarichi che costa all’azienda oltre 400mila euro e alcuni segretari, tra cui l’attuale di Merate e Calco, a gettare benzina sul fuoco senza nemmeno consultare i rispettivi datori di lavoro, cioè i sindaci. I quali, a loro volta, non si rendono conto – o fingono di non rendersi conto – che i problemi di Retesalute – al di là dell’intreccio innaturale con l’Ambito – sono tutto sommato semplici: i costi di produzione dei servizi alla persona sono maggiori rispetto al prezzo con cui l’Azienda speciale li vende ai comuni soci. E siccome i comuni soci sono sotto la tagliola del patto di stabilità, ammesso che se ne siano accorti, accettano volentieri di acquistare servizi sotto costo. Difatti una volta emersa l’intera situazione i suddetti Comuni soci hanno versato le quote di competenza a copertura, che, più semplicemente, sono riconducibili al maggior costo, non pagato, dei servizi acquistati. Nessun danno erariale!
L’abbiamo scritto decine di volte. Ma senza che un solo sindaco prendesse in considerazione questa chiave di lettura. Al contrario era tutta una corsa a lapidare il precedente Consiglio di Amministrazione, che pure aveva presentato un piano di rilancio, bocciato dagli stessi Comuni soci, e i vertici aziendali Simona Milani e Anna Ronchi. Entrambe denunciate alla Procura di Lecco, entrambe assolte sia in seduta monocratica, sia in seduta collegiale.
C’era chi soffiava sul fuoco agitando fantasmi di presunte malversazioni, che in Aula consiliare raccontava di “movimenti dai conti correnti aziendali a conti correnti personali”.
Ascoltate questo passaggio della seduta del Consiglio comunale di giugno 2020, al microfono il sindaco e presidente dell’assemblea dei soci Massimo Augusto Panzeri.


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Non c’è molto da aggiungere sul clima che aleggiava in quei mesi. Una sorta di caccia alle streghe tra le finte sorprese e il disinteresse dei componenti l’assemblea dei soci di Retesalute.
Ma alla fine il conto arriva. Massimo Panzeri è stato portato in tribunale con l’accusa di diffamazione a Anna Ronchi.
Non ci interessa l’esito del processo anche se l’ipotesi di reato si è posta in essere in funzione del ruolo di sindaco.
Semmai siamo ansiosi di scrivere di altre iniziative legali nei confronti di uno o più esponenti del collegio dei liquidatori e/o dei super specialisti chiamati al capezzale dell’Azienda.
Comunque andranno le cose resta il danno enorme di immagine, prima che economico, dell’esperienza di un’azienda speciale pubblica – la prima e unica nel lecchese – che prende in carico i servizi alla persona e cerca di erogarli nel modo migliore e al minor costo per i comuni soci.
Quanto alla vertenza Milani-Ronchi, ora è tutto chiaro. L’avvocato Fortunato Riva ha spiegato come meglio non si poteva l’intera situazione.
Ma, senza presunzione, a noi la vicenda era apparsa chiara fin da subito.
Claudio Brambilla
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